80 capolavori, da Niccolò dell’Arca a Francesco Hayez, rivelano la storia di una infinita e appassionante caccia amorosa – L’arte ha una funzione culturale, è autenticamente cultura animi, e per questo non è solo utile, ma anche necessaria nel percorso di ogni uomo. Una collezione d’arte privata è dunque la fondazione di un sistema simbolico, la creazione di una palestra per l’anima, un luogo dove si materializzano scelte intime, meditate e, talvolta, sofferte. Sovente si dimentica che la sua più alta vocazione sia quella di accogliere il pubblico, di offrirsi agli sguardi, di raccontare la propria storia. Per la Collezione Cavallini Sgarbi questo accade dal 6 giugno a Caldes, nel magnifico Castel Caldes, dentro un emozionante percorso lungo quattro secoli che, dalla seconda metà del Quattrocento, radunerà 80 opere della celebre collezione in una inedita selezione “Da Niccolò dell’Arca a Francesco Hayez”.
La mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Cavallini Sgarbi, la Fondazione Elisabetta Sgarbi, e la direzione artistica di Contemplazioni, è organizzata dall’Azienda per il Turismo Val di Sole e promossa dalla Provincia Autonoma di Trento, dal Castello del Buonconsiglio monumenti e collezioni provinciali, dal Comune di Caldes, da Trentino Marketing e dalla Comunità della Val di Sole.
«Ha del miracoloso che – esordisce Maurizio Fugatti, Presidente della Provincia Autonoma di Trento – il professor Sgarbi, presidente del Mart dal 10 maggio scorso, a distanza di meno di un mese, realizzi una mostra con tanti capolavori dei principali maestri italiani, e anche di qualche artista trentino. Una selezione di opere che parlano da sole e che rappresenteranno, nel tempo dell’esposizione al castello di Caldes, la più importante testimonianza di arte antica presente in Trentino».
«L’orgoglio per l’arrivo a Castel Caldes della Collezione Cavallini Sgarbi – dichiara Antonio Maini, Sindaco di Caldes – va ben oltre il già grande valore artistico delle opere. Un progetto, questo, frutto delle sinergie positive che i territori sanno creare nei momenti in cui prevale la visione d’insieme e che fanno dell’arte un reale e straordinario strumento di crescita culturale e sociale collettiva».
«Di castello in castello, da Ferrara a Caldes, – parla Elisabetta Sgarbi, editore de La Nave di Teseo e presidente della Fondazione Elisabetta Sgarbi – le opere della Collezione Cavallini Sgarbi continuano il loro viaggio. E ogni tappa è un omaggio al genio collezionista di Vittorio Sgarbi, che in poco più di quaranta anni ha raccolto, studiato, scoperto capolavori assoluti; al genio dei miei genitori, Rina Cavallini e Giuseppe Sgarbi; a una famiglia che al bello e alla cultura ha dedicato la propria esistenza. Entrare nelle stanze di questa mostra – come indica il catalogo edito da La Nave di Teseo – è entrare nelle stanze della casa di Ro Ferrarese, dove queste opere tornano sempre, felici di ritrovarsi e di continuare il loro ininterrotto dialogo con i nostri genitori. La casa di Ro Ferrarese, inoltre (e la Farmacia storica annessa “Farmacia storica Rina e Nino Sgarbi”), dove sono custodite le opere, è stata inclusa nella Fondazione Elisabetta Sgarbi ed è stata dichiarata dal Ministero dei Beni Culturale di “interesse culturale ai sensi dell’articolo 15 c. 1 del Decreto Legislativo 42/2004”. Questo atto è il primo passo per la trasformazione della casa di Ro e della biblioteca in un importante centro museale».
All’interno della mostra si respirerà l’atmosfera intima propria di una collezione privata, frutto dell’appassionata caccia amorosa di Vittorio Sgarbi, svolta in tandem con la madre Rina Cavallini, la quale ha acquistato le opere in numerose aste in ogni angolo del mondo. Il suo “miglior uomo”, la persona più fidata non solo negli affetti, ma anche negli interessi e ricordata dal critico con queste parole: «si fece prolungamento del mio pensiero e della mia vita. Io indicavo il nome di un artista, il luogo, la casa d’aste. E lei puntuale prendeva la mira e colpiva». Il collezionismo è un mistero, una caccia senza regole e approdi, un inseguimento senza sosta della bellezza e della rarità.
Dalla casa di Ro Ferrarese, dove sono riuniti quarant’anni di appassionata attività collezionistica, approderanno presso le stanze di Castel Caldes 80 opere, tra dipinti e sculture, dal XV al XIX secolo: una antologia che intende illustrare l’identità di una collezione idealmente senza confini, aperta a molte curiosità coincidenti con temi di studio sperimentati e altri del tutto nuovi. La mostra si apre con una emergenza assoluta del Rinascimento italiano, il San Domenico in terracotta modellato nel 1474 da Niccolò dell’Arca e collocato in origine sopra la porta “della vestiaria” nel convento della chiesa di San Domenico a Bologna, dove tra il 1469 e il 1473 l’artista attese all’Arca del santo da cui deriva il suo pseudonimo. Immagine potente, intensa, di estremo vigore naturalistico, il busto rivela l’impareggiabile capacità del maestro pugliese di infondere la vita alle sue figure, così vere che paiono respirare. Seguono i capitelli in marmo di Domenico Gagini, le terrecotte di Matteo Civitali e Agostino de Fundulis, e una straordinaria raccolta di preziosi dipinti, perlopiù su tavola, eseguiti tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento: ai pittori nati o attivi a Ferrara – Boccaccio Boccaccino, Giovanni Battista Benvenuti detto l’Ortolano, Nicolò Pisano, Benvenuto Tisi detto il Garofalo – si affiancano autori rari come Antonio Cicognara, Liberale da Verona, Jacopo da Valenza, Antonio da Crevalvore, Giovanni Agostino da Lodi, Nicola Filotesio detto Cola dell’Amatrice, Johannes Hispanus, Bernardino da Tossignano, Bartolomeo di David, Lambert Sustris. Il focus sulla “scuola ferrarese” prosegue agli inizi del XVII secolo con i dipinti di Sebastiano Filippi detto il Bastianino, Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino, Giuseppe Caletti e Carlo Bononi. Contestualmente si potranno ammirare riconosciuti capolavori della pittura italiana del Seicento, tra i quali conviene citare almeno la Cleopatra di Artemisia Gentileschi, la Maddalena scortata dagli angeli di Pier Francesco Mazzucchelli detto Morazzone, il San Girolamo di Jusepe Ribera, e il Ritratto di Francesco Righetti di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino. Quest’ultimo dipinto – “rientrato a casa” nel 2004 dopo essere stato esposto per anni al Kimbell Art Museum di Fort Worth, in Texas – si pone al vertice di una straordinaria galleria di ritratti che compendia lo sviluppo del genere dall’inizio del Cinquecento alla fine dell’Ottocento, tra pittura e scultura, da Lorenzo Lotto a Francesco Hayez, con specialisti quali Bartolomeo Passerotti, Nicolas Régnier, Philippe de Champaigne, Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio, Enrico Merengo, Ferdinand Voet, Giovanni Antonio Cybei, Lorenzo Bartolini, Raimondo Trentanove e Vincenzo Vela. Altrettanto avvincente è il percorso tra dipinti “da stanza” di tema sacro, allegorico e mitologico del Sei e del Settecento: una selezione di sorprendente varietà, e di alta qualità, che riflette gli interessi sconfinati e la frenesia di ricerca del collezionista, con maestri della scuola veneta (Marcantonio Bassetti, Pietro Damini, Johann Carl Loth, Giovanni Antonio Fumiani), emiliana (Simone Cantarini, Matteo Loves, Marcantonio Franceschini, Ignaz Stern detto Ignazio Stella), romana (Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, Angelo Caroselli, Pseudo Caroselli, Giusto Fiammingo, Antonio Cavallucci), toscana (Giacinto Gimignani, Livio Mehus, Alessandro Rosi, Pietro Paolini).
L’allestimento coinvolgerà anche i prestigiosi spazi del Castello del Buonconsiglio a Trento, dove sarà esposto, per tutto il periodo della mostra, il capolavoro di Giovanni Prata dal titolo “Salomè” (1518 circa, olio su tela, 83 x 72 cm). Tale iniziativa ha lo scopo di evidenziare l’impegno nella valorizzazione dei beni territoriali, come sostiene Laura Dal Prà, direttore del Castello del Buonconsiglio: «Da tempo la Val di Sole è in attesa di ospitare un avvenimento di grande rilievo culturale e la mostra risponde a questa comprensibile aspettativa. Nel contempo essa fornisce nuovo impulso all’impegno assunto nel 2014, anno in cui il complesso di Castel Caldes è stato aggregato quale quinta sede al museo di cui sono responsabile, impegno che stiamo rispettando non solo con interventi di adeguamento alla fruizione pubblica e iniziative costanti di conservazione, ma anche con programmazione di attività di valorizzazione, eventi, offerte didattiche, accoglienza di proposte avanzate dalla comunità locale».
A cura di Contemplazioni