“’900 Italiano. Un secolo d’arte”, la mostra ai Musei Civici agli Eremitani di Padova fino al 10 maggio 2020 – Che si sia rifugiata nel mito della forma o nella sua negazione, nell’idea più astratta o nella materia più umile, l’arte italiana ha ritratto la folgorazione della modernità e le tragiche (dis)illusioni del “secolo breve” nelle opere degli artisti che l’hanno vissuto, amato e odiato, riscritto. Il Museo Eremitani ospita dal 1° febbraio al 10 maggio 2020 la mostra ’900 Italiano. Un secolo di arte, organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova in collaborazione con C.O.R, Creare Organizzare Realizzare di Alessandro Nicosia.
Nelle intenzioni delle sue curatrici, Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, la rassegna padovana vuole raccontare “una storia” del Novecento italiano, una delle sue possibili letture, e lo fa in novanta opere, senza pretese di esaustività. Il Novecento fluisce nei corsi e ricorsi artistici, nei repentini cambi di generazioni e mentalità pittoriche, scanditi dai rintocchi della Storia: questa mostra dal ritmo serrato riflette sugli aspetti rivoluzionari che hanno reso il XX secolo fecondo e inquieto, in una parabola artistica che si snoda tra salti e continuità, fasi di crisi e progresso, alla ricerca delle forme cangianti assunte da una bellezza non più salvifica. ’900 Italiano ricostruisce cronologicamente un secolo d’arte attraverso una selezione di capolavori emblematici, con l’intento di fornire al visitatore degli spunti di riflessione per la sua comprensione, grazie alla visione di opere straordinarie che documentano l’alto valore internazionale delle vicende creative italiane.
“Un nucleo di opere di squisito valore e interesse” dice l’Assessore alla Cultura Andrea Colasio, “e un emozionante percorso capace di affiancare esperienze diverse, ma tutte irrinunciabili. Abbiamo voluto dedicare una sala al Gruppo N il cui lavoro, oggi storicizzato, portò Padova alla ribalta dell’arte internazionale. È un tassello di un programma di esposizioni che stanno esplorando il ‘900, significativamente ambientate nel nostro museo civico in cui le collezioni moderne ancora non hanno trovato una collocazione definitiva: ed è quindi un progetto di importante valore culturale nella misura in cui offre anche al visitatore del museo una finestra aperta su esperienze artistiche recenti.”
Il percorso della mostra prende avvio dalla miccia futurista, accesa dalle scintille divisioniste di Giacomo Balla e dei suoi giovani allievi: l’uomo di Forme uniche della continuità nello spazio incede nel tempo futurista di Umberto Boccioni, in violenta accelerazione verso la deflagrazione della linea chiusa, nella stessa corsa impetuosa che di lì a poco lo avrebbe condotto al baratro dei totalitarismi. Nelle fiamme della prima Guerra Mondiale ardono fino alla cenere i mucchi di sogni di progresso delle Avanguardie e l’arte italiana rientra “all’ordine” negli anni Venti: l’appello è lanciato dal Grande Metafisico Giorgio De Chirico, che rievoca le suggestioni della classicità in un tempo sospeso. Recuperano la tradizione anche gli Italiens de Paris: Alberto Savinio esorcizza la tragedia in visioni ludiche al limite del surrealismo, mentre nei fugaci paesaggi di Filippo De Pisis languono bagliori impressionisti.
La rassegna fissa i movimenti artistici che hanno dimidiato il Novecento tra modernità ed eredità del passato: il Realismo magico di Giorgio Morandi e Carlo Carrà approda a un silenzio contemplativo sui segni nascosti dell’ordinario, insieme al nitore simbolico di Felice Casorati; il Primordialismo plastico assume la forma austera di un mito moderno che rievoca il Quattrocento italiano. Sono queste alcune anime della sperimentazione degli anni Venti e Trenta, che si accompagnano agli stravolgimenti visionari della ‘Scuola di Via Cavour’ e alla dimensione monumentale in Gino Severini e Mario Sironi.
L’osservatore si lascia alle spalle il militante realismo di Renato Guttuso per inoltrarsi nella non figuratività del secondo Dopoguerra, introdotta dal raffinato onirismo di Osvaldo Licini. La seconda parte della mostra si focalizza sull’indagine spaziale di tre individualità miliari: Giuseppe Capogrossi segna il punto di transizione nella celebrazione del segno; nei sacchi laceri di Alberto Burri c’è la storia della miseria umana; il “sacerdote del gesto” Lucio Fontana indaga al di là della rassicurante bidimensionalità della tela. La poesia visiva di Emilio Isgrò esalta la forza della parola eliminata, mai tanto eloquente come quando è costretta al silenzio. In mostra non mancano il gruppo Forma e la Pop Art italiana, le sperimentazioni di azzeramento dell’Arte Concettuale e l’etica dell’Arte Povera, fino alla meritoria presenza delle provocazioni del padovano Gruppo Enne. Alla fine degli anni ’70 la Transavanguardia grida al “libera tutti” e l’artista torna a parlare in prima persona: superato il contrasto tra astratto e figurativo, il cerchio si richiude. Ma non per molto.