La Cattedrale di Chartres. Questi brevi appunti, le impressioni e le riflessioni che vi sono riportate, si riferiscono alla mia prima visita alla cattedrale di Chartres, effettuata nel 1990.
L’incontro con questo capolavoro dell’arte gotica era stato preceduto da una serie di riunioni e di discussioni con altri amici carissimi, in particolare con i quattro che mi sarebbero stati compagni di viaggio: onde arrivare sufficientemente preparati all’appuntamento, facemmo ricorso soprattutto a testi specializzati ed alle conoscenze di amici più esperti.
Mi propongo, nel redigere queste note, lo stesso obiettivo che mi ero posto sin dal primo momento: quello di tenere ben distinte le emozioni personali, le percezioni soggettive (mie e di altri) dai dati oggettivi, inconfutabili. In parole più semplici vorrei, pur nel limitato tempo a disposizione, che non venissero confusi i fatti con l’interpretazione degli stessi.
Siamo arrivati a Chartres, in automobile, in una stupenda e gelida giornata di sole. La cattedrale è oggi visibile da molto lontano perché sorge su un colle, e la pianura circostante non è più ricoperta dai fitti boschi che dovevano attraversare i Druidi e i pellegrini medievali.
Le due torri della facciata costituiscono tema ricorrente dell’architettura sacra: si richiamano a quelle del vestibolo del Tempio di Salomone, riprese nei templi massonici, a loro volta ispirate ai due obelischi antistanti i templi egiziani. Avevano il compito di captare, come antenne, l’energia cosmica per riversarla sui fedeli riunitisi per onorare la divinità.
Via via che ci si avvicina, si resta sorpresi dalla sproporzione tra l’enorme monumento e il modesto borgo, composto di piccole case: doveva esserci un ben valido motivo per costruire proprio in quel luogo una chiesa così imponente, per giustificare una volontà ed una determinazione sublimate in un impegno così gravoso proprio a Chartres.
La risposta è semplice e documentata, almeno per quanto concerne la scelta del sito: quel colle era da tempo immemorabile luogo di culto, e i nativi attribuivano all’antica sorgente virtù terapeutiche e forza rigenerativa. La fama si sparse. I Druidi lo ritenevano punto d’incontro di forze benefiche (la scienza moderna vi ha rilevato in effetti anomale correnti magnetiche) e raccomandavano ai pellegrini di camminarvi sopra a piedi nudi, e con passo ritmato (il ritmo, se ossessivo, facilita forme estatiche e queste erano ritenute un modo per avvicinarsi alla divinità) in modo da esserne attraversati.
Questa tradizione venne ripresa dal Cristianesimo attraverso il labirinto circolare posto sul pavimento della navata centrale della chiesa, che i fedeli dovevano percorrere a piedi nudi, o in ginocchio, senza fermarsi, in una sorta di pellegrinaggio alla Città Santa, in un cammino di trasformazione e di redenzione che somigliava molto a quello dei Druidi. Seguendo il tracciato del labirinto di Chartres, che si snoda per circa 200 metri, ci si avvicina più volte al centro, sino a sfiorarlo, per poi allontanarsene: ma la strada per giungere alla meta, alla verità, è una ed una sola e non bisogna scoraggiarsi. Da notare che la meta di questo tracciato è la rosa dei templari, essa stessa labirinto.
Nel frattempo, verificando dal vivo la grandiosità dell’impresa e lo sforzo, sia tecnico sia economico necessario, soprattutto se riferito alla società ed ai mezzi del XII secolo, si poneva spontanea in me, abituato a progettare, pianificare e dirigere lavori, una prima domanda alla quale stentavo nel trovare una risposta.
Per costruire Chartres erano stati necessari non solo tecnici di vaglia ma anche maestranze numerose e ben preparate. Ebbene, in questa regione neppure tanto grande della Francia, tra il 1130 ed il 1150, di cantieri giganteschi, come quello di Chartres, ne sorsero improvvisamente più di 20, tutti finalizzati alla costruzione di splendide chiese gotiche: e quell’“improvvisamente” si riferisce in primo luogo alla rivoluzione tecnica di cui era portatrice l’architettura gotica.
L’arco a sesto acuto, che qualcuno ha voluto ispirato all’atto di pregare a mani giunte, l’alleggerimento del carico sulle pareti montanti, la verticalizzazione delle strutture erano concetti completamente nuovi.
Si può anche ammettere che in una scuola, peraltro a noi ancora ignota, si sia formata un’elite di architetti che elaborò e diffuse queste nuove tecniche, ma la trasformazione delle idee di pochi in progetti concreti, l’accettazione di questi progetti così impegnativi e costosi da parte di vaste comunità, la preparazione alla nuova arte del costruire delle maestranze necessarie ad avviare tanti cantieri in parallelo, sono difficilmente spiegabili in così breve arco di tempo.
Dove e come tante persone erano state istruite in soli 20 anni? Quale slancio di fede, quale entusiasmo prese in quel periodo tante città, tanti individui, per convincerli a salire ad altezze vertiginose, con carichi di quintali, su traballanti impalcature dalle quali spesso si precipitava sfracellandosi al suolo? Tutto questo nella più assoluta carenza della strumentazione edile e dei mezzi di comunicazione cui oggi siamo abituati, con lunghi tempi necessari alla circolazione delle tecniche e delle idee; all’epoca non esisteva neppure la stampa.
Tra le varie ipotesi sinora avanzate, trovo affascinante e meritevole di approfondimento quella che si basa su forme di inconscio collettivo, inteso come manifestazione terminale di un’intelligenza pura, assoluta, immanente, alla quale si ricollega, infinitamente più piccola, anche la singola intelligenza umana e con la quale, più o meno inavvertitamente, ogni individuo può interagire. E’ una teoria tipica non solo di molte religioni, ma anche di numerosi scienziati che hanno studiato il mondo paranormale (in particolare fenomeni di preveggenza e di telepatia) ovvero i comportamenti delle colonie di insetti più organizzati.
Ero ancora immerso in queste considerazioni quando entrammo nella cattedrale. C’era di che restare ammutoliti: lo slancio verticale, il gioco delle luci e delle ombre, dei vuoti e delle masse, l’incredibile luminosità dei rosoni multicolori, l’armonia dell’insieme, suggerivano al visitatore il senso di una presenza superiore. Non vi è più traccia del pavimento originario, che fu realizzato in piastrelle bianche e nere per simboleggiare la dualità del nostro mondo, ma la sensazione di essere entrati in un tempio per iniziati fu forte. Erano troppo numerosi i messaggi, all’interno ed all’esterno dell’edificio, troppo ricchi di particolari per non essere indirizzati a qualcuno che allora era in grado di capire; noi contemporanei avevamo semplicemente perso il codice di decifrazione.
Mi sentivo grande, come uomo, per quello che era stato capace di fare il mio simile, mi sentivo piccolissimo per quanto evocava l’ambiente. Le basi dei pilastri erano lucide e levigate a causa delle innumerevoli mani che vi si erano poggiate nei secoli: sembrava di sentire la presenza di tanta umanità dolente, di tante intelligenze che si erano recate a Chartres per interrogarsi sui grandi problemi della vita.
Alle percezioni soggettive di quei primi momenti subentrò subito dopo il desiderio della verifica critica di alcuni dati oggettivi particolarmente interessanti che, proprio perché difficilmente attribuibili al caso, costituivano uno degli obiettivi principali del mio viaggio.
E’ opportuno prima ricordare alcune caratteristiche geometriche dell’edificio:
1- La pianta della cattedrale è articolata su tre distinte superfici (o, come dicono gli esperti, tre tavole) aventi tutte la medesima area; entrando nel tempio troviamo una dopo l’altra, una tavola rotonda, poi quella quadrata, infine quella rettangolare, che in termini esoterici rappresentano l’uomo naturale (il cerchio), l’uomo razionale (il quadrato), l’uomo iniziato (il rettangolo); c’è un preciso richiamo ai tre livelli di conoscenza necessari per la costruzione del tempio: il manovale, l’architetto, il teologo. Si ricordi che la mediazione tra il terreno, il razionale (il quadrato) ed il divino, il trascendente (il cerchio) era rappresentato dall’ottagono;
2- Alle suddette tre figure di base se ne aggiunge una quarta: l’ettagono regolare, ovvero la stella a 7 punte, utilizzato, tra l’altro, per la costruzione dell’abside nonché per la collocazione del transetto rispetto al “centro sacro” rappresentato dall’antico Pozzo dei Forti, nel centro del pozzo druidico;
3- La tavola rettangolare ha dimensioni di m 16,40 x 32,80 e viene definita mediante l’ombra proiettata dalla “colonna del Tempio” all’alba dell’equinozio. Ha quindi i lati nel rapporto 1 : 2, così come nel Tempio di Salomone l’ aula di base era di 20 misure per 40 (larghezza, lunghezza, altezza dell’intero edificio erano 20x60x30); da questa tavola rettangolare viene prima ricavata la tavola quadrata, poi quella rotonda: si noti che quest’ultimo passaggio non è altro che una brillante soluzione empirica, per via geometrica, della famosa “quadratura del cerchio” (l’errore è di 1 : 13.000 pari a meno dello 0,008%);
4- Il calcolo delle superfici equivalenti è ingegnosamente risolto tramite la geometria e con l’aiuto della cosiddetta “corda dei druidi”. Si tratta di una corda con 12 nodi equidistanti, suddivisa quindi in 13 segmenti uguali, che consente, tra l’altro, la definizione dell’angolo retto (triangolo 3-4-5) e dell’angolo della stella a 7 punte (triangolo 4-4-5);
5- L’altezza massima della volta è di 36,9 metri; l’antico altare dei Druidi, già dedicato ad una Vergine “paritura” (cha sta per partorire) in epoca precristiana, si colloca simmetricamente a 36,9 metri sotto l’attuale livello del pavimento; lo sviluppo verticale della navata è scandito da un’armonica alternanza di pieni e di vuoti (archi, capitelli, trifore, ecc).
6- Le cattedrali gotiche di Amiens, Rouen, Beuvais, Reims, Parigi, Chartres sono disposte sul territorio francese in modo da riprodurre lo schema della costellazione della Vergine, con Chartres che corrisponde alla stella più brillante, Spica: non a caso sono tutte dedicate a Notre Dame. Torna prepotente alla memoria la disposizione delle Piramidi di Giza, ispirata alla cintura della costellazione di Orione;
7- L’asse della navata, come nelle altre cattedrali gotiche, non è il prolungamento esatto di quello del coro; c’è una deviazione voluta, il cui esempio più antico è il tempio di Luxor in Egitto. La deviazione dell’asse vuol rappresentare una rottura tra due diverse realtà: è la frattura tra la navata, luogo della conoscenza razionale, ed il coro, luogo della conoscenza in assoluto, ovvero tra l’ambiente riservato ai fedeli e l’ambiente riservato ai celebranti.
8- L’orientamento della cattedrale è calcolato secondo la direttrice est-ovest al 21 marzo. Come a dire che all’equinozio di primavera il sole inonda di luce l’abside e la navata con evidente richiamo a Gesù che porta la luce fugando le tenebre.
E’ altrettanto opportuno ricordare alcuni aspetti che caratterizzavano l’architettura sacra di quel periodo:
1- Queste stupende, e costosissime, cattedrali dovevano costituire monumento di dottrina e di sapienza; non a caso si parla di “bibbie di pietra” nelle quali doveva poter leggere sia l’uomo comune sia il dotto più esigente. In tal senso queste opere dovevano essere comprensibili al profano e all’iniziato, laddove questi termini vengano riferiti a coloro che erano o che non erano in grado di capire ciò che si voleva affermare e trasmettere. Esse vanno “lette” come il tentativo di illustrare la teologia attraverso la geometria. La cattedrale gotica, come già il Tempio di Salomone, doveva rappresentare nell’immaginario collettivo, la “Gerusalemme Celeste” e la sua architettura doveva basarsi sulla geometria perché questa era capace di distogliere l’uomo dalle apparenze terrene indirizzandolo alla contemplazione dell’ordine divino.
2- Platone aveva evidenziato a suo tempo che esiste corrispondenza tra proporzione visiva ed armonia musicale, nel senso che l’occhio umano è naturalmente attratto da alcuni particolari rapporti matematici che si ritrovano anche nelle frequenze musicali. Successivamente S.Agostino, nel suo trattato “De musica”, aveva definito questa come “la scienza del ben modulare” precisando che essa “ha natura matematica” perché collega più unità musicali secondo un rapporto, una misura, che è esprimibile con formule matematiche. Musica e architettura sono dunque arti sorelle perché entrambe generate dal numero: su questo si basa l’armonia, percepita con l’occhio o con l’orecchio. Era una tesi già cara ai pitagorici, per i quali musica, matematica e filosofia erano fuse in un’unica dimensione. Quando poi anche Boezio esaltò le proporzioni musicali come perfette, l’estetica agostiniana del numero e della proporzione, che si ricollegava al passo della Sapienza di Salomone “tu hai ordinato tutte le cose secondo misura, numero e peso” , diventa la chiave di lettura di tutto il mondo medievale ed in particolare dell’architettura.
Tutto ciò premesso mi limito ad evidenziare pochi punti che lasciano però intravedere conoscenze matematiche, astronomiche, fisiche, molto avanzate:
1- La vera unità di misura, quella realmente usata dai costruttori della cattedrale, il cosiddetto cubito di Chartres, è pari a m 0,738 ovvero un centomillesimo esatto di un grado del parallelo passante per Chartres! Questa coincidenza, già di per sé eclatante, lascia stupefatti se abbinata al fatto che il cubito delle cattedrali gotiche di Beauvais, di Reims e di Amiens è rispettivamente m 0,72, m 0,71 e m 0,70, ovvero ancora un centomillesimo del rispettivo grado di parallelo.
2- A conferma della volontà di riflettere nelle cattedrali gotiche elementi architettonici indissolubilmente legati alle scienze esatte, troviamo che, come la volta di Chartres è alta 50 cubiti ed il pozzo celtico è profondo ancora 50 cubiti, per complessivi 100 cubiti pari alla lunghezza della navata, così la cattedrale di Beauvais ha la navata di 72 metri ed il coro di 36 m. (rispettivamente 100 cubiti e 50 cubiti di Beauvais), mentre i transetti di Amiens sono lunghi 70 metri (100 cubiti) e la cattedrale di Reims è lunga 142 metri (200 cubiti di Reims).
3- Abbiamo identificato due segmenti di riferimento: l’appena citato cubito di Chartres di m 0,738 e la misura di m 0,820 ricavabile dalla base di una tavola rettangolare (m 16,40 corrispondenti alle 20 misure del Tempio di Salomone); il triangolo rettangolo avente cateti 0,738 e 0,820, definisce un angolo di 48°, lo stesso angolo su cui si colloca il parallelo di Chartres rispetto all’Equatore.
4- Sarà un caso ma la tavola quadrata risulta con lato di m 23,192 pari ad un decimo esatto della base della Piramide di Cheope; la pendenza di questa piramide è di circa 51,2’ ovvero praticamente identica all’angolo della stella a 7 punte usata a Chartres.
5- Presa come misura fondamentale la larghezza della navata (40 cubiti di Chartres) e misurando le diagonali che, dalla base di una navata, terminano di fronte alla volta dei formaret, sui capitelli del coro, sulla cornice delle trifore, sul cordone laterale, sui capitelli di base della volta, sull’altezza massima della navata, troviamo una progressione geometrica in cubiti esprimibile con la serie 40, 45, 48, 60, 70, 80,108. Questi rapporti sono gli stessi rapporti di frequenza di una scala musicale (base, 2=, 3=, 5=. 6=, 8=, intervallo di quarta). Quella che avevamo apprezzato come armonia delle forme, scopriamo in realtà, essere armonia musicale, con interessanti risonanze tra i sensi della vista e dell’udito.
6- In molte sculture, e soprattutto in quelle della facciata occidentale, gli artisti fecero ricorso alla sezione aurea; si tratta di quella “divina proporzione” che tanto affascinò Leonardo da Vinci e che solo molto tempo dopo si scoprì essere alla base della costituzione del corpo umano, delle piante, dei cristalli ed addirittura nel nostro DNA.
7- Il labirinto, che vuole rappresentare il percorso iniziatico verso la salvezza reso più arduo dalle forze del male (si ricordi il mito del Minotauro), fa chiaro riferimento all’anno solare ed a quello lunare. E’ infatti composto di 365 pietre bianche e 273 pietre nere, dove l’anno lunare è composto di 13 mesi di 27,3 giorni ciascuno.
Sarebbero possibili numerosi altri spunti di riflessione ma occorrerebbe troppo tempo. Non posso però non accennare ad un’affascinante problematica spazio/tempo.
E’ noto che gli studiosi hanno scoperto, o ritengono di aver scoperto, anche diversi altri elementi che testimonierebbero, negli architetti di Chartres, un sapere inaspettato e talvolta inspiegabile.
Molti sono convinti che l’edificio aveva il compito di trasmettere anche messaggi e conoscenze basati su una stretta interdipendenza spazio/tempo, ma ad oggi, non è stata ancora individuata la chiave di lettura. Su quest’ultimo tema vorrei azzardare un contributo personale.
Sono convinto che l’astronomia possa giocare un ruolo importante: il modo più semplice per legare lo spazio al tempo, era, per i nostri avi, quello di utilizzare, in momenti prestabiliti, la posizione del Sole (o della Luna o di altri astri) per proiettare, con l’ausilio di costruzioni in pietra, ombre e luci dal particolare significato.
Una verità immutabile, funzione dello spazio e del tempo, non può essere tramandata che tramite misure indeformabili (la pietra) e tempi rigorosamente determinati (il moto degli astri).
Cito tra i numerosi esempi la stessa cattedrale di Chartres dove, grazie ad un forellino individuabile nella vetrata del transetto Sud, detta di Saint Apollinaire, il 21 giugno a mezzogiorno un raggio di sole cade sul pavimento proprio su un dischetto dorato posto al vertice della Tavola quadrata, facilmente distinguibile perché in pietra più chiara.
Ed ancora in Chartres: il rosone centrale del lato ovest ha le stesse proporzioni del labirinto disegnato sul pavimento della navata cosicché ogni 15 agosto (festa dell’Assunzione) esso vi si sovrappone perfettamente con l’immagine della Madonna riprodotta proprio al centro, meta del percorso di redenzione.
E’ facile ipotizzare che, misurando altri fasci di luci e di ombre, interni ed esterni alla cattedrale, potrebbero ricavarsi altre interessanti correlazioni.
A questo punto non ritengo di possedere certezze da trasmettere: invito ciascuno ad individuare, secondo la propria formazione e le proprie convinzioni, una risposta soddisfacente ai tanti quesiti che questa costruzione solleva.
Personalmente credo che il vero arricchimento di chi visita un monumento, come quello di Chartres, sia costituito dall’essersi posto un problema e dall’averlo affrontato; incidono poi lo stato d’animo con cui ci si avvicina ad esso, il grado di preparazione che ne consente la lettura, la disponibilità ad assimilare ed interiorizzare i messaggi.