Band di origine reggiana, i Francesco Tirelli (che prendono il nome dal loro cantante) hanno appena pubblicato “L’isola che non è”, il nuovo album. Abbiamo rivolto loro qualche domanda.
Nuovo album per voi: ci raccontate come ci siete arrivati?
Il nostro nuovo album è stato qualcosa di nuovo per noi, perché a differenza degli album precedenti che sono nati nel modo più classico, “l’isola che non è” è stato la conseguenza dei singoli pubblicati in questi mesi.
Questa scelta, dovuta all’evolversi del mercato discografico, ha influenzato pesantemente il disco, trasformandolo da una semplice fotografia di un momento, a un racconto di un periodo più grande, durato una quindicina di mesi.
Perché questo titolo?
La scelta del titolo è sempre difficile, anche perché noi abbiamo sempre voluto evitare di chiamare l’album col nome di una canzone e, come si vede dal nome del nostro gruppo, facciamo molta fatica a scegliere etichette e titoli.
Per “l’isola che non è” abbiamo cercato nome da tre sigificati: un omaggio a Bennato, che come molti dei cantautori di quel periodo ha influenzato pesantemente la nostra musica e alla sua “isola che non c’è”;
un omaggio a Peter Pan, citato anche nella prima canzone del disco, “Peter punk”, una favola bellissima che ci insegna a rimanere bambini;
infine una visione politica dell’Italia, vista come la penisola che è, legata saldamente all’Europa e non, come nella dialettica sovranista, isolata dal mondo.
Qual è stata la canzone più complicata da scrivere?
Decisamente “la tua canzone”. Francesco, il nostro cantante ed autore dei brani, voleva scrivere un pezzo per la nascita di sua figlia e lo voleva assolutamente perfetto, così ci abbiamo lavorato e rilavorato sopra per quasi due anni. Alla fine quando è uscito, sua figlia lo sapeva già cantare meglio di lui! E se non lo avessimo obbligato a pubblicarlo, probabilmente avrebbe continuato a ritoccarlo all’infinito.
Il risultato, però, riteniamo che abbia meritato una lavorazione così lunga e la piccola Edies (la figlia di Francesco) ha davvero apprezzato il nostro regalo.
C’è anche un video che accompagna il disco: ce ne parlate?
Il video è quello dell’ultimo singolo uscito, “vivevamo a colori”. Lo abbiamo girato parzialmente nella zona dei castelli matildici, nelle colline reggiane e parzialmente nel crinale appenninico che divide Emilia Romagna e Toscana.
L’idea era quella di riprendere classici video Southern Rock girati negli Stati Uniti del sud e al contempo rivivere una di quelle avventure che facevamo da ragazzi.
Così siamo partiti a piedi e abbiamo camminato in bellissimi posti per alcuni giorni, riprendendo la bellezza di quei luoghi e ricavandone, alla fine, un video.
Avete già ricominciato l’attività live?
Non ancora. Suonando la nostra musica rock abbiamo il bisogno e la fame di avere davanti persone che saltano e ballano e non possiamo pensare a un concerto con il distanziamento. Quindi siamo in trepidante attesa che le normative permettano di fare la festa che abbiamo voglia e la necessità di fare.
Ma siamo certi che prima o dopo potremo tornare a fare quello che sappiamo fare meglio: sprigionare ansime al nostro pubblico, tutta la nostra carica.
Ci lasciate una playlist di vostre canzoni per far capire chi siete a chi ancora non vi conosce?
Per iniziare è indispensabile ascoltare “ti dedico un sogno”, la prima canzone che Francesco ha scritto a 17 anni, per la nascita di sua cugina. Qualche anno dopo l’abbiamo registrata ed inserita nel nostro primo album, “come l’acqua”.
Poi, ne “il diario”, il nostro secondo disco, vi sono varie canzoni che sono molto apprezzate dai nostri fan: “una notte sola”, “highway 61”, “Londra” e “Va così”, ma se dobbiamo sceglierne una, direi “il ponte sulla luna”, un brano romantico scritto per quella che oggi è la moglie di Francesco.
Infine vi consiglio “l’uomo del tempo”, il nostro maggior successo fino ad “#hashtag”. Un brano scritto per il nonno di Francesco. Se poi volete approfondire il resto de “l’universo dentro”, consigliamo “Polvere” e “Tra Lhasa e Buenos Aires”.