L’ultimo romanzo dello scrittore Giovanni Margarone Storia di un punto e virgola pubblicato con bookabook si è aggiudicato il 2° posto al Premio Letterario Nazionale “Città di Taranto” Ed. 2022, il 4° posto al Concorso Argentario 2022, la “Menzione speciale della critica” al Premio Massa città fiabesca di mare di marmo 2022 e il “Premio Rinnovamenti” come finalista al Concorso “Le parole arrivano a noi dal passato 2022” di Rogliano (CS).
Pagine intense, che celebrano la nascita di una consapevolezza mai incontrata e un inno al cambiamento.
Giovanni, quali analogie e differenze troviamo con la tua precedente produzione letteraria?
La differenza sostanziale con i precedenti romanzi è essermi incentrato su un unico personaggio su cui basare la storia, non c’è un concerto di personaggi paritari fra loro. Questo è stato da me appositamente fatto affinché fosse possibile attirare l’attenzione sul protagonista, rimarcandone i connotati psicologici, comportamentali e anche grotteschi. Come introdotto all’inizio del romanzo, Demetrio non è illuminato dalla luce e la sua esistenza scialba e crepuscolare avrebbe suscitato poco o nullo interesse. Da qui lo sforzo narrativo di rendere interessante una persona che, di fatto, non lo era e questo soprattutto nella prima parte che è un preludio a ciò che poi succederà al personaggio, di ben diverso tenore, nella seconda parte.
Analogie, per ciò che ho poc’anzi esplicitato, ce ne sono ben poche, un residuo di romanzo di formazione, forse, ma anche in questo caso la narrazione non comprende tutta la vita del protagonista, se non averne fatto pochi cenni riguardo alla sua infanzia e adolescenza sporadicamente. Il romanzo è incentrato sul “giro di boa” esistenziale, proprio per far comprendere quel messaggio sul cambiamento, sulla metamorfosi…
Demetrio, il protagonista, assomiglia in qualcuno degli altri tuoi personaggi?
Assolutamente no. Volevo raccontare la storia di una persona crepuscolare, poco interessante, sforzandomi di farla diventare invece interessante. Credo che nella scrittura sia fondamentale rimettersi sempre in gioco, cambiando talvolta le dinamiche narrative e, come in questo caso, i tipi di personaggi. Penso che per uno scrittore questo sia di fondamentale importanza. La scrittura è creatività, è arte. Sarebbe “insipido” scrivere romanzi sempre dello stesso tenore e questo, in fondo, non l’ho mai fatto. È motivante scrivere cose sempre nuove e diverse fra loro, è una palestra intellettuale non indifferente.
Potremmo definirlo un romanzo di formazione e, se sì, troverebbe un qualche accostamento con una grande opera della letteratura italiana o straniera?
Come ho già detto prima, c’è poco del romanzo di formazione, forse si accosta di più alla commedia. Il protagonista nella sua crepuscolarità è bizzarro, grottesco, tanto da far quasi tenerezza, dopotutto. Ma è proprio il carattere blando, insipido di Demetrio, trattato nella prima parte, il punto di forza sul quale ho costruito ciò che gli succederà nella seconda parte.
Un soggetto simile lo possiamo trovare nel racconto “Passeggiata” di Guy de Maupassant, facente parte della raccolta “Racconti bianchi, racconti neri racconti della pazzia”. Il protagonista – tale Leras – è molto simile a Demetrio, perlomeno come carattere. Ma troviamo personaggi simili un po’ in tutta la letteratura, dopotutto bisogna raccontare solo dei belli, radiosi, forti e fortunati? Se così fosse la letteratura avrebbe un unico colore, sarebbe monotona. Nel quadro del pittore del Seicento descritto nel primo capitolo del romanzo, pongo in evidenza che quel personaggio nell’ombra (assimilato a Demetrio), l’artista l’ha comunque inserito nel quadro, perché senza quel personaggio il dipinto sarebbe stato incompleto; in sostanza poteva ometterlo, ma, evidentemente, serviva a qualcosa nella mente del pittore, aveva un suo significato.
Se la vita di Demetrio fosse un caleidoscopio di colori, quali sfumature vedrebbe virare pagina dopo pagina?
Dal grigio ai colori dell’arcobaleno, ma il colore finale non lo svelo, chi lo leggerà lo scoprirà.
Enrico Marras, artista e poeta, ha espresso parole molto belle in passato sulla tua scrittura. Credi che gli aggettivi con cui l’ha descritta potrebbero bene adattarsi anche a questo romanzo?
Credo di sì, tenuto conto che ha letto anche questo mio romanzo e gli è piaciuto molto.
In chiusura, la domanda che vorresti ti facessero (ma non ti fanno mai) legata al tuo essere scrittore?
Premetto che la domanda che esprimo non mi è mai stata fatta perché sulla mia salute sono un po’ riservato ed è questa: quanto ti ha aiutato la scrittura nella lotta contro il cancro?
Ebbene sì, l’anno scorso mi è stato diagnosticato un cancro per di più metastatico e da quel momento in poi la mia visione della vita è cambiata. Sono cominciati accertamenti clinici di tutti i generi, sfociati poi in un intervento a Milano e nella chemioterapia e radioterapia per debellare un male insidioso e recidivante.
Questa è la risposta: la scrittura mi ha aiutato molto, nel corso della mia malattia ho pubblicato questo mio quarto libro e ciò mi ha distratto da quell’angoscia derivata dal fatto di vedere l’orizzonte della mia vita proiettato verso la notte. Sì, perché è inevitabile in un frangente del genere pensare alla notte, al buio con un male che tenta di portarti via quando vorresti fare ancora tante cose. Non ho sconfitto il cancro, perché il pericolo di recidiva, dopo le cure, è sempre alto; ma sono ottimista perché sono sempre stato animato dalla speranza, non demordo e vado avanti, anche con la scrittura che più che mai è diventata una mia fedele compagna. Per questo continuo a scrivere, sempre. Il mio romanzo, scritto quando ancora non sapevo di essere ammalato, è un inno alla vita e ciò che mi capitato mi ha fatto intendere che essa è il dono più grande, da non sprecare mai, da assaporare fino all’ultimo respiro.