Febe: intervista alla cantautrice per “Lost Potential”

FEBE è una giovane artista, nata in Italia e da quando era piccola ama la musica e l’arte. Il progetto su cui sta lavorando ha visto FEBE come creative director nell’intero processo, da scrivere le sue stesse canzoni, comporle e creando visuals. Mentre racconta dei suoi problemi di salute mentale che l’hanno colpita negli ultimi anni e libera le parole che non ha mai detto ad alta voce, esplora tanti generi differenti per trovare quello in cui si sente meglio. Il suo singolo di debutto “What if” è stato seguito da “Is this living life?” e da “Lost Potential”, tre dei cinque brani che andranno a comporre il puzzle di “Drowning”, il primo EP dell’artista.

Il nome FEBE è un elegante nome di origine greca e significa “luminoso”. Infatti, “Febo” era uno dei tanti aggettivi usati per definire Apollo, dio della musica, delle arti, della profezia e del sole. Il legame dell’artista con la mitologia greca e la musica l’ha portata a scegliere “Febe” come nome d’arte.

Come è iniziata la tua avventura nel mondo della musica?

La musica l’ho sempre amata fin da quando ne ho memoria, iniziai a farmi strada in questo mondo cominciando a prendere lezioni di chitarra. Il mio maestro mi disse che avevo una voce molto bella e che dovevo coltivare questo dono. Forse chissà, se non fosse stato per lui, se ci avessi creduto allo stesso modo. 

C’è stato un momento decisivo in cui hai detto “questa è la mia strada”?

Ho iniziato a pensare più seriamente alla musica verso l’adolescenza, ma ero consapevole di essere ancora acerba da morire, così ho cominciato a prendere lezioni di canto e la mia insegnante mi ha tirato fuori tutta la voce che si nascondeva timidamente in me. Da quel punto in poi mi sono sempre tenuta un piano B, per finanziare il piano A (che sarebbe quello di affermarmi nel mondo della musica), in parallelo a studi in graphic design e multimedia ho continuato ad andare a lezione e a creare la mia musica ed oggi siamo qui!

Come hai superato le sfide che hai incontrato e cosa hai imparato da esse?

In 15 anni che bazzico nel mondo della musica, ho preso tante porte in faccia e anche delusioni, l’ultima nemmeno molto tempo fa ad esser sinceri. Spesso la prendo male, cioè non che mi metto lì a puntare i piedi a dire che non è giusto perché io sono brava, è un prenderla male perché sono una perfezionista e vorrei che tutto l’impegno che ci metto dietro si vedesse e spesso in quei 30 secondi che ti danno per presentarti non traspare per colpa del mio modo di essere. Sono molto chiusa e timida, passa di me un’immagine sempre insicura ed è frustrante che ci vogliano due o tre chiacchierate in più con me per capire che in realtà sono molto di più della me introversa. Ad ogni modo, ho imparato a provare a essere più spigliata subito, anche se faccio davvero molta fatica, prendere con filosofia i rifiuti per migliorare è la miglior cosa da fare invece.

Come hai visto evolvere il tuo stile musicale e artistico nel corso degli anni?

Credo sia ancora presto per parlare di evoluzione, questo è il mio primo progetto a cui lavoro, ma sicuramente da gli anni precedenti a oggi ho preso più consapevolezza dell’artista che sono e ho un’identità molto meglio definita, spesso venivo eliminata dai concorsi perché appunto non ancora definita e soprattutto insicura. Avere un nome d’arte, dei temi, delle parole chiave, può aiutare ad acquisire consapevolezza di sé e del messaggio che si vuole portare a chi ti ascolta.

Quali consigli daresti a chi sta iniziando la sua carriera artistica?

Se la musica ti fa stare bene io direi di studiare, provare concorsi su concorsi, familiarizzare col palco e non arrendersi mai. La “chiamata” a registrare qualcosa di tuo arriverà quando sarai abbastanza pronto per farlo, non affrettati ad andare subito in studio di registrazione se ancora non sai neanche in quale genere la tua voce o tu stesso stai meglio. Esplora te stesso e la musica che senti, sii autentico nelle emozioni che provi e che traspaiono quando canti o suoni e vedrai che andrà bene.

C’è un messaggio o un’emozione che speri di trasmettere attraverso questo singolo?

Lost Potential è governata da un contrasto: la melodia allegra che fa anche venire voglia di ballare, ed il testo molto malinconico, come gli altri brani del resto…  Se nei due precedenti What if e Is This living Life? Si parlava corrispettivamente di depressione e ansia sociale, in questa si parla della scarsa autostima, di come non riesco mai a sentirmi abbastanza per essere presa sul serio e che a forza di cercare di dimostrarlo giungo anche al burnout. Nel videoclip viene evidenziato anche un ulteriore significato che ha per me questo brano: in un divertente palcoscenico, mi cambio di  travestimento rappresentando con questa metafora esagerata come ancora io non sappia chi sia, cosa voglia essere, e di conseguenza mi sento come se per tentare di far capire che ho la testa sulle spalle, plasmassi la mia personalità a seconda di quello che voglio che la gente percepisca di me, per avere in questo modo una spinta in più di autostima, quando in realtà ne possiedo davvero poca.

Hai intenzione di esplorare nuovi generi musicali nei tuoi prossimi progetti?

Sarò onesta: la sfera rock, alternative, pop-rock e musica con le vibes degli ultimi anni novanta – primi anni duemila, mi attrae particolarmente. Ormai è un bel po’ che rimugino su quale genere concentrarmi una volta rilasciato tutto il mio primo EP e questo è quello che non mi stanca mai. Io spero proprio di riuscire a fare qualcosa su questa scia per le prossime uscite.

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