Lamberto Giusti ci parla del periodo coloniale italiano

“Il ribelle” trova spazio una storia risalente al periodo coloniale dell’Italia che in molti hanno cercato di far dimenticare o di nascondere. Ma c’è anche una vicenda che, per quanto sia romanzata, fa rivivere le paure, le incertezze, le ansie, le preoccupazioni di una famiglia alle prese con avvenimenti più grandi di lei. E poi, atmosfere esotiche legate alla Bengasi degli anni ’30 del secolo scorso, personaggi unici, controversi, approfittatori, umanamente fragili, che si muovono sullo sfondo della vicenda del ribelle libico e del traduttore del tribunale.

“Il ribelle” edito da LifeBooks Edizioni. Dal 17.02.2024 il libro si può trovare in tutti i bookstore e ordinabile in tutte le librerie.

Incontriamo l’autore.

Lamberto Giusti autore e…? Ci parli di lei: Mi sono dedicato per diversi anni alla comunicazione, occupandomi di carta stampata, radio, televisione, quotidiani online, uffici stampa, scrivendo su una quantità di argomenti. Un bel giorno, sollecitato da mia moglie, ho pensato che fosse arrivata l’ora di scrivere qualcosa che piacesse principalmente a me. Ho così scritto il mio primo romanzo, “Per caso e per amore”, un giallo e per farlo non ho trovato di meglio che pescare nei miei ricordi, nelle esperienze vissute e tra le persone che ho conosciuto. A seguire ho scritto “Le principesse di Mumbai” dove ho raccontato una storia di mafia esportata in India. In questo caso ad aiutarmi nella descrizione di luoghi e personaggi è servita enormemente l’esperienza fatta con mia moglie quando abbiamo adottato nostro figlio a Mumbai. E questo intreccio tra realtà, fantasia e fatti realmente accaduti l’ho continuato anche nel mio terzo romanzo “Il ribelle”.

Il suo romanzo storico s’intitola Il ribelle. Ce ne parli: Narra la vicenda, in parte storicamente provata e in parte fantasiosa, del leader senussita libico Omar al-Mukhtar che per oltre vent’anni combatté contro l’esercito di occupazione coloniale italiano fino al momento della sua cattura. Il romanzo si focalizza sul rapporto che nasce tra l’arabo prigioniero e il funzionario italiano, Guido Bastioni, traduttore del tribunale di Bengasi, incaricato di provare a convincere a collaborare il ribelle nel tentativo di far arrendere i capi della rivolta ancora in libertà. Per contro, nei pochi giorni in cui al-Mukhtar è rimasto in prigione ha raccontato a Bastioni quello che il suo popolo aveva dovuto soffrire a causa dei colonizzatori suoi compatrioti trovando prima lo scetticismo dell’italiano e poi il suo sgomento. Intorno a questo nucleo centrale si muovono tanti altri personaggi che ci permettono di conoscere più da vicino la vita nella colonia. Inoltre, vengono descritti luoghi che erano quelli realmente esistenti nella Bengasi di quegli anni. Alcuni personaggi che si incontrano nel romanzo sono realmente vissuti, altri hanno trovato vita grazie alla mia fantasia.

Anche l’Italia ha il peso della storia coloniale, che cosa ne pensa? Italiani brava gente è una domanda, riferita all’epoca coloniale, che diversi storici si sono posti e la risposta è stata sempre un sonoro No. Con l’avvento del fascismo la corsa a “donare” al re un proprio impero diventò più frenetica e per raggiungere certi obiettivi venne messo da parte una caratteristica dell’italiano: l’umanità. Chilometri di filo spinato per isolare le popolazioni libiche (ideati dal generale Graziani che alla fine della Seconda guerra mondiale doveva essere processato come criminale di guerra ma che venne ‘salvato’ dagli alleati), campi di concentramento, utilizzo dei gas, bombardamenti dagli aerei (siamo stati i primi a farli), stragi di civili inermi. E tutto questo nel silenzio delle altre nazioni che si limitarono a redarguire l’Italia dal momento che Paesi come l’Inghilterra, la Francia e altri, avevano usato lo stesso pugno di ferro nelle colonie di cui si erano appropriati loro stessi. 

Come è nato questo romanzo? È nato da un’intuizione di mia moglie. Un giorno mi ha detto che le sembrava assurdo che avendo una storia famigliare così particolare non ne traessi lo spunto per un romanzo. Era vero! La famiglia di mia mamma ha vissuto per tanti anni in Libia, quando mio nonno Guido Guastoni lavorava presso il tribunale di Bengasi come traduttore. Avevano una vita agiata, perché il regime trattava bene i suoi funzionari d’oltremare, una bella casa, dei domestici. Mio nonno ha vissuto sempre tra Medio Oriente e Africa, salvo una breve parentesi a Genova mentre mia nonna Caterina non si era mai mossa da Fossano precisamente dalla frazione Boschetti. E per lei fu molto dura abituarsi a un mondo così diverso da quello a cui era abituata. Nel 1941 la famiglia Guastoni (padre madre e cinque figli) scapparono con i solo vestiti che avevano addosso quando gli australiani conquistarono una prima volta Bengasi. Arrivarono in Italia e si rifugiarono nel solo posto che conoscevano: Fossano. Una storia così valeva la pena di riscriverla! A questa ho aggiunto quella del ribelle libico al-Mukhtar, vicenda dimenticata ad arte nei libri di storia che riguardano l’Italia colonialista. E tra fantasia e realtà ho voluto omaggiare entrambe le vicende.

I prossimi impegni? Intanto le presentazioni del romanzo. Ho avuto la fortuna di poter contare su una Casa editrice molto attiva nelle varie fasi della realizzazione del libro e in quelle relative alla sua promozione. Così, avendo voluto la bicicletta ora mi trovo costretto a pedalare e proporre in giro per l’Italia questa storia familiare, ma non solo.

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