Benvenuto ad Alberto Fonti che ci parla del suo esordio come autore.
Benvenuto tra le nostre pagine. Faccia conoscere Alberto Fonti ai nostri lettori: Mi chiamo Alberto Fonti, sono nato a Pisa nel 1980, sono laureato in Ingegneria e, dopo aver fatto l’ingegnere per dieci anni, ho deciso di fare quello che avrei sempre voluto fare: insegnare. E così da dieci anni insegno alle superiori, prima Logistica, adesso Disegno Tecnico. Tra le mie passioni più grandi c’è la recitazione, che ho fatto a livello amatoriale per venticinque anni, e soprattutto l’Opera che sono riuscito a trasformare nel tempo in un secondo lavoro perché da quindici anni canto nei cori d’Opera nei circuiti dei teatri di provincia toscani, tra cui in quello del Festival Puccini a Torre del Lago.
Ha appena pubblicato il romanzo “Il cassetto dei ricordi perduti” edito da Calibano Editore. Ci parli di questo libro e se è tratto da una storia vera o nasce dalla fantasia dell’autore: Questo libro nasce da una mia idea che mi venne in mente una volta quando tornai una volta da ballare con i miei amici e allora decisi di provare a scriverla. Mi immaginai come si sarebbe potuto trasformare il rapporto tra due amici a seguito di un evento tragico che li coinvolge e quindi definii i personaggi e la struttura della trama, facendo uso del flash-back per raccontare episodi passati che evidenziassero la profondità del rapporto tra i due protagonisti.
Come classificherebbe i suoi personaggi: Stefano e Marco? Sono due ragazzi amici da sempre, fin dai banchi di scuola, legati da un profondo affetto che li porta a vivere quotidianamente il loro rapporto, la loro vita, l’uno il migliore amico dell’altro. Sono molto diversi tra loro, Stefano è timido, ha scarso successo con le ragazze e insegue una stabilità affettiva, Marco invece è più estroverso, si fidanza e si lascia continuamente e pensa soltanto a divertirsi. Ma nonostante questa lontananza, e forse proprio per questo motivo, la loro amicizia diventa forte.
Quali sono i suoi scrittori di riferimento? Ho amato molto i libri di Jane Austen, per l’arguta umanità con cui, spesso grazie a un tagliente sarcasmo, l’autrice riesce a dipingere personaggi, ambienti ed intere classi sociali, senza annoiare il lettore. Cambiando epoca, genere e continente mi sento in obbligo di menzionare Stephen King, la cui letteratura di genere ritengo essere di assoluto valore, al di là del puro intrattenimento, in quanto le ambientazioni che crea sono sempre funzionali alla trama e i suoi personaggi, mai scontati, sono spesso caratterizzati da un’evoluzione interessante. Non lo definirei uno scrittore a cui mi riferisco, ma vorrei infine citare Marco Malvaldi, pisano come me, per la brillantezza e l’ironia della sua scrittura e l’efficacia delle sue storie.
Che cosa le ha lasciato questo suo primo romanzo quando ha scritto la parola fine? Una soddisfazione e una gioia mai provate, nel senso che la stesura di un romanzo è un lavoro molto lungo e complesso, in cui si cancellano frasi, si cambiano aggettivi, si aggiungono dettagli e soprattutto si correggono errori mai notati anche dopo averlo letto per l’ennesima volta. Nello specifico, nel mio romanzo ho ridefinito alcuni aspetti dei protagonisti, ho aggiunto dettagli e personaggi e ho cambiato ambientazione (all’inizio l’avevo ambientato in Inghilterra, ma poi scelsi l’Italia per un’aderenza maggiore a dinamiche che conosco meglio) e, dopo aver scritto l’ultima parola, la gratificazione per quanto fatto è stata veramente incomparabile.
Prossimi impegni o scritti? Il 22 Aprile uscirà il mio secondo romanzo dal titolo “Il sapore della pioggia”, edito da Calibano Editore. È la storia di Jacopo, un ragazzo fiorentino di vent’anni, che intraprende un viaggio a Castelgioioso, un paesino del Molise, con suo nonno Vito, che vi aveva vissuto da giovane prima di trasferirsi a Firenze. In quel luogo fuori dal tempo i due instaurano un dialogo e una confidenza senza precedenti e il loro rapporto raggiunge una pienezza inaspettata. Nel frattempo sto terminando il mio terzo romanzo, il cui titolo è ancora provvisorio, per cui per il momento non dico nulla.