Beta Libre sforna un disco d’esordio che spiazza sapendo quali origini vivono alla base della sua carriera artistica. Siamo dentro un suono digitale che sfoglia pagine e pagine di ispirazione urban internazionale, le codifica nel made in Italy e poi le usa a proprio uso e consumo per levarsi via di dosso maschere e inibizioni. Senza veli sull’anima o quasi. Beta Libre e questo “Winter Circle” è una fonte di ispirazione per ognuno di noi che cerca l’emancipazione dal proprio ruolo quotidiano.
Un disco invernale, distopico, urbano. Se ti dicessi che in qualche modo rappresenta la condizione umana?
Non potrei darti torto… Viviamo in un mondo surreale e distopico e credo sia faticoso accettare la situazione attuale. Questo è sicuramente uno dei motivi per cui sento il bisogno di rifugiarmi nella musica, nel mio mondo sonoro, che però vive anche degli incubi del mondo reale, come nella mia canzone Nightmare che parla degli animali che vengono privati della libertà, dell’empatia che provo nei loro confronti e che non mi fa dormire. Purtroppo siamo freddi, distanti l’un l’altro e c’è poca speranza intorno a noi, come anche nel mio album che è molto oscuro… però sono convinta che una luce ci sia sempre, un bagliore che possiamo accendere dentro di noi. Possiamo essere felici. E possiamo porgere una candela a chi si sente perso. Nonostante tutto credo profondamente nell’empatia e nella sorellanza.
Passato o futuro? Cosa c’è nel suono di Beta Libre?
Nel mio suono probabilmente c’è tutto il mio passato musicale: ciò che ho studiato e che ho amato, dalla musica antica al pop attuale (soprattutto Bjork), passando per la musica lirica e contemporanea. Il mio suono non ha un genere definito e non mi piace pormi limiti di stili e influenze. Una canzone del mio album è una passacaglia baroccheggiante, altre sono quasi liturgiche, molte sono elettroniche e alcune sono sperimentali e psichedeliche. Deriva dai miei studi classici e dai miei ascolti più disparati, quindi è un suono intriso di passato e di suggestioni di vari periodi storici… ma io vi percepisco anche una specie di futuro perchè spesso la mia musica sgorga spontanea e solo in un secondo momento realizzo di cosa mi parla e trovo associazioni con altri artisti e stili che magari nemmeno conoscevo (ad esempio Sevdaliza).
Parliamo di maschere… ho come l’impressione che in fondo è giusto celebrarle. Come a dire: fanno parte anche loro della verità…
Sì, credo anche io che sia giusto celebrare le maschere che indossiamo. Crearle, accettarle, giocarci, usarle come mezzi e non come fini. Senza perdere il contatto con ciò che c’è sotto, senza rimanervi intrappolati. Imparando a toglierle quando serve e a restare completamente nudi, mostrando la nostra intimità senza vergogna. Credo che possiamo comprendere molte verità su di noi dalle maschere che scegliamo di indossare, vi sono indizi riguardo ai nostri bisogni più profondi… allo stesso tempo svelano e nascondono la nostra autenticità e la nostra imperfetta unicità.
Nell’estetica tanta eccentrica manifestazione eppure nelle foto di copertina tanta semplicità… come la spieghi?
Sono attratta dagli opposti: amo la possibilità di essere eccentrica ed esuberante (anche perchè mi sono sempre sentita strana, un outsider e ho fatto fatica ad accettarmi) ma mi sento a mio agio con la semplicità, con ciò che è minimale e necessario. La foto di copertina del mio album è essenziale ma rappresenta in modo esatto la mia estetica fatta di oscurità e luci: l’azzurro davanti a me e sul mio volto (il colore del cielo e delle emozioni che scorrono come un fiume inarrestabile) e il rosso sulla mia schiena, il colore del fuoco che arde, di passione, di rabbia, della necessità di elaborare, crescere e mostrare al mondo ciò che sono. Io mi affaccio dall’oscurità, guardo avanti, negli occhi dello spettatore, ed espongo all’aria le mie ferite, mostro senza paura le mie fragilità in un processo catartico ed estatico di guarigione.
E come si arriva ad un pop così urbano provenendo da studi classici? Un salto decisamente violento…
Immagino possa apparire insolito e, in effetti, questa evoluzione ha sorpreso molte persone nella mia vita. Per me invece è tutto parte di un percorso di esplorazione musicale, è tutto frutto della mia irrequietezza spirituale e del mio bisogno di esprimermi utilizzando mezzi sempre nuovi. Non vedo nè salti nè rotture. Però devo ammettere che a volte mi sento confusa e stranita anche io, soprattutto quando un giorno faccio un concerto con lungo vestito da sera, con l’arpista che mi accompagna, tra musica di Debussy e vocalità lirica e pura… e il giorno dopo mi ritrovo a cantare i pezzi scritti da me, tra luci stroboscopiche e sintetizzatori, con una vocalità libera e sporca e vestita con cinghie di finta pelle! I miei contrasti sembrano violenti ma fanno tutti parte di me e mi fanno sentire completa.