Il commissario e l’Amor Sacro di Doron Velt è un’opera che va oltre i confini del semplice romanzo investigativo, addentrandosi nei territori inesplorati del sacro, del mistico e dell’inesplicabile.
Con la figura del commissario Bruno Delano, l’autore traccia il ritratto di un uomo diviso tra la lucidità investigativa e un profondo tormento interiore, in costante equilibrio tra la razionalità del suo mestiere e un richiamo a una verità superiore, spesso indicibile.
In questa intervista esclusiva per Oltre Le Colonne, Velt ci svela i retroscena di una delle opere più affascinanti e intense degli ultimi tempi, discutendo delle sfide creative, della costruzione dei personaggi e del significato profondo che ha voluto trasmettere.
Il commissario Delano che fa da protagonista a “Il commissario e l’Amor Sacro” è un personaggio molto complesso, apparentemente diviso tra lucidità investigativa e un’ombra interiore in cui nasconde legami e ferite profonde. In che modo la sua figura è emblematica per lei e quanto di personale ha voluto trasmettere attraverso questo protagonista?
Si scrive non perchè le cose escano da noi ma perché possano appartenerci ancora più profondamente. Da noi a noi. Questo avviene ben prima che entri in scena il lettore, cui spettano invece giudizio e innamoramento. Ovviamente Bruno Delano e le sue cifre sono una parte di me. Come è per ogni autore circa il suo personaggio. La protezione dell’Angelo e la propria natura spirituale sono riconosciute e vivificate (come del resto il lavoro investigativo stesso del commissario) tramite l’amore di una donna. La natura pigra, malinconica e pessimista di Bruno Delano partecipa alla risoluzione degli enigmi, alla discussione sul Vero, sul Male e il Bene giungendo però alla meta solo grazie a un miracolo: il potere di Eugenia.
Nel romanzo l’esoterismo gioca un ruolo determinante, soprattutto nel modo in cui permette a Delano di oltrepassare la dimensione della realtà visibile e di risolvere misteri altrimenti impossibili. Da dove nasce il suo interesse per l’elemento mistico, e in che modo ha deciso di integrarlo nella trama?
Sincerità per sincerità, alcuni passaggi nella mia vita personale, la nascita nei giorni di reggenza dell’Angelo citato nel libro, Pahaliah, e poi la sua costante, incredibile presenza nei giorni della mia vita, da ragazzo la sopravvivenza quasi miracolosa a un sarcoma. Nei decenni tutto questo mi ha reso chiaro che solo attingendo alla dimensione spirituale e a tutto ciò che essa contiene tali passaggi potevano venire pienamente illuminati.
La dualità tra Bene e Male attraversa tutta l’opera, dal tormento dei personaggi ai crimini descritti. Questo è un tema di grande portata filosofica; vuole raccontare ai nostri lettori quale idea personale del Bene e del Male ha voluto esprimere? Ritiene che questi concetti assumano nuove prospettive attraverso l’elemento esoterico?
Se tutto è Uno il Bene e il Male non esistono distinti, il secondo non è che un Bene non al proprio posto, in trasformazione. Il tormento e la sofferenza personale fanno parte di questo gioco. È la prima cosa che viene compresa da chi salga anche di un solo grado in consapevolezza spirituale. Questo Male che è in divenire verso la Luce è l’oggetto di tutte le visioni di Eugenia ed è il modo con cui il commissario guarda le sue indagini. E in fondo il senso della Manifestazione universale, se ce ne è uno. In alcuni dei capitoli del mio libro sono descritti i crimini più orrendi; uno, nel capitolo “L’uomo nel coro” è tale da non poter nemmeno essere raccontato. Di fronte a questa visione unitaria l’orrendo perde ogni potere, non ci terrorizza. Possiamo provare a sorridere davanti a Satana e alle sue opere.
Le visioni di Eugenia sono tanto potenti quanto realistiche, quasi tangibili per il lettore. Qual è stato il suo approccio per rendere così vividi questi momenti? Desiderava trasmettere un senso di sospensione tra realtà e trascendenza, o anche qualcosa di più personale?
Le visioni di Eugenia avvengono lungo il confine tra due mondi, il reale e lo spirituale. L’uno invade, in maree sempre differenti e per l’intera durata della visione, l’altro. Il linguaggio profetico, il linguaggio dei veggenti e il suo respiro, hanno una loro unicità. Leggete le poderose visioni di Hildegard di Bingen, trascritte mille anni orsono dal monaco Volmar, e udrete esattamente la voce di Eugenia. Chi mai potrà dubitare di ciò che Hildegard vede? Fare sentire al lettore che è davvero accaduto tutto quanto si trova nel primo capitolo del libro (i sogni simbolici, i corpi che si baciano e compenetrano nel mondo di Luce, la visione dell’Angelo del commissario, l’esperienza fisica con Alexei Sultanov): ecco il mio compito.
La scelta di usare uno pseudonimo, ‘Doron Velt,’ aggiunge una nota di mistero al suo ruolo d’autore, in sintonia con i temi del libro. Quali sono i motivi che l’hanno portata a celare la sua identità, e cosa spera che il pubblico colga da questa scelta?
Ogni tradizione spirituale ci dice che, dopo un’esperienza significativa (la malattia e la guarigione, una tragedia di qualunque natura, la nascita di un figlio, la morte di una persona che abbiamo amato profondamente) noi dovremmo cambiare nome. Lo stesso senso lo si trova nel passaggio tra nome secolare e nome “in religione.” Così è, riferito alla fine di una creazione letteraria, per uno pseudonimo. In Doron Velt c’è eufonia, sempre necessaria, ma anche, con riferimento alla lingua ebraica e alle parole che lo compongono, un significato profondo. Un significato che non occorre sia svelato ma che raggiungerà il lettore ogni volta che il nome verrà pronunciato.
Ogni autore ha momenti di impasse creativa; quali sono state le sfide più ardue per lei nello scrivere quest’opera? In particolare, quali aspetti del romanzo – la costruzione dei simboli, la trama investigativa, o la creazione dell’atmosfera mistica – sono stati più impegnativi?
La sfida più difficile è stato raccontare, nel capitolo del libro “La casa azzurra”, l’incontro tra il commissario e Satana, l’Avversario. Un incontro che avviene nelle stanze e negli spazi di una clinica di Gorizia, un incontro che è suscitato e in qualche modo presieduto da Eugenia. Mi è stato facile riportare la voce e il vedere di Eugenia ma non sapevo come sarei riuscito a rendere le parole, lo “stile” di Satana, il carattere ironico e nel contempo la sua ferocia, l’odio non per il Bene ma per gli uomini, per l’intero creato. Il personaggio riapparirà, con voce identica, nella mia raccolta di racconti “I polittici dell’Angelo”, che spero potrà uscire nel 2025.
Il romanzo è complesso, profondo, ricco di dettagli e di messaggi; se dovesse scegliere una verità o un valore da far emergere da tutto il lavoro, cosa vorrebbe che i lettori portassero con sé dopo aver chiuso il libro?
La certezza che un Amore come quello tra Bruno Delano ed Eugenia Horvat è una delle chiavi , forse la sola, che può aprire la porta verso i mondi spirituali. Mondi più alti e invisibili che sono però, benchè serrati, ogni istante con noi. Mondi che precedono e determinano il nostro. La certezza che Eugenia esiste, per raggiungerci come compagna spirituale o, apparendo per un istante fugace nelle nostre vite, come un essere destinato ad un altrove.