L’opera di Guadagnuolo “I martiri della Giustizia” dedicata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – Il 23 maggio Giornata della Legalità, ricorre l’anniversario dell’uccisione a Palermo del Giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifano, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Il ricordo al magistrato Falcone viene rappresentato attraverso la grande opera del Maestro Francesco Guadagnuolo ed è rivolta a tutti i magistrati che sono stati uccisi solo perché compivano il loro dovere. L’opera vuole anche essere un’opposizione a tutte le mafie e terrorismo e alle loro brutali inutili gesta. La grande tela (ad olio 200×350 cm) si prospetta nella triste memoria della nostra nazione martoriata dalla corruzione; infatti, l’opera nel suo insieme è un inno alla legalità, con l’impressionante reminiscenza di tutti i magistrati ammazzati perché erano contro le mafie e lavoravano per la legalità italiana. Il progetto vede coinvolte le Scuole italiane perché è lì che si formerà la nuova società. Sarà fortemente educativo per le giovani coscienze, perché si parlerà di legalità contro ogni tipo di corruzione, infiltrazioni mafiose, collusione e corruzione negli appalti, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio.
“I martiri della Giustizia”, l’opera di Guadagnuolo comunica dunque la lotta dello Stato contro la mafia ed esprime un sentito commemoro dei magistrati siciliani: Agostino Pianta (1969), Pietro Scaglione (1971), Cesare Terranova (1979), Gaetano Costa (1980), Giangiacomo Ciaccio-Montalto (1983), Rocco Chinnici (1983), Alberto Giacomelli (1988), Antonino Saetta (1988), Rosario Angelo Livatino (1990), Giovanni Falcone (1992), Paolo Borsellino (1992).
La tela interpreta un’azione pittorica che crea un’accentuata dinamica di attrazione per i forti contrasti cromatici, dove ‘scrittura e gestualità’ coabitano nella stessa “Mens” dell’artista. Una convulsione motoria del gesto che vuole significare vita e lotta per la vita. La composizione di quest’opera è divisa in 12 riquadri che in realtà formano un tutt’uno dove sono inscritti i nomi degli 11 magistrati. I caratteri tipografici cubitali dei nomi inscritti (gli stessi che vengono usati dai quotidiani) diventano elementi visivi e comunicativi.
Lo storico Sante Montanaro a proposito di quest’opera scrisse: «Si tratta di un grande dipinto nel quale i personaggi rievocati s’intersecano con la scrittura. Infatti, tra le figure umane appena abbozzate, inserite in riquadri separati e immerse in un’atmosfera carica di tensione, resa attraverso accese tonalità cromatiche, spiccano a grandi caratteri di stampa da titoli di prima pagina i nomi di vittime della mafia, fra i quali Livatino, Falcone, Borsellino, Chinnici. Come sulla grande tavola di un cantastorie moderno, Guadagnuolo espone qui la tragica sagra determinata dalla violenza mafiosa».
In realtà, si potrebbe vedere nell’opera di Guadagnuolo l’allegoria di un viaggio la cui meta finale è di cercare di impedire altre stragi. Le paure dell’artista sono fondate perché derivano dagli eventi brutali che tanto hanno scosso l’opinione pubblica. Così l’artista s’investe quasi del ruolo di oratore pubblico che dà voce ai timori individuali, creando un’immagine attraverso la quale possiamo veicolare le nostre esperienze di angoscia in una cultura satura di potenziale violenza spontanea.