A Milano l’arte al femminile protagonista della mostra Narcisi Fragili promossa da Cramum e Superstudio
A MILANO L’ARTE AL FEMMINILE PROTAGONISTA DELLA MOSTRA “NARCISI FRAGILI” PROMOSSA DA CRAMUM E SUPERSTUDIO
ARTISTE: LAURA DE SANTILLANA, DANIELA ARDIRI, FLORA DEBORAH, GIULIA MANFREDI E FRANCESCA PIOVESAN.
A CURA DI SABINO MARIA FRASSA’.
“Nel buio interiore l’arte riesce a trasformare la materia in pensiero, a condividere riflessioni, dubbi e spiragli di “fugaci momenti di gloria” che diventano universali, andando al di là del proprio tempo e del vissuto dell’artista”Il 22 settembre all’interno del Palinsesto “I Talenti delle donne” del Comune di Milano nello spazio My Own Gallery (Via Tortona 27 bis) Superstudio e
Cramum presentano la mostra al femminile “Narcisi Fragili” a cura di Sabino Maria Frassà che ospita le opere di cinque artiste italiane: Laura de Santillana, Daniela Ardiri, Flora Deborah, Giulia Manfredi e Francesca Piovesan.
Narcisi Fragili insieme alla mostra di design “I Fiori della Materia” è parte dell’intenso programma a sostegno della creatività femminile “Nelle Mani delle Donne” ideato da Gisella Borioli in occasione di due eventi importanti per la ripartenza di Milano: la Milano Fashion Week (22-28 settembre) e Milano Design City (28 settembre -10 ottobre). La Direttrice di Superstudio introduce con queste parole questo ambizioso progetto: “La creatività è donna. Le donne sono sempre più protagoniste e sempre più presenti sulla scena politica, culturale e sociale, ma non ancora abbastanza.”
“Narcisi fragili” come spiega il curatore Sabino Maria Frassà “è un percorso espositivo che indaga la bellezza e la precarietà dell’esistenza umana, partendo dalla riflessione di Virginia Woolf: “Ho avuto un istante di grande pace. Forse è questa la felicità“. Nel buio interiore l’arte riesce a trasformare la materia in pensiero, a condividere riflessioni, dubbi e spiragli di “fugaci momenti di gloria” che diventano universali, andando al di là del proprio tempo e del vissuto dell’artista”.
Protagoniste le opere di cinque artiste italiane – Daniela Ardiri, Flora Deborah, Laura de Santillana, Giulia Manfredi, Francesca Piovesan – che hanno fatto dell’uso della materia lo strumento per raccontarsi e per affermarsi in un mondo – quello dell’arte – spesso maschilista e machista. Le opere inedite in vetro soffiato “Scars” (Cicatrici) di Laura de Santillana, la grande artista scomparsa prematuramente nel 2019, costituiranno l’inizio di un percorso che condurrà lo spettatore a riflettere e a interrogarsi: su ciò che sia realmente importante grazie alla scultura di Flora Deborah; sulla fragilità delle convenzioni sociali grazie all’installazione di Daniela Ardiri; sul ruolo dell’essere umano nell’ecosistema globale con le sculture “vive” di Giulia Manfredi e infine sul ruolo del tempo e del corpo nella nostra vita con le impressioni fotografiche (off-camera) di Francesca Piovesan.
Gisella Borioli ha invece selezionato per la mostra sul design al femminile “I Fiori della Materia” otto designer e architette – Isabella Angelantoni Geiger, Vera Belikova, Mavi Ferrando, Francesca Gasparotti, Adriana Lohmann, Ilaria Marelli, Paola Navone, Elena Salmistraro – che presentano il proprio essere e il proprio lavoro impiegando in modo del tutto originale e peculiare le materie prime. Entrambe le mostre rimarranno e visitabili gratuitamente aperte sino al 29 ottobre. Un periodo di tale durata e importanza ha permesso di programmare diverse attività collaterali dove le artiste/designer possono presentare e approfondire il proprio lavoro attraverso un palinsesto di incontri e dibattiti dal titolo “People and Stories” per celebrare la donna e stimolare il confronto su problematiche ancora persistenti e radicate. Ogni appuntamento sarà la voce-intervista di uno o più talenti ospitati per raccontarsi e confrontarsi con il pubblico, chiamato ad intervenire per costruire insieme una città attenta. Diversi i temi presentati, ora più che mai scottanti, come la disparità di genere, il lavoro per i giovani artisti e la sostenibilità ambientale.
IL CORPO UNIVERSALE DI FRANCESCA PIOVESAN
Francesca Piovesan vince il Premio Cramum nel 2015. Nonostante i successi artistici preferisce vivere e lavorare ad Aviano dove è nata nel 1981. Si è imposta all’attenzione della critica per le sue opere che hanno per oggetto e strumento di indagine il corpo umano. In mostra al fianco dei noti “Specchianti” (in oro) l’artista presenta un’opera inedita di quattro metri dal ciclo “Frammenti”. Grazie allo sviluppo di peculiari tecniche ispirate all’applicazione dello sviluppo off-camera a partire dal corpo umano, l’artista riesce a realizzare opere che imprigionano letteralmente nell’opera finale (di carta o su vetro) parti dell’artista, come sali e grassi. Sebbene il punto di partenza sia lo sviluppo fotografico di un corpo, il risultato finale non è mai un autoscatto, quanto quello che potremmo definire come “corpo universale”: le opere di Francesca Piovesan sono infatti mappe di corpi in cui è difficile se non impossibile riconoscere la soggettività e il singolo individuo.
Si tratta di forme che richiamano e cercano di rappresentare l’essenza dell’umanità nella sua interezza come una sindone o scomposta in frammenti. Sempre forte il richiamo visivo al concetto di “tabù” e dell’indicibile: spesso di fronte alle sue opere si ha la percezione di vedere impronte di scheletri, maschere mortuarie o frammenti di mummie. Del resto le opere di Francesca Piovesan partono dalla vita, colgono e catturano un attimo di un corpo, che viene trasfigurato e in qualche modo reso “universale” in una dimensione al di là del tempo e della vita stessa.
LAURA DE SANTILLANA: IL LIMITE NON ESISTE
Per Laura de Santillana la vita era come il vetro: questione di resistenza e resilienza. Laura de Santillana ci ha purtroppo lasciati il 21 ottobre 2019 dopo una fulminea malattia. E’ stata una donna fortunata, ma anche artefice della propria fortuna. Nascere da una “grande” famiglia – la “dinastia” dei vetri Venini – non è un merito, ma lo era stato la sua resilienza alle sfide della vita: dopo essere diventata direttrice artistica, vendette le aziende di famiglia (nel 1986 la Venini e nel 1993 la EOS) per dedicarsi completamente all’arte. Laura de Santillana riuscì a reinventarsi tante volte in modo sempre coerente e con un grande rispetto per la propria persona: parlava spesso di quel bisogno “filosofico” che la guidava anche nel fare arte. Per Laura l’arte era infatti il piacere di ricercare e sperimentare per il puro piacere di farlo, per superare i limiti della materia e oltrepassare così anche i propri limiti “umani”.
Ci ha lasciato in eredità “Scars” (Cicatrici), un gruppo di tre lavori che è facile considerare come apice e sintesi della suo percorso non solo artistico, ma anche personale. Scars sono infatti sculture realizzate superando la tecnica dello “slumping”, per cui si scioglie un vetro che si era già solidificato. In tale fase le opere subirono degli shock termici tali da spaccarsi. Dopo tanti tentativi – complice il “caso” sempre citato dall’artista – queste “spaccature” e “crepe” si ricomposero dando vita a opere che presentano delle “cicatrici”. Queste “ferite cicatrizzate” affascinarono molto l’artista perché rispecchiavano il suo stesso modo di concepire la vita intesa come una continua negazione dei limiti attraverso il loro superamento. Del resto fino alla fine Laura non volle vedere il “Limite” e preferì dedicarsi alla sua arte.
IL REGNO SOTTILE DI GIULIA MANFREDI
Giulia Manfredi nasce a Castelfranco Emilia vince il Premio Cramum nel 2017, vive e lavora a Roma con il marito artista Alberto Emiliano Durante e il figlio Alessandro. Persona vulcanica e con un ottimo senso pratico, lavora da sempre con un animo barocco sul tema della difficile convivenza tra vita e morte. Dopo una prima fase in cui l’artista ha documentato soprattutto la morte, la vita si è fatta letteralmente spazio nei suoi ultimi lavori parte della mostra “Narcisi Fragili”. Al fianco delle opere Psicomanzia e Vitriol in cui la vita è negata, potremo ammirare “Geomanzia”, sculture in cui dei bonsai crescono su delle basi in marmo intarsiate riprendendo le geometrie e l’ordine dei giardini all’italiana.
Queste opere finiranno prima con lo sgretolarsi – le radici delle piante distruggeranno le forme scavate nel marmo – e poi le piante stesse moriranno. L’artista documenta così nel tempo quello che lei definisce come “il regno sottile”, ovvero quello spazio di precarietà e possibilità in cui si colloca la vita di ogni essere umano. A noi tutti è dato di vivere in un arco temporale limitato durante il quale ci è data la possibilità – più o meno consapevole – di agire per lasciare un segno, una traccia. Per quanto piccoli noi esseri umani, più delle altre forme di vita, abbiamo la possibilità di “determinare” il mondo che ci circonda non solo oggi, ma soprattutto domani. Resta però la consapevolezza che anche questa traccia si perderà nei secoli dei secoli e che potremmo definirci fortunati se di noi rimarrà il pensiero che ha mosso la nostra esistenza.
PER FLORA DEBORAH ARTE E’ CIO’ CHE PREFERIAMO NON VEDERE
Flora Deborah (nata a Evian les Bains, Francia, nel 1984) dopo essere arrivata seconda al Premio Cramum nel 2015, si è trasferita a Tel Aviv. Bloccata dal lockdown a Milano, dove era tornata per trovare la famiglia, è stata protagonista di un’intensa performance “The Synonim of Why” in cui ha scomposto e ricomposto un uovo simbolo per antonomasia della vita. L’opera invece selezionata per “Narcisi Fragili” è “The Placenta is Dead, Long Life to the New Consumer”: si tratta di una scultura in bronzo e cera realizzata in Scozia nel 2019, ma concepita a Londra nel 2014. E’ un’opera che racconta molto di questa artista che da anni indaga il significato del bello al di là delle apparenze. Elemento che caratterizza Deborah è infatti il far diventare opera d’arte gli organi e le viscere degli esseri viventi, ovvero quelle parti talmente intime di cui noi stessi spesso rifiutiamo la vista. Tutto cominciò dal rapporto con un macellaio di Londra nel 2014 con cui rifletté su quanto le persone scartino di un animale come il maiale di cui in realtà tutto sarebbe commestibile. Ispirata anche dalla lettura di “Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione” di Julia Kristeva, cominciò quindi a studiare l’anatomia degli organi, cercando di combattere quella iniziale repulsione. Proprio l’interrogarsi su tale sentimento è stato il motore dei lavori successivi. L’attenzione dell’artista si concentrò presto sulla placenta umana, organo che permette la formazione di una nuova vita, che la protegge e le dà nutrimento. Nonostante l’importanza di tale organo, pochi di noi sanno come sia fatta: essa è il simbolo stesso del nostro tempo che non riesce ad attribuire la giusta importanza agli elementi sostanziali e alla base della nostra stessa esistenza. Flora Deborah realizzò così il calco di una placenta donatale da una sua amica e lo portò con sé nei suoi tanti spostamenti: da Londra a Milano e infine a Tel Aviv. Solo nel 2019, in Scozia per una residenza d’artista, riuscì a completare questa ricerca, realizzando una scultura che è una sorta di “tomba” della placenta. Facile rintracciare la forte ironia e il rapporto del distacco della madre centrali nella cultura ebraica. Si può così facilmente concludere che “The Placenta is Dead, Long Life to the New Consumer” sia in fondo una pietra di inciampo per ricordarci da dove veniamo e un invito a riconsiderare i canoni estetici e i parametri di valutazione del “bello”.
DANIELA ARDIRI RIFLETTE SUL COSTO DELL’EMANCIPAZIONE FEMMINILE
Daniela Ardiri, finalista del Premio Cramum nel 2019, da anni vive e lavora tra Milano e la natia Catania. Da sempre è interessata a indagare con la propria arte l’evoluzione sociale del nostro Paese. Il punto di partenza è spesso la memoria e cosa rimane di ciò che è stato: non le interessano però né i grandi eventi né i personaggi storici, quanto le persone comuni e a lei vicine. Dalla “memoria” e dalla documentazione di ciò che rimane della sua famiglia nascono opere come “Men’s Sentence” in mostra, che tendono a universalizzare il ricordo, mettendone in luce aspetti salienti.
L’artista ha riscontrato come suo nonno nelle foto istituzionali si facesse ritrarre con in mano una sigaretta, simbolo di potere e libertà maschile. Del resto a quei tempi non era conveniente per una donna farsi ritrarre con una sigaretta in mano. Daniela Ardiri realizza quindi un’opera che rievoca un materasso, simbolo dell’alcova, in cui l’immagine del nonno viene trasformata in un ritratto di una signora con borsetta e sigaretta. L’operazione di sottrarre la sigaretta dalle mani di un uomo per darla a una donna crea una sovrapposizione tra l’universo maschile e quello femminile, che cerca di rivendicare un maggiore spazio vitale per la donna, dotata di una “nuova” possibilità, quella di essere ammessa a un contesto sociale e a un “mondo” ritenuto ancora esclusivo. Proprio il gesto del fumo è stato nei decenni passati un gesto di emancipazione femminile che ha però condannato le donne a subirne gravi conseguenze sulla propria salute. L’opera induce perciò a riflettere sul difficile percorso portato avanti ancora oggi da parte delle donne per affrancarsi da una cultura machista senza però interiorizzare gli aspetti peggiori.
DOVE & QUANDO
MyOwnGallery, Superstudio Più
Via Tortona 27 bis Milano
23 settembre – 29 ottobre 2020
MA – VE h 11.00 – 19.00 SA – DO h 15.00 – 19.00
Inaugurazione Martedì 22 settembre dalle ore 17.00 alle ore 21.00
Per informazioni sullo spazio: info@myowngallery.it || +39 02 422501
Per informazioni sulla mostra: infocramum@gmail.com || +39.334.1539578