Apre oggi lunedì 9 Maggio al Gaggenau DesignElementi di Roma la mostra SEMI di Flora Debora curata da Sabino Maria Frassà. Attraverso una pietra e le opere dell’artista in ceramica, terra e oro lo spettatore diventerà parte della favola gotico-contemporanea di Flora Deborah e del suo lungo viaggio alla ricerca del senso più profondo dell’esistere. Il risultato sarà la costruzione di una nuova Torre di Babele, luogo di dialogo e confronto.
“Semi”
mostra personale di Flora Deborah a cura di Sabino Maria Frassà
Dal 9 maggio al 31 ottobre 2022
lunedì-venerdì ore 10:30 – 13:00 / 15:30 – 19:00
Gaggenau DesignElementi
Lungotevere de’ Cenci 4, Roma
Promossa da Gaggenau, Cramum, DesignElementi-
Visite aperte al pubblico solo su appuntamento previo contatto e-mail o telefonico. L’ingresso sarà garantito nel rispetto delle disposizioni di legge vigenti al momento dell’evento, in riferimento alle misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19.
Per prenotare una visita:
E-mail: gaggenau.roma@designelementi.it
T. +39 06 39743229, +39 371 1733120
Immagini: ©Francesca Piovesan, Courtesy Flora Deborah, Cramum, Gaggenau
Apre oggi al pubblico al Gaggenau DesignElementi di Roma la mostra Semi dell’artista franco-israeliana Flora Debora alla sua prima personale in Italia. La mostra curata da Sabino Maria Frassà è il secondo appuntamento del ciclo di mostre “Materiabilia” promosso da Gaggenau e CRAMUM nel 2022. “Semi” è il racconto della favola gotico-contemporanea di Flora Deborah e del suo lungo viaggio alla ricerca del senso più profondo dell’esistere; un viaggio che, come in tutte le favole, è lungo e travagliato, ma caratterizzato dall’ottimismo dell’andare avanti con infinita resilienza. Il Gaggenau DesignElementi di Roma diventa così scenario di una vera e propria esperienza performativa oltre che installativa. Come spiega il curatore Frassà “agli spettatori è chiesto di portare e donare un sasso, così da poter partecipare a quello che potrebbe essere definito come un corale viaggio di iniziazione, pensato dall’artista per la costruzione di una nuova Torre di Babele, luogo di dialogo e confronto“.
La mostra è costruita intorno a immagini sempre in bilico tra sogno e realtà, nate da un processo creativo che non prevede mai correzioni, ma che vede proprio nelle imprecisioni o nei ripensamenti del gesto artistico una metafora delle alterne vicende umane: non si torna mai indietro, non c’è gomma, ma si va avanti portando nuova materia all’interno del proprio percorso. Così nascono le opere in ceramica, terra e oro di Flora Deborah, che sublima e sintetizza lo straordinario lungo viaggio che è l’esistenza umana: tutto nella nostra vita può essere il seme di un nuovo frutto, a patto che si riesca anche dolorosamente a raggiungere una piena consapevolezza di sé.
Da una videoinstallazione in cui scava e assembla la terra del kibbutz in cui i genitori si sono incontrati, passando per i calchi della propria lingua e di quelle dei membri della sua famiglia, fino ad arrivare ai piatti e le piastrelle più recenti in cui personaggi onirici si passano delle coppe: “Flora Deborah” spiega il curatore “riflette su come non siano (solo) i luoghi a determinare chi siamo, bensì il linguaggio che impieghiamo per parlare e pensare. Può il lessico di ciascuno di noi penetrare ed essere seme e frutto dei linguaggi di chi ci vive intorno, e quali sono i confini di questo lessico famigliare?”.
Flora Deborah descrive un’umanità che nutre un nuovo universale idioma, un esperanto fatto di arte, intesa come unione di materia e bellezza, e coinvolge anche gli spettatori in questo processo attraverso una vera e propria esperienza performativa oltre che installativa. Chiunque visiti la mostra può infatti far parte dell’opera d’arte, lasciando una pietra con cui costruire una nuova Torre di Babele; un gesto che è stato anche parte di una performance dedicata presso lo showroom, in cui i partecipanti hanno infine assaporato il calco della lingua dell’artista, realizzato in cioccolato. Un vero e proprio scambio, in cui spettatore e artista si nutrono a vicenda, e da cui può nascere un nuovo lessico comune, con cui vedere e raccontare insieme un mondo nuovo. Come conclude il curatore Sabino Maria Frassà “nessuno di no sa come queste pietre che abbiamo lasciato verranno impiegate dall’artista. Come nella cultura ebraica queste pietre sono il simbolo di rispetto e pietas di fronte al passato e all’esistenza di un’altra persona. Dopo aver visitato la mostra non conosceremo quindi il finale della storia: incuriositi, stupiti e forse un po’ malinconici tutti noi spettatori-attori avremo la consapevolezza di esser parte di qualcosa di grande, della vita di un’altra persona“.
Il Ciclo di mostre “Materiabilia”
Con il ciclo di mostre “Materiabilia”, Gaggenau e CRAMUM raccontano la materia che si fa meraviglia attraverso il genio umano. Gli showroom Gaggenau DesignElementi di Milano e Roma si trasformano in una ideale Wunderkammer, in cui l’arte e il design ci permettono di riconoscere un ordine apparentemente perso: se la natura è straordinaria, la capacità dell’essere umano di plasmare la materia ci avvicina a tale perfezione.
Oggi più che mai l’arte ci permette di sognare ad occhi aperti, trasformando la materia e la realtà che ci circonda in meraviglia. Se fino a poco tempo fa sembrava fossimo destinati a vivere in una società sempre più virtuale, la pandemia di Covid-19 ha invece mostrato il profondo bisogno – quasi ancestrale e viscerale – di materia e realtà: dopo anni di frustrazione e limitazioni anche fisiche, ai bitcoin e ai social fa sempre più da contraltare un bisogno di vedere, fare e toccare.
L’essere umano è tornato a volere concretezza e realtà, anche quando sogna: affamati di presente e carichi di paure sul domani, cerchiamo di vivere ogni giorno il sogno, piuttosto che limitarci a pensarlo e progettarlo. Il nostro sguardo ricerca nella meraviglia per la realtà che ci circonda la speranza e la forza per andare avanti.
Capiamo quindi il perché del successo dell’arte contemporanea nella nostra società: l’arte è materia che riflette sulla materia, riuscendo a dare forma e concretezza al pensiero umano… alle sue angosce, alle sue paure, ma anche alle sue gioie e alle sue speranze. Nel gesto artistico, capace di rappresentare una realtà diversa, l’essere umano ritrova il coraggio di ripensare il futuro al di là del presente contingente. Capace di sintesi come solo un’immagine può esserlo, empatica e mai banale nella sua complessità, l’arte contemporanea è oggi la materia del futuro.
Non è però la preziosità della materia a determinare la qualità dell’opera d’arte, quanto la capacità dell’artista di vedere il futuro dando forma a qualsiasi sostanza. In fondo anche le stelle non sono fatte d’oro, ma di idrogeno, elio e carbone.
A raccontare la “materiabilia” che ci circonda, e che non sempre riusciamo a vedere, quattro artisti che per tutto il 2022 mostreranno, con materiali comuni, immaginifici futuri… dietro l’angolo. Un messaggio di responsabilità e possibilità di ripensare, con ciò che abbiamo, un futuro migliore. Il ciclo vedrà protagonista a Roma il lessico familiare fatto di semi e cioccolato di Flora Deborah; a Milano saranno invece in mostra le spirali di materia di Paola Pezzi e i quadri di cera e paraffina di Stefano Cescon; infine, il viaggio terminerà con le sculture naturali di Giulia Manfredi a Roma.
Flora Deborah – biografia
Flora Deborah è un’artista franco-israeliana; nata a Evian, è cresciuta a Milano e attualmente vive e lavora a Tel Aviv. Deborah ha conseguito un MFA in Belle Arti presso la Bezalel Academy of Arts di Gerusalemme e un PG in Fotografia presso la University of the Arts London. Tra le mostre degne di nota, le collettive al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano, alla Galleria Saatchi e al museo Bar David. È stata finalista al Premio Cramum che sostiene l’eccellenza artistica in Italia. Attualmente è in residenza d’artista presso il CCA di Tel Aviv come parte del gruppo Gino per il progetto “Tights: Dance & Thought Shelter for Calibrating Frequencies”.
Spaziando tra scultura, disegno e video, Deborah definisce il proprio lavoro come una “pratica di empatia”, che implica l’esplorazione della natura mutevole della soggettività umana. Partendo dal senso di estraneità, l’artista esamina il mondo attraverso la coscienza degli avatar da lei creati: personaggi di natura storica, religiosa o immaginaria, animali, piante e microrganismi. Attraverso questi avatar, è in grado di decostruire e ripensare i sistemi che hanno la pretesa di definirci, mettendo così a nudo l’apparente assurdità di convinzioni e strutture sociali ampiamente diffuse.