Alessandro Accardo: tra le pieghe di “Quando chiudo gli occhi”

Una produzione in self publishing come si dice. Alessandro Accardo sfrutta Youcanprint per dare vita al suo nuovo romanzo dal titolo “Quando chiudo gli occhi”, libro che scorre e allo stesso tempo ci ancora, bloccati dentro un buco nero nel tempo senza direzione. La memoria, la coscienza, la consapevolezza. Il mistero di un personaggio che si ritrova in un tempo e in un luogo che non riesce a ricondurre nel qui ed ora. Rimescolando le carte per tornare sulla strada maestra. Mettetevi comodi che il viaggio è lungo…

Partiamo da un aspetto tecnico: l’auto-pubblicazione e in questo caso la tua esperienza con Youcanprint, com’è stata?
Youcanprint offre sicuramente dei servizi utili a chi vuole effettuare un’autopubblicazione, quali la creazione di una copertina professionale, la correzione bozze o l’editing. Nel complesso l’esperienza è stata positiva, soprattutto relativamente al grafico che si è occupato della copertina, il quale è riuscito a comprendere appieno il messaggio che volevo trasmettere nella bella immagine per metà in scala di grigi e per metà ricca di colori stupendi. Anche la qualità della stampa è da ritenersi ottima, così come la celerità dei tempi di consegna.

Ci arrivi dopo tante porte chiuse dalle case editrici oppure è stata una scelta artistica e manageriale tua personale, sin dall’inizio?
Ho fin da subito deciso di effettuare un’autopubblicazione. Nessuna casa editrice ha difatti ricevuto il manoscritto dell’opera. I motivi sono stati molteplici, ma quello principale era il mio desiderio di mantenere la totale autonomia artistica sull’opera, oltre al desiderio di voler gestire in prima persona l’attività di marketing. Ammetto che l’autopubblicazione è una sfida senz’altro ardua, ma di sicuro è fonte di soddisfazione personale. Non escludo però che in futuro potrei essere interessato a pubblicare con una casa editrice, e magari anche effettuare una nuova edizione di “Quando Chiudo gli Occhi”.

Un libro che ha un finale, diciamo, aperto o comunque ambiguo. Ognuno può farlo suo come vuole… o comunque sono due le direzioni principali. Perché questa scelta?
Il libro narra la storia del viaggio di un uomo alla ricerca di se stesso, un uomo che, assalito dai sensi di colpa, si immerge all’interno dei suoi ricordi, analizzando le sue emozioni, elaborando pensieri sulla morale, sull’affermazione dell’io, il tutto finalizzato a riscoprire la sua natura di essere composto da istinto e coscienza. Come dice il filosofo Galimberti, la natura umana è caratterizzata dalla coesistenza di ragione e follia. Per conoscere davvero noi stessi è necessario immergersi totalmente nella nostra parte folle, quella manifesta nei nostri desideri, nei nostri sogni, ma anche nelle nostre paure, nel nostro dolore. Il totale abbandono alla follia può talvolta essere irreversibile, rendendoci schiavi di noi stessi. Nel capitolo numero 2 ho lasciato esprimere questo concetto a uno dei personaggi dell’opera che accompagna il protagonista nel suo viaggio, ovvero colei che rappresenta la coscienza umana. Nell’annunciare quelli che sono i rischi cui Julien andrà incontro abbandonandosi a se stesso, lei pronuncia le seguenti parole: «Il percorso che stai scegliendo è un sentiero arduo, doloroso, che tanti prima di te hanno già intrapreso, ma da cui molti non sono più tornati indietro. Quando ci si addentra nella nebbia, è possibile poi vedere la luce del sole, trovare la salvezza, ma è anche possibile restarne intrappolati per sempre, bloccati in un mondo abitato da creature mostruose che a poco a poco divorano la tua essenza.»
L’intento dell’epilogo del romanzo è quello di comunicare quali possano i rischi di trovarsi faccia a faccia col dolore, ma anche quali possano essere i benefici di affrontarlo con coraggio. È per questo motivo che ho voluto elaborare un finale cosiddetto aperto.

Nella vita tutto è relativo? Parlando di emozioni sicuramente… vero?
Protagora diceva che l’uomo è misura di tutte le cose. Per me questo concetto è basilare, essenziale, poiché si applica a ogni aspetto della nostra vita, da quelli quotidiani a quelli esistenziali. Pensate per un attimo al vostro piatto preferito, quello che vi piace di più in assoluto e che non vi stanchereste mai di mangiare: sicuramente ci saranno persone che lo detestano. Provate a pensare al denaro: mille euro sono sicuramente una bella cifra, ma probabilmente per un milionario sono come una “fumata di sigaretta”. Cos’è l’oggettività? Essa non è altro che un insieme di scale di misurazione necessarie a far sì che delle affermazioni, che per natura non possono altro che essere soggettive, possano essere considerate condivisibili per una comunità. Ad esempio, quanto dev’essere alto un uomo affinché possiamo definirlo alto? In antichità l’altezza media era molto bassa, per cui una persona di un metro e settanta sarebbe stata considerata molto alta. Eppure, per molti oggi sarebbe invece bassa, ma forse non per tutti. Ecco che allora viene definita una scala, decidendo ad esempio che è da considerarsi alto chi supera il metro e settanta e basso chi non li supera. E per la morale? La stessa logica vale anche per essa. Chi definisce se un’azione è conforme alla morale? Per alcuni c’è un metro assoluto da utilizzare, ad esempio i principi religiosi, ma non per forza essi sono condivisi da tutti. Eppure, anche la più atea delle persone ha un suo senso morale, perché esso è personale ed esiste sotto forma di legge espressa dalla voce della nostra coscienza. Per quanto riguarda le emozioni, esse sono assolutamente relative proprio per loro natura. Difatti, l’impatto che può avere un evento, una sensazione, un’esperienza, una visione, è diverso da persona a persona. Esso dipende da innumerevoli fattori, ad esempio dalla nostra formazione, dai tempi, oppure dalle nostre inclinazioni. Le emozioni sono infinite, e per comprenderle appieno è necessario conoscere profondamente la persona che le prova. Questo è un concetto che descritto sottoforma di surreale metafora nel capitolo che mi sta più a cuore del libro, ovvero il numero 8, “Nessuna frittata è sempre la stessa frittata”.

E nella natura? Visto che la scienza è una delle tue radici… la relatività della vita si manifesta? E come?
Nella filosofia Kantiana ritroviamo due concetti per me magnifici, ovvero quello di fenomeno e noumeno. La natura che noi percepiamo è il fenomeno, ovvero l’oggetto della conoscenza così come appare a noi. D’altro canto, chi ci dice che la realtà sia effettivamente così come appare a noi? Pensate ai colori: chi dice che il cielo sia effettivamente azzurro? Ovviamente a noi appare così, ma sappiamo benissimo che ci sono animali che non vedono i colori, così come ci possono essere persone che hanno una percezione dei colori diversi dal comune. Qual è allora la verità? La verità è il noumeno, ovvero l’essenza delle cose così come sono. C’è però un problema, o forse una benedizione: il noumeno è a noi per forza di cose inaccessibile. Difatti, non possiamo fare a meno di vedere la realtà attraverso i nostri sensi. Difatti, già questo mi basta a definire che persino nella natura tutto è relativo. Inoltre, non dimentichiamoci che nella scienza un ruolo fondamentale lo svolge la statistica. Ad esempio, due persone bianche senza antenati recenti di pelle scura, seppur all’apparenza possa sembrare impossibile, hanno una probabilità pari allo 0.01% di avere un figlio con una pelle molto più scura. Lo stesso vale poi per le mutazioni genetiche: esse non possono essere predette, perché sono totalmente il frutto del caso, ma hanno un impatto enorme, così grande da definire l’evoluzione delle specie. Forse in realtà la natura è totalmente definita, ma non ai nostri occhi. Ma come dice il professor Brian O’Blivion in “Videodrome”, cos’è la realtà se non la percezione della realtà? Ebbene, se ci pensiamo a fondo, tutto è relativo. Persino l’ovvio.

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