“Una poesia quando è finita, è di altri, è già altrove”. Una poesia che non ha la pretesa di essere per forza bella, che non è per pochi ma si mette al servizio di tutti, che grida libertà e accoglie qualunque cuore voglia prestargli attenzione. Una poesia non effimera ma tangibile. Sono questi i versi o, meglio, gli “AttraVersi” di Alice Cislaghi, classe 1985, impiegata e poetessa di Busto Arsizio (in provincia di Varese), dove vive nella certezza che sia importante avere radici salde e percepire la sicurezza del nido. «Mi sono sempre piaciute le parole con significati contrastanti – spiega l’autrice dell’opera pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore -. Andare alla ricerca di questo genere di parole mi affascina in quanto un solo termine ti permette di scavare all’interno delle sue più svariate sfumature, parole che da un lato lasciano libertà d’interpretazione e dall’altro sono come dei bivi, come degli specchi che ti permettono di poterle osservare da ambo i lati scoprendone significati talvolta simili e talvolta opposti. Il poeta è un giocoliere di parole e profondità». A partire dal titolo, anche Alessandro Quasimodo suggerisce nella Prefazione due interpretazioni. «La prima, senza considerare la maiuscola, indica la possibilità di oltrepassare la realtà fenomenica per cogliere la sostanza, l’essenza delle cose. La seconda – scrive l’autore, attore e regista teatrale, figlio del celebre Premio Nobel Salvatore Quasimodo -, (attraverso i versi) invece, mostra come, per mezzo della poesia, si affrontano con maggiore consapevolezza problemi e delusioni».
La silloge parla del vissuto quotidiano in cui ognuno può ritrovarsi. L’amore, l’inquietudine, la gioia, la perdita, ossia tasselli di ogni esistenza, in cui l’uomo è immerso, senza diventarne schiavi ma cibandosi anche dell’aspetto onirico. «Non voglio demonizzare la realtà – afferma l’autrice -. Essa serve ed è parte integrante della bellezza di vivere ma la equiparerei all’importanza dell’onirico, all’importanza di saper sognare, di accorgersi, di andare oltre; schemi e dettami sono fondamentali in uno stato civile ma credo che l’uomo debba imparare ad essere un equilibrista senza per forza avere un confine netto». La poesia riveste un ruolo salvifico nei momenti di difficoltà. «Negli alti e bassi del quotidiano potersi rifugiare in una passione diventa fonte viva, è linfa che scorre e riporta in carreggiata, è scoprire quanto siamo belli se sappiamo guardarci dentro. Il giusto stimolo porta a dimenticare l’impossibile». Cinque liriche sono, infatti dedicate al periodo buio della pandemia, quando – afferma Alice – durante il lockdown, è stato come vivere ai domiciliari da innocenti. «Ci siamo dovuti “fermare”, verbo quasi sconosciuto nel mondo attuale; ci siamo dovuti spogliare delle abitudini, degli affetti, delle attività che ognuno reputava fondamentali, abbiamo dovuto riscoprire l’essenziale, riconoscerlo e saperlo aspettare nel suo ritorno». E, poi, la scelta di dedicare un’Ode alla Noia, stimolata dalla tendenza sempre più comuna all’apatia, all’inerzia. «Mantenere l’occhio incuriosito, lo sguardo che scruta, la mente che vuole conoscere cose nuove è fondamentale per non cadere in quella che nell’ode chiamo “l’altra morte” quella psicologica che porta ad omologarci e a vivere di verbi al condizionale. La noia è mancanza di sé, impariamo a riscoprirci».
Protagonista dell’Ode alla Noia è una porta/non porta di un vecchio cancello in ferro battuto. E l’illustrazione che compare in copertina è proprio questa: un cancello reale che ha perso la sua funzione iniziale, perché avrebbe dovuto delimitare una proprietà che, però, non esiste più. «Un cancello – spiega l’autrice, catturata da questa immagine nei suoi giri in bicicletta, – che poteva essere attraversato e che contemporaneamente attraversava i miei pensieri, duplicità di ruolo, molteplicità di pensiero». “AttraVersi” è un’opera fatta di armonia, ritmo e immagini. Poesie brevi, con versi che sappiano arrivare dritti al cuore del lettore, come fossero frecce scoccate da un arco. «Mi piace l’effetto del “tutto d’un fiato”, quell’emozione inaspettata che sa lasciarti in balia di versi e sentimenti per qualche secondo. Ogni traguardo è un nuovo punto di partenza e la mia fame di sapere è tutta da vivere». E la magia della poesia è proprio questa: la bellezza di poter essere attraversata da ciascuno di noi. «Una magia che se veicolata bene – conclude Alice Cislaghi – diventa, in primis, un mezzo personale di sfogo, di conoscenza del proprio io, un’introspezione che abbraccia le nostre fragilità non facendoci sentire soli. “Il poeta è pieno delle cicatrici dei propri versi”, il mio messaggio è questo: una poesia tangibile, utile e al servizio di tutti».
Federica Grisolia