Io amo la mia città. Quando passeggio tra la gente, mi guardo intorno e riconosco i suoni e gli odori di sempre. Quel giorno, pensierosa e distratta, avevo iniziato la mia camminata, diretta al mercatino del quartiere, senza far caso che il tempo stava cambiando e che le nuvole si ammassavano all’orizzonte. All’improvviso, tutto divenne buio ed incolore, un lampo ed un tuono incredibilmente violento invasero l’aria per un tempo incredibilmente lungo, il vento si insinuò tra i vicoli ed io, cercando un riparo, mi ritrovai in un posto che non conoscevo. Improvvisamente ebbi paura, chissà perchè.
Mi guardai intorno per chiedere a qualche passante dove fossi ma, camminavano tutti veloci, quasi fuggendo, senza degnarmi né di una risposta né di un solo sguardo. La pioggia battente mi spinse ad entrare in quello che mi sembrava un bar. Una volta superata la soglia venni avvolta da una nuvola di fumo e dall’olezzo disgustoso di cibo stantio. Il locale, buio ed affollato, sembrava aver dimenticato da secoli l’aria pulita ed il sole. I clienti della bettola, seduti ai tavoli di legno grezzo dal colore improbabile, avevano tutti un’aria triste ed aggressiva, come se volessero far capire al mondo intero che la presenza di estranei non era gradita.
Quando la porta si chiuse dietro di me, mi resi conto di essere l’unica donna nel locale, tuttavia, nessuno sembrò far caso alla mia presenza. Mi avvicinai al banco sudicio dove un corpulento individuo riempiva bicchieri con stanca rassegnazione, indirizzando, poi, un fischio breve verso il cliente servito che, stancamente, si alzava per prendere la sua dose di oblio. Cercai di attirare l’attenzione del barista ma, in quel momento preciso, il brusio divenne un vociare alterato e l’attenzione di tutti si era rivolta al fondo del locale dove, senza apparente motivo, due avventori erano venuti alle mani.
Così come era cominciata, la lite finì e tutti tornarono a guardare il fondo del bicchiere come a cercare il motivo della loro esistenza. Finalmente, l’omone del banco sembrò aver notato la mia presenza ma, invece di chiedermi cosa volessi, mi apostrofò con voce stentorea ed inquieta, come se la mia presenza fosse oltremodo sgradita ed inopportuna. “Cosa ci fa lei qui? Non lo sa che nessuno può entrare senza essere chiamato? Chi la manda? Chi le ha indicato la strada? Non vede che siamo tutti in attesa?” Dinanzi a questa raffica di domande impreviste, rimasi senza parole e balbettando cercai di spiegare che avevo sbagliato strada e cercavo qualcuno che mi indicasse la via del ritorno.
Come se avessi pronunciato una parola magica, all’improvviso, tutti i presenti rivolsero la loro attenzione su di me. Qualcuno iniziò a muoversi dirigendosi verso il banco, qualcun altro chiese ad alta voce chi fossi, mentre l’atmosfera diventava pesantemente irritata. Allora, il barista, ergendosi in tutta la sua altezza ed alzando la voce, ordinò a tutti di sedersi e tacere senza indugi. Come burrattini, gli uomini tornarono alla loro inerzia, come se nulla fosse accaduto. Il Cerbero, così lo avevo nominato dentro di me, mi guardò con cipiglio e, senza usar parola, mi indicò la porta con gesto perentorio, scuotendo il capo in segno di diniego. A quel punto, costretta ad uscire, anche se fuori imperversava la bufera, allungai la mano verso la maniglia ed aprii la porta. Una luce intensa ferì i miei occhi, il vento non faceva più sentire la sua voce ma, io percepivo il battere di un tamburo, voci agitate che ripetevano il mio nome e, quindi, mi diressi verso di loro.
Girai la testa e mi resi conto che, il battito era quello del mio cuore, le voci appartenevano a medici e sanitari che si affaccendavano intorno al mio letto cercando di svegliarmi. Incominciai a ridere e scoprii così di avere un forte mal di testa che mi faceva ronzare le orecchie, che la mia bocca aveva il sapore dell’anestetico e che ero immensamente felice che non mi avessero permesso di rimanere in quel bar, in attesa di superare la soglia dell’aldilà. Eh già, mi era caduto in testa un ramo staccatosi per il vento, ero stata in stato di coma per un po’ ma, siccome neanche il diavolo mi vuole, ero tornata tra i vivi, in attesa di un’altra occasione per sapere cosa ci aspetta dopo la morte.
di Carlotta Villani