“Capirà?”, sembra aver pensato il regista, Antonello De Rosa, volto e direttore artistico già conosciuto sul panorama teatrale campano, “capirà il pubblico questa Euridice?”
È Antonella Valitutti a raccogliere ed assopire i suoi dubbi, in un sodalizio artistico già collaudato.
È lei, infatti, a vestire i panni della sposa tragicamente perduta di Orfeo, in una versione moderna del mito, alleggerita dalla retorica, ma ricca di nuovi spunti.
Liberamente ispirato al racconto dell’accademico Claudio Magris “Lei dunque capirà…”, questa versione adattata da Antonello De Rosa ha debuttato lo scorso luglio, nella suggestiva cornice del Museo Diocesano di Salerno, ma ha trovato nelle repliche invernali la sua dimensione ideale.
L’atmosfera della sala, infatti, ed un delicato gioco di luci, accompagna la mimica e l’esperienza di Antonella Valitutti, che ci offre un’Euridice ben diversa da quella di Ovidio e del mito greco come lo conosciamo.
Euridice non è più delicata fanciulla, bisognosa della protezione del suo Orfeo, ma è donna, emancipata e consapevole, e, soprattutto, è femmina, intesa nell’accezione più animalesca del termine.
Non è più una principessa da salvare, ma è sangue e carne, denti e lingua, corpo e sesso.
L’amore che la Valitutti porta sul palco non è delicato e platonico, come i greci lasciavano laconicamente intendere, ma carnale, vero, a tratti feroce. Orfeo, dunque, non è più il vate per come lo conosciamo, ma è un amante voglioso, che ben presto, nel racconto che ci fa Euridice, diviene un marito pigro, forse anche un poeta mediocre.
Come nella più fedele rappresentazione del ménage matrimoniale, Euridice lo ama, ma non lo sopporta.
Non tollera l’ozio in cui si immerge il poeta, e lo stuolo di donne adoranti che lo circonda quasi la disgusta.
Nutre, tuttavia, una profonda tenerezza per le nevrosi di quest’uomo, che senza di lei si dice perso, al punto da muovere una richiesta mai mossa prima: portarla via da lì.
L’Euridice che De Rosa ha messo in scena, non parla dagli inferi, bensì da un non meglio specificato “ospizio”, in cui ormai riconosce la sua casa. Ne ha assorbito i ritmi, la tranquillità, e, come una moderna Alda Merini, ha cominciato a prendere quell’ambiente come buono. La richiesta di Orfeo di portarla fuori, quasi la sconvolge, la intimorisce, e se in un primo momento accetta è solo perché divorata dalla nostalgia del fuori, del mare, del loro giovane amore e della sua carnalità.
Nei quarantacinque minuti in cui la Valitutti strega il palco, lo spettatore è trascinato dinanzi ad una ipotetica corte, con a capo un presidente, a cui Euridice si rivolge in modo diretto.
Il pubblico ha, così, la possibilità di osservare questa donna mutare costantemente, dando un preciso e ritmato spazio ad ogni sua sfaccettatura. È manipolativa, quando bisbiglia all’orecchio egocentrico del presidente, per difendere il suo uomo, ma è feroce quando spiega le sue ragioni. È commossa, persa nel ricordo nostalgico di quel loro amore, ma è ferma e determinata, quando decide di mettervi fine.
Antonella Valitutti si muove fluida e impeccabile, nella complessità del personaggio, regalandoci una Euridice indipendente, fiera, orgogliosa, femminista quasi, che tuttavia non ha messo da parte il suo romanticismo e la tenerezza che nutre per questo amore.
Il finale regala uno spunto spiazzante, che spinge a chiedersi quanto di prezioso, a volte, si sceglie di sacrificare, in nome di un sentimento.
Dopo il debutto salernitano, “Capirà” è pronto a girare l’Italia, senza alcun dubbio per il regista De Rosa: il pubblico ha capito.
(Recensione a cura di Antonella Grimaldi)