“Carin Grudda. Fantasie contemporanee ad Ostia Antica” è la mostra che sarà inaugurata mercoledì 27 giugno alle ore 19.00 nel Parco Archeologico di Ostia Antica (via dei Romagnoli, 717). Alla cerimonia interverranno, oltre all’artista, il direttore del Parco Archeologico di Ostia Antica, Mariarosaria Barbera, i curatori della personale, Marco di Capua e Silvia Mazza, l’ambasciatore del Regno del Marocco in Italia, Hassan Abouyoub, lo scrittore Tahar Ben Jelloun (l’area archeologica gli dedicherà una mostra nel 2019) e il presidente de “Il Cigno GG Edizioni”, Lorenzo Zichichi.
Dopo le mostre di Mastroianni, Messina e Manzù, l’area archeologica di Ostia viene disseminata di sculture contemporanee, come i sassolini bianchi di Pollicino, che accompagnano il visitatore lungo il percorso ostiense. A differenza dei tre grandi scultori del Novecento precedentemente esposti a Ostia, questa volta si tratta di un’artista vivente, che ha quindi interagito col sito, insieme alla direzione archeologica del Parco, per scegliere le varie opere che costituiscono il percorso espositivo.
Saranno esposti sedici bronzi della scultrice tedesca Carin Grudda, una delle più visionarie artiste concettuali contemporanee, che da anni vive in Liguria. Sculture che sono come “visioni oniriche, in cui la chiave giocosa alla maniera dadaista si è decantata della componente dissacrante, tipica del movimento artistico”, sottolinea Silvia Mazza, storica dell’arte e firma per “Il Giornale dell’Arte”. “
“Bau-Miau”, “Buffone”, “Fenice”, “Il grande salto”, “Cerbero”, “Grande Re”, “Le tre Grazie”, sono alcune delle opere esposte, insieme a “Paul-Orsacchiotto seduto”, “Elfo delle fragole” (che è stata protagonista della mostra tenutasi nel Teatro greco-romano di Taormina), “Galline in corsa” e “Mr. Dog”.
“La scultrice – spiega Marco Di Capua, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Napoli – porta tra noi, in maniera ironica, la favola antica, dove ci sono animali e piante, e dove lo scenario della classicità e la realtà sono unite in un patto non infranto tra di loro, in una connessione vera; è come se la Grudda riscoprisse e ci proponesse un Eden, un paradiso perduto, dove tutte le creature, lo scenario dell’arte e dell’antichità sono uniti sullo stesso territorio scenico. Tutto questo porta la purezza della favola, dove niente è ancora corrotto, dove nulla è perduto e dove tutto ritorna: gli animali, le piante, l’ironia, il racconto, la narrazione”.
Si tratta di un’arte indubbiamente “concettuale”- aggiunge Silvia Mazza -, “in quanto il processo mentale (l’idea) per arrivare al prodotto finito, diventa l’aspetto più importante del fare arte (la formalizzazione di quella stessa idea). Per definire la particolare cifra dell’opera bronzea di Carin Grudda ho coniato il neo sintagma “scultura ancipitale”, ovvero scultura dalla natura sospesa, perché lo stato di eterna transizione, la metamorfosi, non è un processo in divenire come nella tradizione classica, ovidiana, ma il suo essere definitivo. Esemplificativa è “Fontana Bambina–Qui Altrove”: ignare di un “hic et nunc” questa e le altre sculture sono un’immagine mentale che sfuma dopo qualche istante. Effimere, seppure in bronzo. Il visitatore dovrebbe accostarle, dotato di quella memoria eidetica tipica dell’infanzia quando si guarda un oggetto, o nel nostro caso un’opera d’arte, e subito dopo ne compare l’immagine mentale, che però altrettanto presto svanisce. Quello che l’artista vuole fermare nelle sue opere di bronzo è questa condizione di indeterminatezza, in cui si rispecchia l’insicurezza dell’umanità. Per questo l’arte della Grudda, dietro la prima apparenza di giocosità visionaria, è interprete profonda della crisi esistenziale contemporanea”.
“L’uso esclusivo del bronzo, uno dei materiali più preziosi ed utilizzati per opere scultoree, conferisce alle figure animalesche di Carin Grudda un’ispirazione “antica” che si ritrova nei soggetti rappresentati, molti dei quali ricalcano figure celebri della mitologia classica, quali Pegaso, la Fenice, Cerbero e le Tre Grazie”, osserva Mariarosaria Barbera, direttore del Parco archeologico di Ostia Antica. “Opere che si fondono con il paesaggio archeologico di Ostia Antica, fatto di vegetazione e architetture nate per ospitare la statuaria antica, eppure perfettamente a loro agio con le floride sagome partorite dal genio e dalla mano di Carin Grudda”.
“Puntare tutto su una carta, giocare rischiando al massimo – conclude Carin Grudda a proposito dello spirito che l’ha spinta a creare queste opere -. Il non essere arrivato, l’ “in between”, la ricerca, materializzati nel bronzo. Così il provvisorio e il finito si trasformano in un’eternità”. Per l’artista tedesca “l’arte è perturbante, nel senso migliore del termine, dal momento che riporta agli occhi le cose trascurate: il non visto. E’ un uscire da sé, come piccole fughe in grado di aprire il cuore e lo sguardo a spazi più ampi. L’estraneo, ciò che non è consueto, è una possibilità che si apre per noi. E’ un regalo per chi è disposto ad accoglierlo. Fermarsi qualche volta dimenticando se stessi, come accade nel gioco e nell’amore: questo, sì, ferma il tempo per un istante. Ci libera dalla nostra finitezza. Essere senza tempo, anche solo per un attimo, è felicità”.