“Chiaro Oscuro”. Il controverso percorso della malattia nel “noir” dell’oncologo

Sono la sofferenza e la lotta per la difesa della vita i temi principali dell’ultimo romanzo “noir” dal titolo “Chiaro Oscuro”, pubblicato nella collana “I Diamanti della Narrativa” dell’Aletti editore, scritto da Giuseppe Failla, già Primario di Oncologia medica in un Ospedale di Catania, la sua città.

La vicenda si svolge su due piani: uno reale, caratterizzato dalla malattia della protagonista Giuliana, giovane insegnante precaria, orfana di madre, e dall’amore incondizionato che Marco nutre per lei.

C’è, poi, il medico, Giorgio, un uomo che ha costruito dolorosamente la sua personalità, e cerca di risolvere i problemi dimenandosi tra le sue certezze e le fragilità.

Gli eventi clinici riguardanti Giuliana lo sconvolgono e lui si trova a vivere e combattere tra dolori reali e l’impotenza della scienza medica ad alleviare la sofferenza profonda, oscura dell’uomo, ritrovandosi in un vortice malefico fino all’annullamento della sua personalità.

L’altro piano è immaginario, dai risvolti “gotici”, ossia la lotta tra il bene e il male. «Penso che in ciascuno di noi – spiega il dottor Failla – ci siano aspetti controversi del nostro carattere, della nostra personalità che, a seconda delle circostanze esistenziali o delle angolature prospettiche, si presentano chiari od oscuri.

Ho voluto tratteggiare, per esempio la figura di Giorgio, il medico, in questo divenire.

Il bianco immacolato del suo camice, metafora del suo essere generoso ed empatico con i suoi malati, che si trasforma, nell’abito sporco e stazzonato dell’uomo con propositi omicidi. D’altra parte, non tutto in noi è bene o male, né il bianco o il nero sono assoluti e immodificabili. Credo, anzi, che sia sempre presente il grigio con le sue molteplici sfumature in perenne evoluzione cromatica e temporale».

L’amore, la malattia, la medicina, la spiritualità, sono diverse le tematiche trattate nel romanzo. «I vari personaggi sono usciti da una sorta di limbo pre-narrativo ed hanno assunto caratteristiche che ne delineavano meglio il loro essere “persone”. Da quel momento, si sono impadroniti della mia mano ed è stato come se creassero da soli il loro percorso».

La professione di medico ha condizionato la passione di Giuseppe Failla per la scrittura, che ha voluto imprimere nero su bianco non solo aspetti prettamente clinici ma le problematiche esistenziali, la bellezza e la femminilità violate, le aspirazioni di successo e di carriera ridimensionate o annullate, il distacco progressivo dagli interessi prima e, infine, drammaticamente dagli affetti.

Il dramma clinico si svolge, infatti, in uno spazio in cui si trovano il malato, i parenti, il medico e la società. «Ho voluto soffermarmi sulla sofferenza psicologica indotta dalla malattia ma anche dalle cure – spiega l’autore, appassionato di storia antica e medievale, e di teatro, come spettatore e come attore dilettante -. Il bisturi, le radiazioni e i farmaci guariscono o migliorano spesso la qualità della vita o ritardano la morte. Ma, talvolta, aggiungono sofferenze al malato, condizionandone le scelte successive, inducendo danni psicologici di difficile rimozione. Questo rappresenta oggi il target della mia opera letteraria, questo ho cercato di combattere durante buona parte della mia carriera di medico, riuscendovi talvolta».

La trama del romanzo – l’ottavo scritto e pubblicato da Giuseppe Failla, che dopo la pensione ha realizzato il sogno della narrativa, conservato a lungo nel cassetto per dar spazio alla ricerca scientifica in campo oncologico – è caratterizzata da una certa linearità e le sequenze sono raggruppate in un arco temporale limitato, scandito dalle voci dei personaggi che danno al racconto narrativo quasi un aspetto scenico. Il ritmo incalzante accompagna la lettura senza divagazioni, ma riesce a trasmettere l’importanza di un rapporto bidirezionale tra medico e paziente, fatto di sentimenti ed emozioni, non solo di informazioni e prescrizioni. L’opera si sofferma sul rapporto genitori-figli, che ha tante gradazioni e, talvolta, può indurre incomprensioni, ribellioni, divisioni. Ma è, soprattutto, un inno all’amore, quello vero.

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