Claudio Sirigu ci regala un’emozionante esperienza sonora con “Le Statali”, un brano malinconico che cattura perfettamente il tumulto emotivo e la complessità delle relazioni interpersonali nel contesto universitario di Milano.
La trama agrodolce di questo racconto musicale si svolge in un ambiente affollato e dispersivo, tipico di un campus universitario. Il narratore, immerso in questa realtà ricca di nuove persone e incontri, si ritrova a lottare con una profonda sensazione di inadeguatezza. La paura di instaurare legami significativi diventa il filo conduttore di questa ballad acustica, rendendo il brano un’ode alle difficoltà e alle ansie che accompagnano i rapporti umani.
Come è iniziata la tua avventura nel mondo della musica?
Ho sempre respirato musica in famiglia, mio padre suona la chitarra e da giovane ha anche scritto qualcosina, a mia madre è sempre piaciuto cantare, ho un po’ di zii che suonano, quindi è stato molto naturale per me avvicinarmici, mi divertivo fin da bambino ad improvvisare cantando, crescendo mi sono progressivamente avvicinato agli strumenti, iniziando verso i 15/16 anni a scrivere le prime musiche e i primi testi
C’è stato un momento decisivo in cui hai detto “questa è la mia strada”?
A dire il vero tendo tutt’ora a chiedermi spesso se quella musicale sia la mia strada, poi la verità è che non saprei cosa fare nella vita se smettessi di fare musica e soprattutto il continuare a farlo nasce dalla necessità, periodica e ricorrente, che ho di scrivere. Forse il momento più “decisivo” in questo senso però posso identificarlo nella prima esperienza in studio, a 16 anni, che poi mi spinse ad iscrivermi, finite le scuole superiori, a scuola di fonico ed avvicinarmi a quella professione.
Come hai superato le sfide che hai incontrato e cosa hai imparato da esse?
Come già accennavo prima, mi sono chiesto spesso se quella musicale fosse la strada giusta, a volte pensando anche di lasciar perdere (cosa in cui ho poi fallito miseramente). Io penso che la più grande sfida, la cosa più difficile, sia prendere coscienza dei propri limiti, se penso ai miei progressi nel tempo penso che la cosa che mi abbia aiutato di più sia stato accettare di dover migliorare sotto diversi aspetti e spesso da autodidatta questa cosa è ancora più difficile.
Come hai visto evolvere il tuo stile musicale e artistico nel corso degli anni?
Probabilmente si è definito, ho realizzato le prime demo quando il 90% dei miei coetanei ascoltava rap, ed il pop per un ragazzino di 16 anni era visto un po’ “fuori contesto” o quantomeno inaspettato, poi è scoppiata la rivoluzione indie, da cui penso di aver preso qualcosa a livello di influenze, tuttavia fondamentalmente sono cresciuto col cantautorato prima e con la scena alternativa italiana degli anni 2000/2010 poi, e penso che accettare in qualche modo che arrivo da quel tipo di musica, pur non potendo affatto dire di scrivere a pieno come i veri cantautori, sia stato un focus importante.
Quali consigli daresti a chi sta iniziando la sua carriera artistica?
“Divertiti”, molto semplice ma molto efficace.
Ed anche “circondati di professionisti e musicisti, c’è sempre da imparare e soprattutto dei punti di vista esterni servono sempre, sia a crescere, che a capire se si sta andando in una direzione giusta”.
C’è un messaggio o un’emozione che speri di trasmettere attraverso questo singolo?
L’emozione principale penso sia il disagio di non sentirsi parte di qualcosa, di sentirsi nel posto sbagliato, senza doversi per forza colpevolizzare per questo, che i fallimenti servono e le delusioni ci formano.
Hai intenzione di esplorare nuovi generi musicali nei tuoi prossimi progetti?
Decisamente, ma non mi sbilancio troppo per ora 🙂