Contemporary Cluster inaugura giovedì 27 aprile 2023 DUALE, una mostra collettiva a cura di Lorenzo Madaro con opere di Canicola, Guido Strazza, Alberto Gianfreda, Giuseppe Spagnulo, Giulia Manfredi, Giulia Napoleone, Andrea Polichetti, Pasquale Santoro a Palazzo Brancaccio in Via Merulana 248, Roma.
Duale è un incontro serrato tra artisti di differenti generazioni – quattro maestri della storia dell’arte contemporanea e altrettanti giovani artisti italiani – che si fronteggiano in un dialogo profondo tra linguaggi, attitudini, esperienze e percorsi. Nelle sale del piano terra di Palazzo Brancaccio a Roma si riattivano così specifiche ricerche di quattro maestri che hanno, in particolar modo dai Sessanta, contribuito a un rinnovamento delle indagini della scultura e della pittura. Le trasformazioni della materia di Canicola dialogano lealmente con i segni aperti delle grandi superfici pittoriche di Guido Strazza; Alberto Gianfreda con una scultura in grado di misurare i propri stessi confini volumetrici e le trasformazioni della materia si confronta con un maestro come Spagnulo che a questi temi ha dedicato gran parte del suo impegno pionieristico; Giulia Manfredi riflette sulle metamorfosi organiche e lo fa stringendo uno spazio di riflessione con le tele essenziali e sofisticate dipinte da Giulia Napoleone, mentre Andrea Polichetti investiga lo spazio, i suoi stessi perimetri, e lo fa con un protagonista assoluto di area minimalista quale Pasquale (Ninì) Santoro.
La mostra sarà visitabile fino a sabato 27 maggio 2023, dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 19.00, il sabato dalle 11.00 alle 20.00
GLI ARTISTI IN MOSTRA
Nicola Ghirardelli, in arte Canicola (Como, 1994; vive e lavora tra Milano e la Toscana). Nel 2020 si laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2022 lavora come assistente dell’artista Giulia Cenci per la realizzazione delle opere per la 59. Biennale di Venezia The Milk of Dreams. L’artista attinge dalla storia dell’arte, dall’iconologia e dalla mitologia, si appropria di elementi della memoria collettiva, di simboli dimenticati, “sterili”, portandoli a riemergere nel presente dando loro un nuovo significato. Nascono forme anacronistiche, risonanza di una cosmogonia lontana nel tempo. L’artista lavora con molte materie come la terracotta, la stoffa, l’acciaio ed elementi naturali in una ibridazione di materiali e forme organiche, artificiali e meccaniche realizzate in collaborazione con le maestranze locali.
Alberto Gianfreda (Desio, 1981; vive e lavora a Milano). Nel 2003 si diploma in scultura presso L’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2005 si specializza in Arti e Antropologia del Sacro e completa la sua formazione presso il TAM, sotto la direzione di Nunzio di Stefano. Nello stesso anno ottiene la cattedra di Tecniche per la scultura nel polo accademico milanese. Dopo molti anni dedicati all’insegnamento nelle stesse aule che hanno visto la sua formazione, attualmente insegna ai giovani scultori dell’Accademia di Carrara.
Al centro delle sue riflessioni sin dagli esordi, ci sono l’identità e l’adattamento attivo della materia, che si manifesta attraverso il dialogo tra le caratteristiche intrinseche degli elementi scelti (ceramiche, marmo, legno, ferro, argilla) e le forze esterne volutamente imposte, per mettere alla prova i limiti costitutivi dei materiali, e modificarne la forma originaria. La sua indagine privilegia la dimensione aniconica, ed è dedicata piuttosto alla conoscenza profonda di ciascun supporto e all’equilibrio delle forze tra loro.
Andrea Polichetti (Roma, 1989 dove vive e lavora). Si forma come allestitore per Monitor e altre gallerie, sin quando nel 2013 rifiuta un’importante commissione da parte di un’agenzia di art handling e sceglie di dedicarsi alla produzione negli studi d’artista. Nei magazzini della Fondazione Meo riceve la folgorazione con il lavoro di Salvatore Meo: ne riconosce subito la forza e qualche anno dopo ne porta in scena il lavoro. Nello stesso anno si dedica alla gestione del temporary space Da Franco senza appuntamento, dove organizza una serie di incontri insieme a Niccolò De Napoli, Vasco Forconi e Silvio Saccà. L’iniziativa prende una piega inaspettata e nel 2020 il progetto si amplia con la fondazione di SPAZIOMENSA, un vasto perimetro espositivo di 600 mq all’interno di capannoni abbandonati, fuori dal G.R.A. insieme ad Alessandro Gianni, Marco Eusepi, Dario Carratta, Gaia Bobò e Giuseppe Armogida, Polichetti ha pensato e assemblato una mostra collettiva che potesse essere percepita come uno statement. La sua ricerca attinge all’immaginario archeologico e a quello naturale, passando per le sperimentazioni sui materiali del contemporaneo e articolandosi attraverso diversi linguaggi, tra cui il disegno, la stampa, la cianotipia e la scultura. L’artista si sofferma sul potenziale estetico della rovina, e il suo lavoro riflette sulla caducità del tempo, ponendosi in relazione con l’elemento naturale.
Giulia Manfredi (Castelfranco Emilia, 1984; vive e lavora a Roma). Nel 2008 consegue il diploma di laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Dal 2006 al 2014 vive a Berlino frequentando i corsi presso l’UDK in Comunicazione Visiva e Belle Arti, seguita dall’artista Hito Steyerl, mentre collabora con un collettivo internazionale di artisti.
Il lavoro di Manfredi è una meditazione sulla fugacità della vita umana e sull’arte come forma e razionalizzazione di un universo intimo. La creazione, per l’artista, ha una valenza catartica, terapeutica e viscerale in cui la bellezza sublima i dubbi e le paure profonde. Uno dei tratti distintivi delle sue opere è la sofisticata sperimentazione materica: una sinergia di motivi e tecniche classiche, unite al design e all’innovazione tecnologica, oltre agli studi botanici che giustificano la presenza di elementi organici integrati nelle opere.
Giulia Napoleone (Pescara, 1936; vive e lavora tra la Tuscia e il Ticino). Si forma presso la Scuola libera del Nudo all’Accademia di Belle Arti, imparando le tecniche dell’incisione da Mino Maccari e Lino Bianchi Barriviera, a cui si avvicina anche grazie ai consigli di Giorgio Morandi. Le sue passioni per il violino, la fotografia e i viaggi contribuiscono in maniera significativa alla sua ricerca artistica espressa in particolare attraverso l’incisione grafica e al pittura ad olio. La sua prima mostra personale viene inaugurata nel 1963 alla Galleria Numero di Firenze e nel 1965 partecipa al laboratorio sperimentale e internazionale di stampa e grafica ideato da Maurizio Calvesi, direttore della Calcografia Nazionale. Nel 1967 vince una borsa di studio per specializzarsi nell’incisione presso il Rijksmuseum di Amsterdam. Le sue opere disegnano forme molecolari nate dall’osservazione della natura, dell’entomologia, dei muschi e dei licheni; la carta è da sempre il suo supporto preferito, lavora intorno a porzioni di foglio bianco, “al risparmio”, facendoli diventare momenti di luce pura. Ha insegnato al I Liceo Artistico di Roma, all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, alla Calcografia Nazionale di Roma e nelle Università di Tenerife e Aleppo, in Siria.
Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922; vive e lavora a Roma). Appassionato di disegno sin dall’infanzia inizia a dipingere negli anni universitari. Appena ventenne, conosce a Roma Filippo Tommaso Marinetti che lo incoraggia ad approfondire il suo rapporto con la pittura, dal maestro impara la storia dell’arte moderna e viene invitato alla Biennale di Venezia del 1942 dove espone un quadro di aeropittura. Lavora come ingegnere e agrimensore per un lungo periodo in Sud America, tornato in Italia e vive da prima a Venezia e poi a Milano dove conosce Lucio Fontana partecipando alle tendenze informali. Negli anni Sessanta a Roma si dedica alle tecniche dell’incisione che diventano la tecnica e linguaggio essenziale del suo lavoro, partecipando al laboratorio sperimentale e internazionale di stampa e grafica ideato da Maurizio Calvesi. Insegna nelle Accademie di Belle Arti di L’Aquila e Roma in cui assume il ruolo di direttore dal 1985 al 1988. Per Guido Strazza: «Il segno è un gesto con cui percorro lo spazio in un istante». Le rovine romane di Giovanni Battista Piranesi, studiate attraverso le matrici originali, i pavimenti cosmateschi insieme alla natura con i suoi insetti, gli alberi e la vegetazione costituiscono importanti fonti da cui trarre i segni grafici.
Giuseppe Spagnulo (Grottaglie, 1936 – Milano, 2016) si dedica a una primissima formazione artistica nello studio del padre e poi alla Scuola d’Arte della sua città. Presto si trasferisce a Faenza dove tra il 1952 e il 1958 approfondisce gli studi all’Istituto della Ceramica, ed entra in contatto con la ricerca di Picasso. Ha contatti anche con il ceramista francese Albert Diato, e diventa amico di Carlo Zauli e Nanni Valentini, con il quale condivide soprattutto l’interesse materico per la terra. Nel 1959 si trasferisce a Milano per frequentare l’Accademia di Brera, e dedica i primi anni alla ricognizione artistica del territorio, indagando la scia culturale lasciata da Spazialismo, dai Nucleari e dall’“informale caldo”. Qui incontra Piero Manzoni e diventa assistente di studio di Lucio Fontana e Arnaldo Pomodoro. Dopo la prima personale al Salone Annunciata, con le piccole sculture in grès, si interessa al metallo, e realizza le prime opere pensate per lo spazio urbano. Gli anni Settanta sono segnati dall’approfondimento dell’aspetto concettuale e performativo dell’arte. Negli anni Ottanta, dopo un viaggio nel Mediterraneo, l’artista torna a occuparsi della terra e delle ceramiche, per poi ripiegare sul tema dei Ferri Spezzati e concentrarsi sulla sfida alla forza di gravità, con i grandi blocchi sospesi. Grazie ai riconoscimenti ottenuti a livello internazionale, all’inizio degli anni Novanta ottiene la cattedra di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Stoccarda. Successivamente la sua fama viene riconfermata da numerosi premi e commissioni pubbliche come La Foresta d’Acciaio, collocata nel 2008 all’interno del Parco Schuster di Roma.
Pasquale “Ninì” Santoro (Ferrandina, Matera 1933- Roma 2022) grande protagonista dell’astrattismo italiano, è stato scultore, pittore incisore e ceramista. Appena venticinquenne decide di lasciare Roma per dedicarsi all’arte, e nel 1957 si trasferisce prima a Lione e poi a Parigi, dove frequenta il celebre laboratorio di incisione di Stanley William Hayter, l’Atelier 17, grazie alla borsa di studio al Musées des Tissus. Qui, oltre allo studio delle tecniche incisorie tradizionali, e in particolare alla xilografia, apprende l’originale procedimento di stampa a colori da un’unica matrice. Rientrato in Italia nel 1962, fonda a Roma, insieme a Biggi, Carrino, Frascà, Pace e Uncini, il Gruppo Uno, impegnato nello studio del superamento del linguaggio informale, attraverso nuove riflessioni sui mezzi tradizionali dell’arte. La prima mostra del Gruppo è presentata alla Galleria Quadrante di Firenze, ed è accompagnata dagli scritti di Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan, già legati all’artista da profonda amicizia. Nel 1962, Santoro è invitato da quest’ultimo alla Biennale di Venezia e nel 1967 realizza per la Galleria Nazionale di Arte Moderna la Foresta pietrificata in acciaio. Negli stessi anni insegna presso l’Istituto Statale d’Arte di Pomezia e di Roma. Negli anni ’80 ottiene significativi riconoscimenti internazionali; nel 2011 riceve il Premio Presidente della Repubblica per la scultura conferitogli da Giorgio Napolitano e nel 2013 riceve la nomina di Accademico di San Luca.