Decisamente un disco fatto a mano “Petricore” la prima release personale di inediti in studio firmata da Daniela D’Angelo che troviamo dentro tutti i canali digitali e non solo… e almeno nella sua preziosa release fisica si presenta come un oggetto umano, non industriale. Un cartonato, un laccetto… piccole cose come sono piccoli i preziosi della canzone d’autore della D’Angelo, finemente rivestiti per l’occasione dalla grande direzione artistica di Vito Gatto. E qui il suono prende derive distopiche, digitali, urbane… l’incontro tra i due mondi ci restituisce un gusto etereo e sospeso della parola e del modo. “Petricore” è un lavoro di nuovi inizi e di nuovi arrivi. Poi la chiave di lettura diventa personale e salvifica…
Un disco importante per il tuo nuovo inizio. La dimensione di band si traduce in una sola voce pensante. Ti sei trovata nuda? Disarmata? O più sicura e coccolata dal controllo?
Attendo il giorno in cui mi sentirò ‘sicura’, chissà quando arriverà… 🙂
Scherzi a parte, il passaggio dalla dimensione ‘band’ a quella di ‘solista’ è stato comunque graduale, perché ho continuato a suonare con gran parte dei musicisti con cui collaboravo prima e ho sempre scritto parole e musica delle mie canzoni.
Solo, ad un certo punto, quando ha iniziato a prendere forma l’idea di fare un album, ho sentito questa strana sensazione di avere una libertà quasi inquietante, per la paura di non esserne all’altezza. Davanti a me stessa, dovevo scegliere la direzione in cui andare, con i miei mezzi, con la mia testa. La realtà è stata ben diversa da questa percezione, perché sola non lo sono mai stata e, con Ivano Rossetti (basso), Mamo (batteria), Vito Gatto alla produzione e Guido Andreani alle registrazioni e al mix, ho avuto il privilegio di essere sempre sostenuta e lavorare in una squadra umanamente e professionalmente fortissima.
Questo disco ha una dimensione fisica, come oggetto, curata davvero bene. Un oggetto artigianale. Oltre che a cozzare contro la natura digitale del suono credo sia anche un bel messaggio: in fondo tutto è merito dell’uomo. O sbaglio?
Nell’era del digitale, dello swipe, dello skip e della velocità con cui fruiamo voracemente di tutto – musica, informazione, rapporti interpersonali – mi è piaciuto prendere innanzitutto del tempo per me stessa, per fare con lentezza qualcosa di unico, un oggetto che ricordasse fisicamente che dentro ai dischi c’è del valore, per l’impiego del lavoro, del tempo, della fatica, dell’amore di chi li fa. Tendiamo a correre sempre, a scartare in pochi secondi qualcosa che non ci piace immediatamente, per passare ad altro. Non solo bisogna riconoscere l’essere umano e il merito che c’è dietro a ogni lavoro, ma rendersi conto anche che per giudicare qualcosa bisogna andarci a fondo. E’ naturale che esista il colpo di fulmine, ma non può essere quello l’approccio a tutte le cose… a volte c’è bisogno di ‘frequentare’ lungamente qualcosa anche solo per comprenderla, prima di innamorarsene o anche odiarla.
E delle macchine? Che merito hanno le macchine? Che spazio occupano e occuperanno le macchine? Visto lo spazio che hanno preso dentro la tua canzone…
Le macchine esistono, ne siamo in parte dipendenti nel nostro quotidiano. Qualcuno diceva che l’uomo stesso è una macchina, finché non se ne accorge. Negare che esistano delle buone macchine, anche per produrre bella musica, sarebbe negare un’oggettività e anche una potenziale espressività del nostro tempo. Non so fino a dove ci si spingerà, se questa cosa in ambito musicale sarà sempre più forzata. Nel caso del mio album, c’è un cuore acustico e c’è il lavoro di un artista, Vito, che come sua poetica personale parte dall’organicità dello strumento, in questo caso la chitarra, la voce, la batteria, il basso. Dietro la macchina c’è sempre l’essere umano, insomma, e credo che così debba essere, oggi e (spero) domani.
Esiste un punto di non ritorno? Ecco il brano “Esercitazioni” mi sembra molto un punto da non oltrepassare, un momento in cui dire a tutti che dietro c’è sempre l’uomo e non le macchine…
‘Esercitazioni’ è un brano molto antico, proveniente dalle mie origini e dalla mia essenza, che è chitarra e voce, perché è così che compongo, da molto, molto tempo. E’ un monumento, nel senso latino del termine, perché ‘monet’, cioè ammonisce, ricorda quello che sono e ‘manet’, cioè rimane immutato, scolpito come una piccola scultura minimale in mezzo a una ricerca di ricchezza di suono. Mi piace pensare che il suo posto sia proprio lì, incastonato in un disco denso di sonorità diverse, un po’ ‘aliene’ a quello stile.
L’era dei Social… l’iper connessione secondo te porta una evoluzione o un imbarbarimento?
Non voglio fare la bacchettona noiosa, ma non riesco a trattenermi… A cosa portano i social? (Riscontrato su me stessa, senza andare lontano…) Giudizio, divisione, isolamento, passività nel fruire di contenuti scelti appositamente per il nostro presunto profilato piacere, voglia di apparire, fame di like, percezione di non esistere se non hai almeno un tot di follower… Magari c’è chi prova davvero piacere a raccontarsi attraverso i social, io mi annoio, mi sembra di non essere abbastanza interessante, abbastanza cool… MAI ABBASTANZA. Di sicuro quando a qualcuno venne l’idea (geniale) di inventare un social per poter trovare persone che non si vedevano da anni, per comunicare qualcosa a molti, le intenzione erano buone… poi è stato compreso il profitto che poteva derivarne (per pochi) e ora siamo nell’illusione di poter conoscere il mondo, noi stessi, le persone, i posti attraverso questa finestra coi vetri deformanti. L’iper connessione, come tu la chiami, ci porta esattamente all’opposto, ovvero alla separazione, all’illusione di sapere cosa è l’altro, cosa fa l’altro. L’Altro. Ma non è così. Evoluzione è uscire di casa, fare fatica, stare con le persone e cercare di amarle ‘dal vivo’.
Il prossimo video di Daniela D’Angelo? Sarà fatto “nel modo giusto”? Questo gioco di parole perché in fondo questo disco, bellissimo nella sua fattura e nel suo contenuto, sembra davvero un continuo ricercare “il modo giusto”. Non so se l’hai trovato…
Non l’ho trovato, no… credo ci sia solo IL ‘modo’, cioè FARE, muoversi con i propri piedi e soprattutto con i propri tempi. Vorrei fare il video di ‘Suppergiù’, ma i miei tempi sono più simili a quelli di stelle e pianeti, rispetto che a quelli umani, quindi non so quando vedrà la luce il prossimo video, ma cercherò di fare in modo che lo sappiate! 🙂