Benvenuti all’intervista con il cantautore Daniele Faraotti. Oggi, ci immergeremo nel mondo di “Calano i colli”, il suo nuovo singolo.
Come è iniziata la tua avventura nel mondo della musica?
Mi pare d’esser vittima di un incantesimo. Una vecchia strega, la musica, mi ha fattucchiato che ero ancora nella culla.
Mio padre sosteneva che la musica mi avesse rovinato. Nel senso che ho sempre relativizzato tutto ad essa. Non credo che la musica sia un linguaggio, la musica è la musica, esprime se stessa e forse non tutti possono abitarla. Parlare di musica in astratto quasi mi infastidisce. La musica può catapultarti in un mondo dove gli stereotipi della nostra civiltà perdono significato. Ma finché bisognerà scrivere tomoni, che pretenderebbero di spiegarti una sinfonia di Beethoven a parole, non c’è speranza.
C’è stato un momento decisivo in cui hai detto “questa è la mia strada”?
Si, ricordo come fosse adesso, ero davanti al giradischi dei miei nonni, avrò avuto due anni. Avevo la nitida percezione che mi sarei occupato di musica per tutta la vita ; già sapevo che avrei prodotto dei dischi. Quell’oggetto meraviglioso mi aveva letteralmente stregato. Per me essere felice significava avere un giradischi a portata di mano, molti dischi da mettere sul piatto e una stanza dove rinchiudermi ad ascoltare.
Come hai superato le sfide che hai incontrato e cosa hai imparato da esse?
Dove c’è calcolo ci sono sfide da superare. Con la musica non ho mai mollato, ma ho fatto fatica a diplomarmi in composizione. Dopo 4/5 anni ne avevo abbastanza. La perentorietà del conservatorio non ha per niente stimolato la mia fantasia. Ho dovuto disintossicarmi dai modelli e ritrovare il quindicenne che era in me. Per fortuna mi stava ancora aspettando. Mi aspettava lì. Ben inteso, adoro studiare; quello che dico io, quando lo voglio io, nel modo che preferisco io. La formazione scolastica non è niente a confronto.
Come hai visto evolvere il tuo stile musicale e artistico nel corso degli anni?
Non ti so dire se evolve o decade. Mi piacerebbe che REVOLVERasse ( ahahah ). Dovessi mai scrivere un album così, potrei anche fermarmi per un pò. Questo per quanto riguarda la parte musicale, per quanto riguarda la parte artistica, quella la lascerei ai critici. Oggi ci si storicizza in vita. A18 anni se hai vinto un mezzo concorso ti mettono già sulla “garzantina”, mi pare una cosa controproducente. E poi arte, arte, arte, è sulla bocca di tutti ma stento a vederla e francamente me ne infischio abbastanza. Ma che c…son tutti artisti.
E allora Beethoven che cos’è ?
Quali consigli daresti a chi sta iniziando la sua carriera artistica?
Consiglierei un’immersione totale nella musica. Quelle 100 canzoni da buttare prima di dire, ecco, questa invece è buona. Macca docet. Schopenauer, più drastico, auspica 40 anni di fruizione e di studio prima di cominciare il trentennio di restituzione creativa. Certo la salute ti deve assistere ( ahaha ). Vedo in giro molta fretta auspicante successo, danari, vanità. Cose fuggevolissime che potrebbero anche rovinarti per sempre. A questo punto potresti chiedermi : e tu Faraotti ti poni come alternativa? Credo di essere un modello abbastanza inimitabile. Ho sempre e solo seguito l’istinto, che mi ha anche fatto fare un bel pò di errori, ma no, quando ho sbagliato non era l’istinto, era il calcolo. Ecco, consiglierei di seguire l’istinto, se va male, pas mal, ed hai fatto quel che volevi, se va tutto bene, allora è tutto merito tuo.
C’è un messaggio o un’emozione che speri di trasmettere attraverso il tuo nuovo singolo “Calano i colli”?
I messaggi fuggono, come talvolta l’amore. La musica potrebbe anche vivere in eterno. Speranze non ne ho. Diciamo che termino una canzone perché ho visto balenare una possibilità. Poi, le miriadi di ascolti possono anche farmi ricredere. Arrivato in fondo ne ho la nausea. Speriamo che non si nausei anche l’ ascoltatore. Almeno non subito.
Hai intenzione di esplorare nuovi generi musicali nei tuoi prossimi progetti?
Come fruitore di musica ho esplorato tutto. Non ho lasciato indietro niente. Finché la musica mi ha sorpreso sono sempre andato avanti. Se un compositore mi colpiva, affrontavo tutta la sua produzione. Volevo conoscere tutto, anche la trascrizione della marsigliese per violino solo ( risata ). I generi? Bah, per me sono una gran cagata. Oggi c’è questa mania di etichettare tutto. Vorrebbero farmi credere che sto ascoltando un genere, mentre in realtà sto solo ascoltando una musica trita e ritrita che m’ammorba parecchio. Che sia di quel genere lì a me poco importa, Ecco, forse è un modo come un altro per de-responsabilizzare la musica a favore del genere, che evidentemente può poco o niente. Quando ero ragazzo, ai miei tempi, c’era la musica pop. Pop nel senso di popolare. Nello stesso insieme convivevano, Hendrix, Mino Reitano, I King Crimson, Gigliola Cinquetti e tutti gli altri. Non c’erano generi. C’era la musica. Il termine Pop era più che altro un’ etichetta che serviva solo a distinguere la musica dell’insieme sopra citato da quello della musica classica. Musica classica che partiva con Machaut ( 1300 ), per terminare con Stravinsky, Stockhausen e Maderna. ( 1900/ 1973 ). Noi dodicenni del 73, ne eravamo consapevoli, così come eravamo consapevoli dei due insiemi, che oltretutto sapevamo comunicanti. I generi hanno occultato l’orizzonte. Elementi preconfezionati condizionano e limitano l’immaginazione rendendo i generi nella maggior parte dei casi una sbobba indigeribile.