Davide Buzzi, una vita tra arte, musica e parole

È un artista poliedrico, quasi iperattivo. Di formazione fotografo, le sue passioni spaziano dall’attività di cantautore e autore di canzoni a quelle di scrittore e giornalista. Lui è Davide Buzzi, nato ad Acquarossa (Svizzera) a pochi minuti dalla mezzanotte del 31 dicembre 1968.

Davide, la tua carriera inizia molto presto, a soli 13 anni di età, se non erro, con una particina in un film del poeta e regista Nelo Risi. Ma è solo a partire dai primi anni 90 che inizi a cimentarti con la canzone e la scrittura in modo professionale. Infatti il tuo primo album discografico risale ormai al lontano 1993. Poi nel 2013 approdi al mondo letterario con il libro di racconti dal titolo “Il mio nome è Leponte… Johnny Leponte”. In questi anni hai pubblicato altri tre album e hai scritto per altri autori, ricevendo anche diversi riconoscimenti importanti a livello internazionale. Quindi nel 2020, in piena pandemia, sei tornato sul mercato editoriale. Questa volta con uno spoof thriller/noir dal titolo “MEMORIALE DI UN ANOMALO OMICIDA SERIALE”, edito da 96, Rue de-La-Fontaine Edizioni di Follonica. Chi è Davide oggi rispetto ai tempi del tuo esordio letterario?

In verità non sono cambiato per nulla, sono sempre la stessa persona, anche se forse più disincantata e realista rispetto al passato. Ma in verità questo mutamento si è prospettato piuttosto solo in questi ultimi due anni. La pandemia mi ha portato ad avere una visione del mondo molto meno idilliaca di quanto potevo immaginare fino a poco tempo fa.

Parliamo invece del tuo personaggio: Antonio Scalonesi. Che sentimenti provi verso di lui, la tua ‘creatura di carta’?

Scalonesi è nato quasi per caso in un periodo difficile della mia vita. In un certo senso si potrebbe anche dire che questo personaggio incarna il mio io oscuro che poi, in fondo, rispecchia più o meno l’io oscuro che tutti noi ci portiamo dentro e che a volte può emergere a dipendenza del nostro vissuto. Si tratta di una situazione difficile da gestire, una specie di burn out mentale che può portarci a commettere qualunque cosa.

È però anche vero che da questo al diventare degli assassini il passo è ancora lungo. Oltre a un fondo di oscurità interiore, ci vogliono anche tanta pazzia e molta determinazione, a meno di non trovarsi confrontati con uno “sfortunato” incidente.

Non amo particolarmente Antonio Scalonesi, in realtà quest’uomo non mi piace per niente. Ma resta il fatto che io ne sono il “papà” e come tale devo comunque confrontarmi spesso con lui.

Nel corso dell’opera e delle vicende, Scalonesi subisce un’evoluzione che lo rende migliore o, forse, peggiore?

Antonio Scalonesi è un personaggio crudele e apparentemente amorale, seppure, in parte, sono i diversi eventi che improvvisamente iniziano a succedersi, fino ad accavallarsi sempre più velocemente, che lo portano ad accentuare la sua brutalità. È comunque vero che è lui stesso il primo responsabile del precipitare della situazione nella quale si ritrova coinvolto. Infatti tutto si ribalta quando decide di tentare un’azzardata impresa all’interno del Museo d’Orsay di Parigi. Dopo aver ucciso uno dei custodi, con grande abilità penetra nella Galleria Françoise Cachin e si impossessa del dipinto “La chiesa di Auvers” di Vincent Van Gogh. Questo fatto lo proietta però inaspettatamente all’interno di un complicato intrigo internazionale e da cacciatore improvvisamente si ritrova a diventare preda.
O almeno, questo è quanto lui racconta al Procuratore pubblico Giuseppe Cortesi nel corso del suo lungo interrogatorio…

Un ritmo incalzante che non lascia prendere fiato al lettore caratterizza il tuo libro. Hai fatto ricorso a delle figure retoriche per ottenere questo effetto o lo hai affidato esclusivamente al dipanarsi delle vicende e ai colpi di scena?

Tutto può essere, sai?
Dopo un primo lavoro di stesura di vari capitoli apparentemente slegati fra di loro, ho avuto la fortuna di incontrare Giovanni Martines, già avvocato di Bernardo Provenzano. È stato lui che, con grande intuizione, ha saputo mostrarmi la giusta strada da seguire, stimolandomi a creare un filo logico fra le diverse storie e i personaggi che fino a quel momento avevo realizzato.
Da lì via il racconto si è dipanato quasi da solo e i personaggi hanno cominciato ad interagire fra di loro naturalmente.  In ogni caso,  per riuscire a portare a compimento l’opera è stato basilare l’aiuto di diversi altri specialisti che, appassionatisi alla storia e al personaggio di Scalonesi, hanno voluto collaborare con me, quali l’ex capo della polizia scientifica del Cantone Ticino, uno psichiatra e criminologo, un armaiolo, colleghi giornalisti, altri avvocati, ecc.
Non so se sono riuscito a dare una risposta alla tua domanda o se invece sono stato piuttosto abile ad aggirarla. Dimmelo tu (ride).

Questa tua opera è un thriller che si rifà al genere spoof, un genere che dalle nostre parti non è particolarmente conosciuto.  Di cosa si tratta esattamente?

Uno spoof, per essere tale, deve mescolare accuratamente realtà e finzione fino a trasformare il tutto in una nuova verità. In questo caso si tratta di una vera e propria biografia, che racconta le gesta di uno spietato serial killer attingendo a fatti realmente accaduti e mescolati con altri completamente inventati. Una grande bugia ma talmente reale da apparire vera in tutto e per tutto.

Un esempio che uso spesso quando devo spiegare cosa sia uno spoof è quello del caso dell’autobiografia del misantropo miliardario americano Howard Hughes, realizzata nel 1971 dallo scrittore americano Clifford Irving. Sebbene in realtà questa nacque come un falso con l’intento di truffare la casa editrice per la quale Irving lavorava, è comunque un esempio perfetto di come si realizza uno spoof.

Per promuovere il tuo libro è stato girato anche un book trailer. Ci racconti le varie fasi e un po’ di backstage? In quale modo avete condensato il contenuto del libro in pochi minuti?

Il book trailer lo abbiamo girato sul Passo del Lucomagno, a 1920 metri di altezza, nel mese di febbraio. Ci serviva una tormenta di neve e per questo motivo abbiamo dovuto aspettare il giorno perfetto. Alla fine la tormenta è arrivata e siamo potuti salire su al passo per fare le riprese. La temperatura era di oltre 10 gradi sotto zero, ma il vento era talmente gelido che la temperatura percepita era ben più bassa.
Per le riprese abbiamo usato un drone, quando è stato possibile, e cinque telecamere.
Un plauso va certamente a tutta la squadra della Minds Production, al regista Elia Andrioletti e agli attori, i quali hanno saputo interpretare alla perfezione il mio racconto e a realizzare il video esattamente come lo avevo immaginato, malgrado le condizioni davvero proibitive nelle quali ci siamo ritrovati a lavorare.

In verità il book trailer che abbiamo girato non racconta una scena del libro. È infatti un capitolo extra, che volutamente è stato tralasciato nel romanzo per essere realizzato sotto forma di cortometraggio e che chiude una questione che nel racconto restava aperta. Un piccolo regalo per i lettori che sono voluti entrare nella vita di Antonio Scalonesi e un book trailer unico che vuole essere diverso da ogni altra produzione simile. Cinque minuti di brivido allo stato puro, posso garantirvelo, con la voce narrante del collega scrittore Duilio Parietti.

D.D.D. è il brano che hai scritto con la collaborazione di Alex Cambise, interpretato dal cantautore svizzero-italiano Luca Buletti, pensandolo proprio come la colonna sonora del romanzo. Se, invece, dovessi abbinare una musica storica al memoriale, quale brano sceglieresti?

D.D.D è un brano spiccatamente West Coast, che richiama al calore e alla solitudine del deserto californiano. Nel booktrailer si contrappone prepotentemente all’ambientazione invernale e alpina, creando nello spettatore un evidente senso di disconnessione, contribuendo così ad aumentarne la tensione.
D.D.D. è presente nell’album “Sto cambiando immagine” di Luca Buletti, che uscirà sul mercato discografico fra alcune settimane.
Esiste anche un video ufficiale del brano, che sarà varato in contemporanea con il CD di Buletti.

Per rispondere alla tua domanda, credo che la Sonata Op. 35 di Chopin, conosciuta anche come “Marcia Funebre”, potrebbe calzare a pennello quale sottofondo alla lettura di “Memoriale di un anomalo omicida seriale”.

Infine, una domanda di rito per un artista vulcanico e poliedrico come te… quali progetti in cantiere dobbiamo aspettarci?

Ho appena terminato di scrivere un bel racconto che spero di vedere presto pubblicato. Anche questa volta abbiamo a che fare con uno spoof, ma non si tratta di un thriller. È la storia di un cantante scomparso negli anni Settanta.

Sto anche lavorando a un romanzo di spionaggio/azione ambientato in piena pandemia COVID-19, un lavoro molto impegnativo a causa della grande operazione di ricerca necessaria. Vedremo se qualche casa editrice deciderà di farsi carico di quest’opera molto particolare.

Inoltre a breve dovrebbe uscire anche il mio quinto album discografico, “Radiazioni Sonore Artificiali Non Coerenti”, secondo volume de La Trilogia.

Articolo precedente“Il Lupo”: il nuovo singolo di Misch
Articolo successivoPrimo ciak per Fuori Campo