Esce per Camena Edizioni l’esordio letterario di Davide Catinari, fondatore dei Dorian Gray. E dunque un certo modo rock di vivere e poi di raccontare la vita non deve stupirci dentro le pieghe del suo primo romanzo breve intitolato “White Light”, come fosse un tunnel dentro cui gravitare in totale introspezione. Un musicista, ex tossicomane, viene assunto per tre settimane come sostituto di un farista misteriosamente scomparso. Da questi presupposti si dipana già alla mente quanta allegoria profonda e irruenza personale combattono dentro la storia… c’è da attendersi una battagli sul piano personale. Un protagonista, un uomo, un individuo con troppe parentesi da chiudere ancora…
Partiamo da un equilibrio di Ex-Musicista. La musica alle spalle a tratti sembra una salvezza, a tratti una condanna… la tua chiave di lettura?
Credo che la musica possa rubarti la vita, come ogni cosa generata nell’inconscio e destinata ad essere condivisa con altri, con un pubblico. Per questo motivo può essere una piacevole dannazione o un lavoro variamente retribuito, dipende da come si evolve il rapporto con qualcosa di intimo che appartiene a tutti.
E stessa cosa dicasi della sua condizione di ex-tossicomane. Insomma il vero equilibrio del protagonista dov’è?
La ricerca dell’equilibrio implica il doversi spendere, il doversi cercare. Un’isola rappresenta un approdo sicuro, un limbo dove scomparire, una dualità fragile che rischia di rompersi ogni volta che la memoria di un’altra esistenza si sovrapponga alla realtà, per ridisegnarla sotto altre forme. In questo senso il protagonista vive la tensione di chi deve perdersi per potersi ritrovare, qualcosa di simile al quotidiano di tante persone, oggi più che in passato. La nostra è un’epoca bipolare, di naufraghi digitali tecnodipendenti, perlopiù inconsapevoli. La differenza è che lui, anche se non sembra, potrebbe aver scelto questa condizione, invece che averla semplicemente accettata, o subita.
Lou Reed è ampiamente citato tra le righe di questo libro, tra le righe della critica a corredo… eppure ci vedo molto di Cohen, dovessi scegliere io la sua colonna sonora. La luce si ma c’è sempre un buio a condurre i giochi. Dimmi la tua…
Considerati gli scenari narrativi del racconto non potevo che omaggiarlo utilizzando il titolo di una sua canzone. La luce bianca in fondo al tunnel ha i tratti del cliché, un luogo comune visivo sulla fine di qualcosa, ma qui si tratta di una ragionevole follia che può contenere un paradigma sonoro che va da Alan Vega a Scott Walker , un immaginario abbastanza compatibile con spazi fisici trasfigurati dalla solitudine. Il Chelsea Hotel cantato da Cohen potrebbe essere uno di questi. Ti ringrazio di aver tirato in ballo un artista così importante.
E se dovessi pensare ad un luogo urbano piuttosto che alla solitudine di un faro? Che ambiente ti verrebbe da creare?
Probabilmente un enorme parco cittadino, dopo l’orario di chiusura. Mi ha sempre dato l’idea di una città dentro la città. Vegetazione ingombrante, poco illuminata e magari qualcuno che ci è rimasto dentro. Mi verrebbe da pensare quale possa essere stato il buon motivo per attardarsi e da lì in poi tutte le ipotesi sono valide.
E questa ricerca di connessioni con il passato? Ne ho trovata molta… lancio a te la palla per raccontarmene la ragione…
Per cercare di chiudere il cerchio potrei dirti che la nostra percezione del passato é spesso simile a un click su Wikipedia, ma la verità è che trovo forti analogie tra alcuni periodi storici e il presente. Per certi aspetti la Germania di Weimar o la Cina degli anni ’30 hanno tratti che riportano a quella sensazione d’instabilità a cui ci stiamo abituando , una precarietà che può generare effetti difficilmente immaginabili.
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