Sugli scaffali delle maggiori librerie e su tutti gli stores digitali è disponibile il romanzo d’esordio di Debora Mele, “Regno nero. Dal sorgere dell’alba al calore del tramonto” (Edizioni Albatros). Una storia necessaria e nera ma che invita i lettori e le lettrici alla rinascita: un’ode coraggiosa e poetica di come il nero possa farsi colore. Per Oltre le colonne abbiamo intervistato l’autrice.
Buongiorno Debora, come si sente? Viene subito da chiederglielo perché, non appena si termina di leggere la sua biografia, si vorrebbe subito poter domandare all’autrice come sta, abbracciarla, darle un po’ di quel supporto che le è mancato. Perciò, come sta oggi Debora?
Buongiorno, grazie per averlo chiesto. La Debora di oggi si sente bene, in pace con sé stessa e con il mondo. Ho imparato ad apprezzare ogni giorno, a cogliere le piccole gioie e a trovare forza anche nelle difficoltà. Gli abbracci, per me, sono una fonte inesauribile di energia e affetto; adoro sia darli che riceverli perché racchiudono un potere immenso di conforto e connessione umana.
Sono una Debora molto consapevole, che ha imparato a conoscere e accettare i propri limiti e a valorizzare le proprie qualità. Ho attraversato momenti difficili, ma oggi posso dire di essere una persona più forte e resiliente. La strada è stata lunga e piena di sfide, ma ogni passo mi ha portato a essere la persona che sono oggi, e di questo sono profondamente grata.
Spero che il mio percorso possa essere d’ispirazione per chi, come me, ha vissuto momenti di sofferenza e difficoltà, e possa trovare la forza di andare avanti e di riscoprire la bellezza della vita.
In modo dichiarato, il suo romanzo è presentato come una auto-biografia, la storia di una bambina che è diventata grande oltre il dolore e che ha dovuto trovare da sé la propria strada per la felicità. Che cosa le è rimasto della Debora protagonista delle prime pagine del suo romanzo e che cosa invece ha perso? Ma soprattutto che cosa le è costato di più perdere?
Sicuramente la mia vita mi ha insegnato a combattere per realizzare i miei desideri e raggiungere i miei sogni. La Debora combattiva vive in me come il lievito nel pane, sempre pronta a far crescere nuove idee e progetti. Questa parte di me, resiliente e determinata, è rimasta intatta e continua a guidarmi ogni giorno. Tuttavia, ci sono anche aspetti che ho perso lungo il cammino. La Debora delle prime pagine della mia biografia era una bambina con una visione del mondo già difficile. La spontaneità e la leggerezza che avrei dovuto avere per gli anni che avevo sono state sostituite dalla consapevolezza e dalla maturità.
Ciò che mi è costato di più perdere è stata forse la capacità di vivere pienamente il presente dell’epoca – senza l’ombra delle preoccupazioni del futuro o il peso delle esperienze passate. Sai di aver perso qualcosa quando l’hai vissuta, ma io, in realtà, molte cose non le ho vissute appieno. Non posso dire di averle perse, piuttosto di non conoscerle. Mi rendo conto di queste mancanze quando vedo o leggo storie, ascolto la musica e sento che ci sono parti profonde di me che desiderano venire fuori. È in quei momenti che capisco di non aver vissuto appieno quello che forse mi spettava. Questa consapevolezza porta con sé un certo dolore, ma anche una spinta a recuperare, a vivere intensamente ogni momento presente, a esplorare e a permettere a quelle parti inespresse di trovare finalmente spazio. In fondo, la vita è un continuo viaggio di scoperta, e io sono determinata a non smettere mai di cercare e vivere tutto ciò che posso.
Quando è arrivata l’intuizione per trasformare il suo dolore in testimonianza e racconto? È stato facile scriverne? Con quali difficoltà si è dovuta scontrare? C’è mai stato un momento in cui ha pensato di desistere?
Scrivere la mia storia non è stato affatto facile. Ogni parola, ogni frase, era come riaprire vecchie cicatrici. Sentivo il battito del dolore passato, “l’odore del sangue delle ferite non ancora del tutto rimarginate”, le urla soffocate dentro le orecchie. È stato come fare un viaggio temporale, tornare indietro a quei momenti di sofferenza e riviverli intensamente. Ogni ricordo era vivido e doloroso, ma sapevo che era necessario affrontarli per poter raccontare la mia storia in modo autentico.
Le difficoltà non sono mancate. Ho dovuto fare i conti con le mie paure. Ma non ho mai pensato di desistere. Sono una persona molto decisa nelle mie scelte, e quando decido di fare qualcosa, la porto a termine fino in fondo. Quindi, nonostante le difficoltà, ho continuato a scrivere. Ho visto questo compito come una missione, un modo per dare un senso al mio dolore e per trasformarlo in qualcosa di utile per gli altri. Sapere che il mio racconto poteva offrire speranza e supporto a chi ne aveva bisogno mi ha dato la forza di andare avanti. E alla fine, sono riuscita a completare il mio libro, soddisfatta e orgogliosa di aver trasformato la mia sofferenza in una testimonianza di resilienza e speranza.
Uno dei temi portanti nella sua biografia è sicuramente la violenza domestica. I numeri parlano chiaro: sono sempre di più le donne vittime di queste situazioni, c’è un consiglio che darebbe a chi ancora non è riuscito a salvarsi? C’è qualcosa che, tornando indietro, consiglierebbe a sé stessa?
Io ho incominciato da molto piccola a subire violenza, e probabilmente ciò che mi ha aiutato è stato il mio carattere, forse una sorta di ribellione innata. Non ho mai smesso di credere che quella non sarebbe stata la mia vita per sempre, proprio perché non era ciò che volevo per me stessa. Già a undici anni avevo deciso che sarei andata via da quell’inferno. Guardando indietro, so che non posso cambiare il passato, come nessuno di noi può. Quindi, non mi darei alcun consiglio specifico, ma piuttosto una stretta di mano, una pacca sulla spalla, e mi direi “brava” per aver resistito, per non aver mollato e per aver creduto in me stessa. Mi congratulerei con me stessa per la forza dimostrata e per aver mantenuto la speranza viva nonostante tutto.
Per chi attualmente sta vivendo situazioni simili, il mio consiglio è di essere il proprio primo grande fan. Credete in voi stessi, perché se non lo fate voi per primi, nessuno lo farà al vostro posto. La vita è vostra e appartiene solo a voi. Siete i detentori del vostro destino e avete corso tanto per arrivare fin qui. Non deludetevi, non vivete di rimpianti. Andate avanti e esaudite tutti i vostri sogni, perché non esistono date di scadenza se non quelle che vi imponete nella vostra mente. Siate coraggiosi, cercate aiuto e non abbiate paura di parlare. La violenza domestica è un problema enorme, ma esistono risorse e persone pronte a supportarvi. Non siete soli, e c’è sempre una via d’uscita, per quanto difficile possa sembrare. Ricordate che meritate una vita piena di rispetto, amore e serenità. Non permettete a nessuno di convincervi del contrario. La vostra forza interiore è più grande di quanto possiate immaginare.
Il suo romanzo però non racconta solo di dolore e disperazione ma anche di speranza e fiducia verso il prossimo. Che cosa è stato per lei fondamentale in questo senso?
Il mio romanzo non racconta solo di dolore e disperazione, ma anche di speranza e fiducia verso il prossimo. Per me, è stato fondamentale sapere che il mondo non è interamente negativo, che non tutto è schifo. Questa consapevolezza mi ha dato la forza di guardare oltre le mie circostanze immediate e di credere in un futuro migliore. In momenti particolari, soprattutto durante le estati, ho avuto l’opportunità di conoscere persone di buon cuore, seppur brevemente. I turisti che arrivavano mi mostravano un lato diverso della vita, lontano dalla mia quotidianità fatta di violenza e sofferenza. Questi incontri mi hanno permesso di vedere che il mio mondo, quello che vivevo, era solo una parentesi di quella che sarebbe stata la mia vita reale.
Ho capito che il mondo è fatto di tanti personaggi diversi, e non esistono solo i cattivi. Ho incontrato persone di animo gentile e buono, più vicine alla Debora piccola, quella che dentro di sé custodiva speranza e desiderio di amore. Queste esperienze mi hanno insegnato che, se avessi continuato a credere nella bontà delle persone, avrei potuto costruire una vita diversa, circondata da individui che mi avrebbero rispettato e amato.Mi sono focalizzata sul fatto che avrei potuto incontrare belle persone e che con esse la mia vita sarebbe stata diversa. Ne ero certa. Questa convinzione mi ha dato la forza di non chiudermi in me stessa e di rimanere aperta alle possibilità che il futuro poteva offrire. Ogni incontro positivo è stato come un raggio di luce che illuminava la mia strada, guidandomi fuori dall’oscurità. Questa speranza e fiducia nel prossimo sono state fondamentali per la mia guarigione e crescita personale. Mi hanno permesso di non perdere la speranza e di continuare a lottare per una vita migliore. Credo fermamente che, nonostante le difficoltà, esistano sempre persone disposte a tendere una mano e che, con il loro aiuto, possiamo trovare la forza di risollevarci e costruire un futuro più luminoso.
Nel suo libro, per esempio, viene citato l’incontro con Vita – quella che lei definisce la sua seconda madre. Che cos’è per lei una famiglia e che cosa vuol dire costruirne una? Quali valori le vengono in mente che proprio non potrebbero mancare?
Vita è mia cugina biologicamente, ma per me è una madre di anima e di cuore. Ha rappresentato e rappresenta un punto fermo nella mia vita, un esempio di amore totale, dedizione e rispetto reciproco. La nostra relazione si basa su una comunicazione sana e aperta, su una condivisione autentica di momenti e sentimenti. Per me, poter esprimersi liberamente senza la paura di un giudizio folle è fondamentale, e Vita mi ha sempre accettato per quella che sono realmente.
Per me, una famiglia è sinonimo di libertà: la libertà di amare ed essere amati senza condizioni. È un luogo dove si cresce insieme, affrontando le difficoltà e celebrando le gioie come un’unica unità. Costruire una famiglia significa essere presenti l’uno per l’altro, anche nelle discussioni costruttive, perché ogni confronto può diventare un’opportunità di crescita e comprensione reciproca. Una famiglia è un rifugio sicuro dove ciascuno può sentirsi libero di essere sé stesso, di crescere e di amare senza riserve. È un insieme di persone legate non solo da vincoli di sangue, ma soprattutto da legami di cuore e di anima. E questo è esattamente ciò che ho trovato in Vita, la mia seconda madre, la mia guida e il mio sostegno.
C’è un passaggio in particolare, quando la protagonista comincia a frequentare l’università in età matura, circondata solo da giovani pieni d’ansia, che fa riflettere. Spesso ci troviamo a fare i conti con un mondo che ci considera troppo vecchi, vuole raccontarci qual è la sua percezione? Come ha reagito se e quando si è trovata lei stessa nella posizione di essere considerata troppo avanti con gli anni? Come si potrebbe combattere un sistema in cui l’età non è solo un numero ma significa possibilità, opportunità, tempo prezioso?
La società impone e permea l’idea che i giovani debbano ottenere un titolo di studio, ritenuto fondamentale per il mondo del lavoro. Questo concetto viene inculcato sin dalla giovane età, generando aspettative incredibili da parte delle famiglie, della società e delle istituzioni educative. I giovani sentono di dover soddisfare queste aspettative, e il timore di deludere tutti crea una forte ansia. Tuttavia, nelle scuole e nelle famiglie non si insegna sufficientemente come gestire questa pressione, portando a un malessere diffuso.
Così, ci ritroviamo con ragazzi di 19 anni inseriti in una società di adulti senza avere una chiara idea di chi sono veramente e di cosa vorrebbero fare. Ho visto spesso scene di attacchi di panico nei corridoi universitari, o giovani che si sono sentiti falliti se non ottenevano il massimo voto agli esami. Questa ansia è amplificata dal fatto che molti giovani non hanno ancora una solida base su cui costruire le proprie identità e aspirazioni, poiché sono stati spinti verso obiettivi che riflettono i desideri degli altri piuttosto che i propri.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, mi sono laureata in Coordinamento e Progettazione dei Servizi Educativi a dicembre 2023. Da gennaio 2024 a giugno 2024 ho sostenuto molti colloqui di lavoro, e mi sono trovata spesso a dover affrontare pregiudizi legati all’età. Mi è stato detto che ero troppo esperta (anche se non specificavano in cosa), oppure che dalla foto dimostravo meno anni di quelli che avevo realmente, creando problemi dal punto di vista contrattuale. Inoltre, mi sono sentita dire che il mio curriculum era troppo ibrido. In alcuni casi, dopo tre colloqui positivi, mi è stato confermato un appuntamento per la firma del contratto, solo per scoprire che le ore settimanali erano 12 in meno di quanto pattuito. Come reagisco? Io non mollo. So quanto valgo, chi sono e la fatica che ho fatto per arrivare fin qui. Non saranno queste persone a minare la mia autostima. Continuo per la mia strada, determinata a trovare ciò che è giusto per me. Non demordo, perché sono consapevole del mio valore e di ciò che posso offrire.
Per combattere un sistema in cui l’età non è solo un numero ma significa possibilità, opportunità e tempo prezioso, credo che sia essenziale promuovere una cultura dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità. Dobbiamo sfidare i pregiudizi e le discriminazioni tutte, riconoscendo che ogni fase della vita porta con sé esperienze uniche e preziose. Incoraggiare la formazione continua e l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita è un altro passo importante. Le competenze e le conoscenze non hanno scadenza, e tutti dovrebbero avere l’opportunità di crescere e svilupparsi indipendentemente dall’età. Infine, è fondamentale creare un ambiente di lavoro flessibile e inclusivo, dove le persone di tutte le età possano collaborare e contribuire con le proprie esperienze. Solo così possiamo costruire una società che valorizzi realmente il potenziale di ogni individuo, senza limitazioni legate all’età.
Rispetto alla domanda precedente, Debora, viene da chiederle che cosa rappresenta per lei il tempo. Insomma: ciò che appare chiaramente è che per Debora nessun tempo è sprecato, anche il dolore diventa dono e la perdita conquista. Esiste il “tempo sprecato”? E se sì, qual è secondo lei, il modo peggiore in cui si possa sfruttarlo?
Il tempo non esiste, ed è la prima cosa che mi viene in mente ogni volta che ci penso. Per me, il tempo è una risorsa fluida, che può essere sfruttata in tantissimi modi differenti. È un’opportunità per conoscere meglio se stessi e il mondo che ci circonda. Mi chiedo spesso: ognuno di noi è davvero sicuro di conoscersi profondamente? Per me, il tempo ha avuto un ruolo fondamentale nel mio percorso di vita. Mi ha aiutato a diventare forte, mi ha forgiata. Ho imparato ad amarmi, ad apprezzare la solitudine, un’abilità che ho sviluppato sin da quando ero bambina. Ricordo le notti sotto il cielo stellato, io che passeggiavo dentro le mura del cortile. Sembrava sempre tutto fermo, immutabile, ma sapevo che un altro giorno sarebbe arrivato e che avrei dovuto resistere. Questo tempo di attesa e riflessione mi ha insegnato la pazienza e la resilienza.
Quando mi sono iscritta all’università, ho usato il tempo per imparare un metodo di studio efficace, grazie anche al supporto di una meravigliosa compagna di corso che porto nel cuore. Questo mi ha permesso di progredire rapidamente e con determinazione. Il tempo che ho dedicato allo studio è stato ben speso, un investimento nel mio futuro. Il modo peggiore in cui si possa sfruttare il tempo è non sfruttarlo affatto, rimandando continuamente le cose. Pensare “c’è sempre domani” è un atteggiamento pericoloso, perché ci porta a procrastinare ciò che potremmo fare oggi. Questo equivale, metaforicamente parlando, ad aprire il pattume e buttarcelo dentro. Viviamo con la consapevolezza di avere solo l’oggi, ma non sappiamo se ci sarà un domani. Gestire il tempo in modo efficace oggi è fondamentale per la realizzazione dei propri sogni e desideri. Ogni momento è prezioso e unico, e usarlo con saggezza può fare la differenza tra una vita vissuta pienamente e una vita piena di rimpianti. Il tempo è una risorsa limitata, e sprecarlo significa perdere opportunità di crescita, di amore, di avventura.
In definitiva, per me, ogni istante è un dono, anche quelli di dolore e difficoltà. Ho imparato a vedere il valore anche nei momenti più bui, perché ogni esperienza mi ha insegnato qualcosa e mi ha resa la persona che sono oggi. Non esiste davvero il “tempo sprecato” se siamo in grado di trarre insegnamento da ogni esperienza e di usare il nostro tempo per costruire una vita che valga la pena di essere vissuta.
Nell’ultima parte del suo libro, menzione speciale merita il percorso di Coaching che l’ha portata a una maggiore consapevolezza e presa di coscienza. Che cosa le ha insegnato la pratica? Perché è stata fondamentale per lei?
La pratica del Coaching mi ha aiutato a migliorarmi come persona, trasformandomi gradualmente in una versione migliore di me stessa. Quando ho iniziato questo percorso, ero piena di rabbia. Questa rabbia non solo peggiorava il mio stato d’animo, ma impediva anche la mia crescita personale e la mia capacità di relazionarmi con gli altri in modo sano e costruttivo.
La scuola di Coaching mi ha fornito gli strumenti necessari per farmi le domande giuste, quelle che mi hanno permesso di trovare le chiavi per andare oltre i miei blocchi emotivi e psicologici. Questo processo è stato fondamentale perché mi ha insegnato a vedere e analizzare parti del mio vissuto con occhi diversi. Non significa che i ricordi siano diventati meno dolorosi, ma sicuramente sono riuscita a comprenderli meglio, a integrarli nella mia storia personale in modo più costruttivo. Uno degli insegnamenti più preziosi del Coaching è stato imparare a gestire le emozioni negative, come la rabbia, trasformandole in energia positiva. Ho capito che la rabbia, se non controllata, può diventare un ostacolo insormontabile. Attraverso il Coaching, ho imparato tecniche di gestione delle emozioni che mi hanno aiutato a canalizzare questa energia in modo produttivo, migliorando il mio benessere generale.
In sintesi, il Coaching è stato fondamentale per me perché mi ha permesso di trasformare la mia vita. Mi ha aiutato a superare i miei limiti, a gestire le emozioni negative e a crescere come persona. Grazie a questo percorso, ho raggiunto una maggiore consapevolezza e una profonda comprensione di me stessa, che continuo a coltivare ogni giorno.
Il suo romanzo non è soltanto caratterizzato da una storia fortissima, quanto anche da uno stile che sfonda la pagina. Vorrei chiederle allora se ha già pensato di scrivere altro. Se sì, di che cosa le piacerebbe raccontare? Racconterebbe ancora di sé o si presterebbe alla finzione narrativa?
Finzione narrativa? No grazie. Non mi piace questa parola. Scrivere per me è un atto di verità, un modo per esplorare e condividere esperienze autentiche. Adoro scrivere, anche se non so ancora se scriverò un altro libro. Se dovessi decidere di intraprendere un nuovo progetto di scrittura, probabilmente mi concentrerei su quella che è la mia vita attuale, una realtà che non ha nulla a che vedere con il mio passato doloroso. La mia vita oggi è piena di nuove esperienze, sfide e traguardi. Raccontare la mia quotidianità, le persone che incontro, i progetti che porto avanti, sarebbe un modo per mostrare come il passato, seppur doloroso, non definisca necessariamente il nostro presente o il nostro futuro. È una testimonianza di rinascita e di crescita continua.
Inoltre, mi piacerebbe molto raccogliere e raccontare storie di donne che ce l’hanno fatta con le loro forze. Donne che, nonostante le difficoltà, sono riuscite a superare ostacoli incredibili e a costruire vite piene di significato e successo. Una raccolta di storie vere e potenti, che possano ispirare e dare forza a chi le legge. Credo fermamente nel potere delle storie vere, quelle che risuonano con l’esperienza umana e che possono offrire conforto, speranza e motivazione. Raccontare queste storie sarebbe un modo per ricordare a chi se lo dimentica, o a chi non lo sa, che possiamo farcela. Non è solo uno slogan, ma una realtà tangibile. Le storie di resilienza e di successo possono essere un faro di speranza per chi si trova ancora in mezzo alla tempesta, dimostrando che la forza interiore e la determinazione possono davvero cambiare il corso della vita.
In ogni caso, qualunque sia il mio prossimo progetto di scrittura, sarà sempre guidato dalla verità e dalla passione. Scrivere è per me un atto di connessione profonda con me stessa e con gli altri, un modo per condividere non solo le mie esperienze, ma anche quelle delle persone straordinarie che incontro lungo il cammino.
Un altro tema importante in “Regno Nero” sono i vantaggi del viaggiare. Che cosa significa per lei viaggiare e quali possibilità riconosce a questa pratica?
Viaggiare è una pratica che ci arricchisce sotto molti punti di vista. Ci offre conoscenza, gioia, pace interiore e crescita personale. È un modo per vivere pienamente, per abbracciare la diversità e per scoprire la bellezza del mondo.
A chi è destinato il suo libro? Chi vorrebbe che lo leggesse e perché?
Vorrei che il mio libro potesse essere letto da tutti, indistintamente. Credo che la mia storia abbia qualcosa da offrire a un pubblico molto ampio, e vorrei che raggiungesse persone diverse per motivi diversi. Vorrei che i padri violenti lo leggessero, quelli che credono di essere nel giusto. Potrebbe aiutarli a vedere l’impatto devastante delle loro azioni sui propri figli, a comprendere il dolore e le cicatrici che lasciano. Spero che possano riflettere sul loro comportamento e trovare la forza di cambiare. Vorrei che lo leggessero i figli che subiscono abusi. Voglio che sappiano che non sono soli, che c’è speranza e una via d’uscita. Vorrei che trovassero nelle mie parole un conforto e una motivazione a lottare per una vita migliore. Vorrei che le donne maltrattate lo leggessero, quelle che, per vari motivi, hanno scelto un compagno che è una fotocopia del loro padre violento. Spero che possano riconoscere i pattern distruttivi e trovare la forza di spezzarli, di cercare una vita piena di rispetto e amore. Vorrei che lo leggessero anche quelle persone che si circondano di individui negativi, che magari non si rendono conto di quanto queste relazioni siano tossiche. Il mio libro potrebbe aiutarle a vedere la realtà delle loro situazioni e a prendere decisioni più salutari per il loro benessere. Vorrei che le famiglie lo leggessero insieme, per condividere la mia storia e parlare delle loro esperienze. Potrebbe essere un’occasione per capire se ci sono cose che possono migliorare nella loro dinamica familiare, per crescere insieme in un ambiente più sano e amorevole.
Desidero che i gruppi di supporto lo leggessero, affinché possano raccontare anche un finale positivo. La mia storia può essere una testimonianza di resilienza e speranza, qualcosa che possa ispirare e motivare chi è nel bel mezzo delle difficoltà. Mi piacerebbe che il mio libro fosse letto nelle scuole, per diventare argomento di discussione su temi importanti come la violenza di genere, la religione, il silenzio assenso. Potrebbe aiutare i giovani a sviluppare una maggiore consapevolezza e a discutere di questioni cruciali in modo aperto e costruttivo.
Concludo con un’ultima domanda: se dovesse scegliere tre aggettivi con cui definire il suo romanzo, quali sarebbero? Vuole suggerirceli?
Resiliente – Il romanzo racconta una storia di resistenza e forza interiore, di come la protagonista affronta e supera immense difficoltà, dimostrando una straordinaria capacità di riprendersi e crescere nonostante le avversità.
Ispiratore – La storia non solo narra il dolore e la sofferenza, ma anche la speranza e la possibilità di un futuro migliore. Vuole ispirare i lettori a credere in sé stessi, a trovare la forza interiore per affrontare le loro sfide e a non arrendersi mai.
Autentico – Il romanzo è una testimonianza sincera e veritiera delle esperienze vissute, scritto con onestà e trasparenza. Racconta la realtà senza filtri, mostrando le emozioni e le difficoltà in modo genuino.