Si arriva in Sicilia con il docufilm targato Aletti, per conoscere meglio l’autrice Rosamaria Manca, sotto un cielo azzurro e un sottofondo musicale, lungo un viaggio a tu per tu con la poetessa. Una bella giornata di sole illumina la giovane Rosamaria, infermiera, nata il 27 maggio 1998, a Palermo. Una passione per la scrittura sbocciata da bambina, a soli dieci anni, quando ha iniziato a comporre testi, prima rimasti chiusi in un cassetto e, poi, palesati nel loro significato più ampio. Delle parole che hanno sempre avuto un’anima ma non una voce. Forse per timidezza o, forse, per gelosia, quando quelle emozioni sarebbero dovute uscire dalla parte più intima per essere condivise. Ma poi, la voglia di tirar tutto fuori, spinta anche dalle persone che le stavano accanto, per consentire che i suoi versi restassero, nel tempo, a disposizione di più persone possibili. Ecco perché la scelta di aderire all’iniziativa del docufilm. «La scrittura mi ha sempre cercata e io ho sempre fatto in modo che lei mi trovasse».
Le note si addolciscono quando scorrono le fotografie di famiglia. Rosamaria bambina, al mare, sulla neve, con i suoi giochi, con le mani strette alle persone più care. E, poi, Rosamaria cresciuta, che cammina tra le bellezze di Palermo, che si guarda intorno ancora meravigliata da tanta armonia, che percorre le viuzze tra la sua gente, e accarezza un cavallo che traina il tipico carretto siciliano. «Le parole che compongono i miei testi poetici le ho definite figlie della verità e amiche dell’immortalità perché fanno parte di quello che costituisce il mio essere e possono essere condivise dai lettori». Parole impresse in un foglio che prendono vita per sempre.
La maestosità dei monumenti fa da sfondo alla vita artistica di Rosamaria, quasi a diventare un cerchio imponente e grazioso, che punta verso l’alto, verso l’infinito. E dinanzi alla Cattedrale di Palermo, l’autrice sceglie di leggere uno dei suoi primi testi poetici che tratta la tematica del tempo. “Sto correndo per poterne assaggiare una minima parte. Ma è come se questo fugga più veloce. Potrò mai vivere nel tempo, navigarci al suo interno, senza che questo mi uccida?”. Domande sul senso profondo della vita che l’autrice si pone mettendole nero su bianco. Come quelle sulla guerra. “E’ lei che può davvero mettere a tacere l’alterigia di uomini che non conoscono parole ma piuttosto l’artiglieria?”. Il docufilm [guarda] è cadenzato da diverse musiche e immagini che si susseguono quasi ad accompagnare lo spettatore in un viaggio interiore con l’autrice. Si arriva, così, dinanzi al Teatro Politeama, simbolo di arte, spettacolo, scena, scelto da Rosamaria per introdurre il secondo testo poetico.
Un testo che si interroga sull’autenticità dell’individuo e sulla sua vera essenza. Il titolo è “Codardi come Gazanie”, i grandi fiori dai colori vivaci. “Nasce un raggio di sole destinato a dar vita alla gazania, che è timida, la notte si nasconde. E noi quante volte ci siamo nascosti reprimendo la nostra brutale natura? Siamo nati per far cose grandi, ma di grande vedo solo l’odio”. La scrittura diventa catartica per Rosamaria, perché, attraverso le parole, è riuscita a tirar fuori ciò che la opprimeva. La voce si spezza dalla commozione, quando, pensando alla sorella Dalila, legge questi versi. “Ho dimenticato spesso cosa si provasse a volare da quando tu iniziasti a farlo. Non esistono adii, né allontanamenti e tempeste che non possono godere della tua quiete. Spero che quando tutto cesserà di esistere potremo ricongiungerci come fiori dello stesso giardino”. L’insicurezza, il valore dell’amicizia, la capacità di farsi carico del dolore, della paura degli altri sono temi ricorrenti nei versi della poetessa, alle cui parole corrispondono le immagini che scorrono nel docufilm. Paure che Rosamaria ha esteriorizzato nelle sue liriche: “Lottando cerco di liberarmi dal dolore che indossa il mio corpo”, ma sempre con il desiderio, la prepotenza e la volontà di dichiararsi liberi.
Federica Grisolia