Lo scrittore e criminologo Domenico Romeo ha conquistato il pubblico con il suo nuovo lavoro editoriale dal titolo “Romanzo Libanese” edito Castelvecchi editore ed è approdato al “Termini Book Festival 2023” che si è tenuto dal 15 al 17 settembre nella splendida cornice della Terrazza al Belvedere nel Cortile Maltese di Termini Imerese a Palermo. Ecco cosa ci ha raccontato.
Com’è nata l’idea e l’esigenza di raccontare una storia che avesse come protagonista una ragazza libanese?
Il concetto di donna guerrigliera, rivoluzionaria, è un concetto che spesso passa in secondo piano, ma in realtà è un’idea e un fenomeno molto diffuso era giusto porlo in risalto. In diverse zone del mondo esistono delle unità militari formate unicamente da donne, o falangi paramilitari strutturate da donne pronte alla battaglia ed anche al martirio. Una sorta di Fedayn al femminile, ma in questo caso la protagonista è una falangista cristiana libanese a tenere in piedi una narrazione che, fra senso di colpa ed aspirazione alla rivoluzione, matura un personale desiderio di esportazione della guerriglia. Un concetto che l’accompagnerà per tutto il suo percorso di formazione, da ragazza a donna matura, misurandosi e confrontandosi con altre donne (ebree, palestinesi, europee). L’opera è incentrata sulla figura di molte donne che, seppur diverse fra loro, rivendicano princìpi ideologici molto chiari e definiti.
Com’è nata e da quando l’amore e la passione per il Medio Oriente?
La passione per il Medio Oriente mi ha sempre accompagnato nel corso della vita. Sono riuscito ad andare più volte in territori anche difficili analizzando da vicino un mondo completamente diverso da quello che trapela dai media. I sistemi di comunicazione di massa hanno un enorme potere di filtraggio dell’informazione e il più delle volte ciò che conosciamo noi di alcuni territori, sono verità molto parziali o “indirizzate” dalla politica o dall’ideologia di turno. Per capire le cose come stanno in ambiti molto intricati, contradditori e controversi come il Medio Oriente, bisogna recarsi e calarsi in quei contesti, o ricevere, quanto meno, informazioni certe da fonti attendibilissimi, al di sopra di ogni ragionevole dubbio. E la cosa, mi creda, non è facile.
Pur essendo un criminologo ha la passione per la scrittura. Com’è nata l’esigenza di scrivere e qual è la prima cosa che ha scritto in vita sua?
La passione per la scrittura l’ho sempre avuta sin da piccolo. Già all’età di cinque-sei anni, avendo imparato a leggere e scrivere molto presto, guardavo le partite di calcio con mio padre, prendevo carta e penna e scrivevo a modo mio il resoconto della partita di calcio che avevo guardato o allo stadio o in tv. Ricordo che anche sin dalle scuole elementari ero caratterizzato da un’attitudine naturale alla scrittura e questo aspetto si è implementato in tutta la carriera di studente al punto da fare i temi per i miei amici in classe durante i compiti, oltre al mio. Il problema si concretizzò quando gli insegnanti lo vennero a scoprire e in tutta risposta decisero di punire questa “furbata”, mettendo però a me il voto più basso rispetto agli altri. Fino a un po’ di tempo fa con qualche vecchio compagno ricordavamo queste vicende ridendoci su davanti a una birra, ma rifarei cento volte la stessa cosa e non mi pento assolutamente di niente. Una passione per la scrittura e per la ricerca che è andata poi avanti negli anni portandomi a scrivere dapprima per testate di approfondimento, poi testate scientifiche, testate giornalistiche (pur non avendo mai preso la tessera da giornalista). Ad oggi ho scritto, fino al momento, sei libri (due romanzi e quattro saggi). Entrando poi nel mondo dell’editoria ho scoperto una dimensione a se stante, una realtà a parte, determinate dinamiche le ho scoperte con il tempo, sulla mia pelle, naturalmente non comprensibili al tempo quando ero ancora neofita. L’esigenza di scrivere, pertanto, nasce dall’indole.
La protagonista Suhair è innamorata della sua migliore amica Johara. Perché ha deciso di inserire un amore omosessuale nel suo romanzo?
Perché il romanzo, pur ambientando vicende storiche realmente accadute che dal Libano si dipanano in Medio Oriente fino all’Europa, è incentrato su figure opposte e contrastanti. E’ il gioco degli opposti e delle contraddizioni che ho inteso curare in maniera certosina ed è il pilastro che tiene in piedi l’intera narrazione. Si realizza, pertanto, che la figura della guerrigliera cristiana omosessuale falangista (dunque insolita nella letteratura di concerto), si plasma alla figura della donna eterosessuale cristiana non guerrigliera che vive il dramma di un fucile puntato da piccola da un soldato e, crescendo, di un aborto clandestino. Si realizza così che le aspirazioni del mondo Sciita si contrappongono a quello Islamico, Salafita, Cristiano, in un Libano marcato da divisioni etniche. Si realizza ancora la contrapposizione in alcune zone franche o marginali di confine del Libano, fra le varie Agenzie di intelligence: Siriane, Palestinesi e Sioniste, che si riconoscono “a naso” e si studiano senza attaccarsi, convivendo e tollerandosi mal volentieri. Ed ancora. Si realizza la contrapposizione in talune zone geografiche del Libano, dei trafficanti di droga Hezbollah che tengono sotto scacco una parte di umanità sfruttata e di chi reagisce ad un’usurpazione punendo una parte del proprio corpo. E come detto prima, la contrapposizione fra le aspirazioni Sioniste e quelle Palestinese, attraverso la voce di donne cresciute come rifugiate che realizzano, a loro volta, un interrogativo inquietante: che differenza c’e’ fra un occupante e un rifugiato? Quindi, la figura di Suahir quale donna omosessuale guerrigliera, non è totalizzante all’interno dell’opera, ma va a incastrarsi all’interno di tante altre figure finalizzate a riempire un mosaico creato per esigenze di carattere narrativo.
In alcuni posti del mondo essere omosessuale è un reato e può costare anche la vita. Che posizione ha al riguardo? Come si potrebbero scongiurare tali tristi avvenimenti?
Questa è una domanda che, ovviamente, si discosta dalla narrazione del libro perché il romanzo, come detto sopra, esula da questa tematica. Quindi, andando sul personale, rispondo che in via oggettiva non tutte le culture hanno concettualmente la stessa visione della società, lo stesso Stato di Diritto, la stessa Costituzione, la medesima definizione di rispetto per il prossimo ed i valori di riferimento cambiano. E’ un discorso molto ampio e complesso, affonda nella geopolitica e non mi dilungo ulteriormente per non allontanarmi dal contesto letterario dell’intervista.
Suhair odia “i potenti del mondo”, ad oggi chi è a capo di tutto secondo lei tiene conto delle esigenze del popolo? Qual è il mondo ideale per lei? Cosa si auspica per il futuro?
Suahir porta con sé quella parte di umanità che sente di somatizzare ingiustizie, usurpazione e crede di metabolizzare la risposta attraverso l’adesione alla guerriglia. Ma anche qui gioca un aspetto strettamente personale che ha modificato il proprio percorso di crescita, ed è un eccidio dalla portata storica che si è verificato in Libano agli inizi degli anni ottanta: la strage di Sabra e Chatila, una pulizia etnica terrificante che però nel corso della storia è passata in sordina nei libri di storia, come sottaciuta, chissà perché. La costruzione della sua personalità, di concerto con altre personalità che la circondavano, nasce da quel giorno e dai postumi che ha lasciato quell’eccidio nel Libano e nel Medio Oriente.
Il suo romanzo ha un titolo inequivocabile. Aveva altri titoli in mente, e perché la scelta è ricaduta proprio su quest’ultimo?
Il romanzo, anche se incredibilmente attualissimo, è stato scritto nel 2009 e sarebbe dovuto uscire con una casa editrice calabrese alla quale consegnai il lavoro, qualche anno dopo. Complice alcuni disguidi sull’editing del testo con persone con una discutibile professionalità e moralità (al di fuori della casa editrice), complice il mio impegno con altri lavori editoriali in uscita, complice la successiva poca chiarezza della prefata casa editrice, il libro non ha visto luce fino al 2021. Nel 2021, reduce da questa esperienza, propongo il lavoro alla Castelvecchi editore che, dopo mesi, risponde di essere interessata. Era la fine di un percorso tortuoso, l’ho inteso come un segno del destino non avere pubblicato con l’editore a cui mi ero rivolto precedentemente e l’ho visto anche un segno di aiuto da parte di mio padre, dal cielo. Sul titolo non ho mai avuto dubbi in relazione a tutta la storia che nasce e si sviluppa in Libano.
“Romanzo libanese” racconta di eventi realmente accaduti, come il G8. Da dove viene la decisione di inserire fatti realmente accaduti e perché?
Il G8 di Genova è stato un’occasione di raggruppamento di diverse forze ideologiche “non conformi” a quell’apparato globalista rifiutato da Suahir. La giovane andrà al G8 ma subirà la furia di quei giorni per poi fare ritorno dapprima in Francia, poi in Libano nuovamente. Fa da corollario tutto il mondo insurrezionalista, c’è un’umanità variegata che accompagna Suahir e che, con una chiave di lettura odierna, fa riflettere sui sogni, sulle rivendicazioni e sulle strategie di lotta contro il potere dominante, ieri e oggi.
Quali sono i suoi prossimi progetti letterari?
Ho altri lavori depositati “in chiavetta”, ma per adesso preferisco concentrami su questo lavoro che merita tempo e attenzione. Per il futuro, a Dio piacendo, bisognerà dare tempo al tempo.