La citazione ci stava tutta anche perché in fondo c’è tanto di quel modo ormai “antico” di pensare al suono pop d’autore, alla canzone che diviene più un vettore di storie… quel famoso storylettelling che dobbiamo agli americani prende declinazioni altre. Edoardo Cerea lo sa bene e devo dire che in questo nuovo disco dal titolo “La lunga strada” ha messo al forno canzoni semplici ma efficaci, dirette ma con risvolti per niente banali. Si sente quello che gli americani (santi loro) definirebbero il gusto roots della storia.
Sembra quasi che tu sia tornato indietro nel tempo… come se il tuo suono avesse bisogno, oggi, di meno soluzioni sofisticate… o sbaglio?
È stato un lungo percorso. I miei primi due album avevano dei testi molto più ermetici che però si “sposavano” bene con la musica che scrivevo in quel periodo. Oggi , cerco un taglio e un linguaggio il più possibile diretto e “universale”. Non c’è un particolare motivo, anche l’impianto armonico/melodico si è semplificato e automaticamente le parole seguono di pari passo.
Altro elemento di diversità che mi viene da pescare è la leggerezza. È come se ti sia messo più luce addosso e meno introspezione… cosa ne pensi?
Diciamo che stavolta avevo ben a fuoco dentro di me le tematiche di cui volevo parlare e conseguentemente la direzione sonora da intraprendere, tant’è che parlo spesso di “riflessioni definitive”. La leggerezza è una delle condizioni umane che amo di più, difficile da inseguire e spesso confusa con la superficialità. “La profondità della leggerezza “è una frase che uso spesso per dare risalto e importanza alla parola, ma non credo che questo album sia particolarmente leggero, semplice e diretto invece si.
Alla fine di questa lunga strada, almeno per questo primo tratto… trovi un Edoardo Cerea che ti piace o che stai ancora capendo?
La lunga strada non è altro che il tempo vissuto dal sottoscritto su questa terra fino ad oggi. Ho avuto la fortuna, nel bene e nel male , di vivere una vita piuttosto intensa e variegata, quindi a dire il vero il titolo più azzeccato sarebbe stato“l’intensa strada” , ma suonava davvero male, suono e sostanza sono entrambi importanti. A 53 anni, quindi più o meno in quello che potrebbe essere il mezzo del cammin di nostra vita dei nostri tempi, ho avvertito l’esigenza di creare uno spartiacque che mi aiutasse ad archiviare,metabolizzare, e conservare una serie di cose dalle quali, poi, ripartire anche cercando nuovi stimoli. Un po’ come se volessi dirvi: “ Ecco, per tutto ciò che mi riguarda e che per me è importante, per ora questo è quanto”. Non mi dispiace quel che sono oggi, ovviamente il quadro in campo artistico è sempre incompleto, ma questo alimenta la creatività futura, quindi…bene così.
E che bella la copertina: ecco che si celebra il ritorno al passato…
Sono io sul tavolo di mia zia all’età di circa 4 anni. L’ho scelta in quanto mi è sembrata molto rappresentativa del fatto che molte delle cose che accadono in futuro, a volte sono già scritte. In questa foto con una chitarra giocattolo, assumo involontariamente una posa da “Rocker” senza saper minimamente cosa volesse dire.
In chiusura penso a “Le cose cambiano”: ma che oltre alla maturità, questo disco sia l’approdo verso un pensiero, come dire, buddista?
Non sono particolarmente religioso, diciamo che creare è anche un po’ come fare una sorta di autoanalisi (per quel che può servire): per il resto, ben vengano gli psicologi.