“Tales from Oumuamua” è il nuovo disco firmato dalla storica band Entropia, nata nel 1996 e dedicata da allora allo sperimentalismo, soprattutto in campo di ambient music. Li abbiamo intervistati.
Raccontate di questo nuovo disco come, in qualche modo, di un ritorno alle origini: ci spiegate meglio in che senso?
“Tales from Oumuamua” è un disco in cui torniamo ad un approccio più elettronico dopo una serie di collaborazioni molto trasversali che ci avevano indotto a varie contaminazioni.
Quindi l’idea centrale di Entropia è quella di esplorare il rapporto “uomo-tecnologia”.
Le nostre collaborazioni, gli allargamenti del line-up e certi progetti “tematici” che abbiamo realizzato in passato ci hanno permesso di relazionare l’uomo-macchina con un rapporto più tradizionale con gli strumenti per aprire una dialettica stilistica fra i due approcci.
Ma in questo caso siamo tornati completamente con la mente nella tecnologia e nella possibilità di determinare la musica a partire dal timbro.
La vostra band ha avuto varie fasi nel corso della sua lunga storia. Pensate di aver raggiunto una forma definitiva o almeno molto duratura?
Siamo in rapporto dialettico con la realtà circostante e ci interessa sperimentare anche diverse interazioni, quindi le forme della band possono divenire mutevoli. Abbiamo anche una serie di side-projects con altri artisti.
Diciamo che ormai si è chiarita la dinamica con la quale il team di Entropia prende forma, sono aggregazioni che avvengono attorno ai due fondatori e che si articolano a seconda di quale sperimentazione si intenda intraprendere.
Nel corso della vostra carriera avete collaborato con tantissimi artisti. Chi vi ha colpito di più?
Ogni artista ha una sua personalità, un suo modo di lavorare e di interagire. Spesso ci siamo trovati di fronte a personalità complesse e anche molto carismatiche. Sicuramente ci è rimasta impressa la collaborazione con il grande attore e poeta Remo Remotti e i Recycle, sia come band di accompagnamento dal vivo che come coautori delle musiche di una poesia di Remotti, “Silvana”. Poi sicuramente con Gerald Bruneau, il grande fotografo che ha fatto parte della Factory di Andy Warhol, che ci ha dato la possibilità di confrontarci con alcuni aspetti visivi della psichedelia.
Nel disco ci sono riferimenti continui all’astronomia e alla fantascienza. Che cosa vi colpisce di più nei viaggi spaziali?
I viaggi spaziali aprono i confini verso infinite possibilità che la fantascienza ha tentato fin dalla fine dell’800 di immaginare. Ma sia la fantascienza che i viaggi spaziali fanno leva su un futuro reso possibile dalla tecnologia e noi suoniamo interagendo con la tecnologia.
La musica elettronica è quindi intimamente legata all’idea di futuro e di modernità e si è sempre legata molto bene alle immagini astronautiche e spaziali.
Chi vi piace tra chi fa ambient in Italia?
Abbiamo una certa difficoltà a distinguere chi sia italiano e chi no nel nostro panorama sonoro dato che si tende a disaccoppiare la persona fisica dal progetto, si demanda tutto a un’iconografia astratta o a moniker indecifrabili.
Tra i progetti che sappiamo essere italiani, ma sicuramente ce ne sfuggono molti, c’è di sicuro Oöphoi, un artista storico del panorama italiano purtroppo scomparso nel 2013, e tra le giovani senz’altro Camilla Pisani, un’autrice seria che fa una sperimentazione molto rigorosa.
Avete in programma esibizioni live prossimamente?
Causa Covid abbiamo interrotto le nostre attività dal vivo e ci accingiamo a definire i nostri progetti performativi. Più che proporre concerti ci concentriamo su messe in scena più articolate legate alla danza o al visual quindi con tempi realizzativi non immediati.
Quindi, salvo qualche esibizione estemporanea, non saremo pronti prima dell’autunno.