Ex Polvere, in realtà è la mia vita a trarre ispirazione dalla musica

EX POLVERE è un cantautore classe 1997 nato in Sicilia. Qui comincia a popolarsi di arte, musica e letteratura. Proprio la letteratura portoghese e del secondo novecento finisce con il caratterizzare la sua poetica più intimista. È soprattutto influenzato dalla New Wave, dal Post-Punk e da cantautori come Piero Ciampi, Leo Ferrè e Rino Gaetano. A 18 anni si trasferisce a Bologna dove vive e termina gli studi in Filosofia. Qui ritrova parte di quell’ambiente emiliano a lui caro e che aveva scoperto in adolescenza. Dai racconti di Bassani e D’Arzo, all’Emilia come osservatorio specializzato di tendenze nazionali di Pier Vittorio Tondelli, fino al cinema di Antonioni o alla metafisica di De Chirico e, soprattutto, entra in contatto con un certo ambiente musicale. L’esperienza bolognese è importante perché qui comincia a delinearsi il suo progetto artistico che assume forma nel 2021 con la pubblicazione da indipendente del singolo “Soares”: una ballata rock dove racconta il disagio, la solitudine e la rabbia di chi non sa vivere questi anni.
Disponibile dal 10 marzo 2023 su tutte le piattaforme digitali ed in rotazione radio “Una guerra da perdere”, il nuovo singolo, distribuito da (R)esisto. Produzione artistica Michele Guberti (Massaga Produzioni), realizzato presso il Natural Headquarter Studio.

“Frontiere” è il nuovo singolo, disponibile dal 26 maggio 2023 su tutte le piattaforme digitali ed in rotazione radio, distribuito da (R)esisto. Produzione artistica Michele Guberti (Massaga Produzioni), realizzato presso il Natural Headquarter Studio.

1) Il tuo nuovo singolo “Frontiere” è uscito per l’etichetta (R)esisto Distribuzione, vuoi parlarcene?
Devo dire che la canzone è nata qualche mese fa, dopo un periodo di fallimenti e impossibilità di svolta della mia vita. È una sorta di celebrazione disperata di un certo modo di sentire e interpretare il vivere. Volevo che il brano avesse una dimensione più “Pop”, senza però perdere quel disagio di suoni distorti e di rumori che è ciò che tiene a galla i miei testi lunghissimi e un po’ mistici.
Sentivo il bisogno di dichiarare la mia sincerità attraverso una canzone di questo tipo, con un ritornello aperto che facesse respirare anche l’ultimo scarto di dolore. Poi quando abbiamo iniziato a registrare in studio il brano è diventato un’altra cosa ancora. Ci siamo guardati con Guba (Michele Guberti) e ci siamo detti: “Ma sai che forse..”

2) Questo nuovo lavoro ha un filo conduttore con il precedente singolo?
Beh, sicuramente creare un rapporto umano con le persone con cui lavori è fondamentale per lavorare bene creativamente. Quantomeno questo è quello che vale per me. Poi era un periodo della mia vita, dopo aver prodotto Soares da indipendente, dove non capivo bene la reale portata di quello che stavo facendo. Quella è una sorta di canzone manifesto di tutto il progetto. Sapevo di starmi allineando totalmente al mio modello di percezioni con le mie crisi mistiche ed esistenziali. Poi l’università a Bologna, millemila persone conosciute, case e traslochi, cose in ballo, relazioni scomparse. “Una guerra da perdere” prima di entrare in studio era una canzone completamente diversa. Quasi synth pop, poi in studio si è creata una dimensione più mia, dove sostanzialmente urlo delle parole con le visceri sul tavolo, come direbbe Andrea Pazienza. Le frontiere riguardano un limite interpersonale, militare e una guerra da perdere è ciò che rappresenta per me la vita. Una guerra che devi combattere pur sapendo che in questa lotta anche con le persone con cui dormiamo insieme si esce sempre sconfitti anche se vincitori. Il senso è di c combattere, andare, fluire, lasciarsi andare accettando la propria vulnerabilità come una risorsa. Io questa vulnerabilità la esprimo con la rabbia. Non puoi avere venti o trent’anni in questo paese e non essere incazzato. Essere incazzato per qualcosa, capisci? Se non lo sei vuol dire che stai vivendo una posizione di comodità e non hai bisogno di altro.
Nell’arte non mi interessano né le lagne melodiche né i manifesti politici. Racconto il mio disagio e la mia disperazione come “forma superiore di critica”, come ha detto qualcuno.

3) Da dove trai ispirazione per la tua musica?
In realtà è la mia vita a trarre ispirazione dalla musica. In un modo o in un altro quando vieni a contatto con un certo ambiente culturale, conosci certi autori o artisti e allora cominci a riconoscere le tue emozioni più nitidamente, a visualizzarle e a dar loro un volto, una forma. Quindi poi il tuo modo di esprimerti e di sentire ha delle implicazioni culturali. Ho studiato Filosofia a Bologna e il mio modo di scrivere è influenzato dalle cose che ho letto, come dagli ambienti che ho frequentato e dalle relazioni, dai posti che continuo a frequentare. Poi ovviamente i miei ascolti di un certo cantautorato, come della new wave o del punk, di un gusto per il rock alternativo sono cose che mi influenzano. Da quando poi sono anche analista di me stesso devo dar corda a mille voci e persone dentro di me cercando di superare i luoghi comuni. Ma questo mi è naturale.

4) Cover del singolo, chi è l’autore e che messaggio voleva trasmettere?
La foto è di un mio caro amico: Luca Montagnani aka Aimo. Lui è un fotografo e vive a Parigi. Tanto è che le mie spedizioni estere sono ormai per lo più parigine, anche per motivi che vanno al di là dell’arte. Aveva scattato questa foto da qualche parte in Spagna, tra le campagne della Mancha. Mi interessava perché dava l’idea di un dinamismo all’interno dell’immobilità ed è esattamente ciò che + dentro il brano. Quel lasciarsi andare anche se poi non sai realmente dove andare. Ma anche nella depressione o nel malessere si può godere di un paesaggio in movimento. Dopo aver ascoltato il brano mi ha mandato mille altre possibilità di copertina. Alla fine ho scelto la semplicità dell’immagine senza null’altro.

5) Quanto è importante per te trasmettere emozioni al pubblico?
Ho scoperto che esistono persone che mi vogliono molto bene e mi sembra sempre un fatto incredibile. Che ci siano persone che mi vogliono bene, dico. Non mi pongo il problema di dover compiacere chi mi ascolta. La mia idea di arte è di un’arte che ti invade come una bestia feroce, che fa grondare gli occhi o ti infastidisce.
Più che altro scrivo per comunicare. Ho un’urgenza di comunicare. Non riesco nella vita ad aprirmi in modo reale alla maggior parte delle persone, forse per via del mio carattere un po’ difficile. Tuttavia, ho ben chiari i termini linguistici del mio messaggio e delle mie sensazioni. Ha detto Pessoa che è impossibile esprimersi male. È sulla base del tuo linguaggio che puoi esprimere certe sensazioni. Se scrivi male senti male e viceversa. Nell’arte diventa necessaria l’immedesimazione di chi ascolta, ma a me interessa molto più mantenere una connessione con quella che è la mia idea di arte, probabilmente demodé. Sono viscerale in tutto, anche in un ragionamento. Alle volte mi sembra di considerare cose che non interessano minimamente alla maggior parte delle persone, ma va bene così. Ogni artista, d’altronde, ha il pubblico che merita di avere. Vedendo certi fenomeni pseudoartistici di massa preferisco essere ignorato. Se poi qualcuno vuole andare al fondo del mio mondo ne sono contento, ma non cambia la mia vita.
In fondo le cose che scrivo sono soltanto cose che scrivo. Niente più. Il messaggio è lì. Quando qualcuno mi dice di emozionarsi per le cose che faccio a me scappa da ridere. Mi sembra mi si riconosca un valore che credo di non avere, ma questo rientra nel mio autosabotaggio pressoché perenne e artisticamente fuorviante.

6) Cosa ti aspettati per il futuro del progetto?
Boh! Non so se debba aspettarmi qualcosa. Come ti dicevo ho la tendenza a boicottare ogni cosa che mi riguarda, a vedere i miei successi come delle sconfitte. Analizzo fino al midollo le cose che sento, scrivo, faccio al punto da rimuoverle. Non ho mai avuto occasioni reali, tantomeno ho trovato porte aperte o persone che credessero realmente in me come uomo e artista. Quando questo succede hai due strade: o provi a fare tutto da solo con il rischio di perdere qualcosa per strada, oppure ti arrendi e ti chiudi in te stesso. Se non vivessi questa condizione apolide probabilmente scriverei canzoni più felici, per quanto la felicità non sia mai felice. Non concepisco questo progetto con una finalità competitiva. La competizione è con me stesso e riguarda la mia evoluzione come essere umano e creatura vivente, come essere al mondo. Perciò non mi aspetto davvero niente e mi concentro sul fare le canzoni che voglio fare. In generale su tutto quello che è lo scrivere. Credo di possedere nessun piano B, nonostante riconosca questo piano A bisognoso di impalcature, operai e intere imprese edili che lo tengano in piedi. Inoltre, non sopporto la moda del BE POSITIVE a tutti i costi con il faccino sorridente come se tutto fosse calmo e limpido. Non è vero niente. Non è vero che se vuoi puoi, soprattutto se dici le cose come stanno. Ci si sente così liberi da essere vulnerabili e da soli non sono così sicuro si possa arrivare da qualche parte.

7) Per tutti i nostri lettori, come possono mettersi in contatto con te e su quali canali si può ascoltare/acquistare il singolo?
La mia musica è su tutte le piattaforme digitali. Da Spotify a Youtube. Mentre sui social mi si trova digitando semplicemente: ex polvere.

www.instagram.com/expolvere

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