Fecondazione assistita: Progesterone e TSH influenzano andamento gravidanza e tassi di successo nei trattamenti riproduttivi?

E’ in corso di svolgimento ad Amsterdam (fino al 10 Luglio) il 40° Congresso della Società europea di Riproduzione umana ed embriologia (Eshre), uno dei più importanti eventi al mondo in questo settore, un’occasione per fare il punto sugli ultimi progressi della medicina nel campo della Procreazione Medicalmente Assistita. Anche quest’anno IVI, grande gruppo internazionale specializzato in medicina della riproduzione, ha partecipato al meeting con diversi studi, due dei quali hanno posto l’attenzione sull’incidenza di alcuni ormoni fondamentali durante la vita riproduttiva di una donna.

Tra i principali cambiamenti che riguardano l’organismo nel corso della gravidanza, ci sono anche quelli che riguardano la tiroide. Questa ghiandola ha un’importanza fondamentale per la salute umana, intervenendo tra le altre cose sulla regolazione della funzione ovarica. Mantenere un corretto equilibrio degli ormoni tiroidei durante la gestazione è determinante per permettere uno sviluppo del feto privo di complicazioni. In un percorso di fecondazione assistita, durante la fase di stimolazione ovarica, ci possono essere effetti diretti e indiretti sulla funzione tiroidea della paziente, implicando un maggior rischio di sviluppare un ipotiroidismo e, di consegruenza, un innalzamento del valore del TSH. A maggiori livelli di TSH (l’ormone prodotto dall’ipofisi, che stimola la produzione degli ormoni tiroidei) corrispondono maggiori casi di aborto spontaneo?

A questa domanda ha cercato di rispondere uno studio tutto italiano, coordinato dal dottor Mauro Cozzolino, Ginecologo Specialista in Medicina della Riproduzione di IVI Roma, che ha sottolineato la correlazione tra la somministrazione di estradiolo valerato e i valori di TSH, confermando la possibile relazione con l’aumento del rischio di aborto spontaneo nelle donne con TSH più elevato.

Secondo lo studio, che ha preso in esame pazienti di età compresa tra 30 e 47 anni con trasferimento di una singola blastocisti, questo valore si innalza con la somministrazione del farmaco progynova che viene utilizzato in fase di stimolazione per far crescere l’endometrio prima del transfer. “Avevamo notato che molte pazienti prendendo questo farmaco avevano un incremento dei valori del TSH – spiega il dott. Mauro Cozzolino – e molto spesso ci ritrovavamo il giorno stesso del trasfer a dover incrementare o iniziare ad assumere l’eutirox, farmaco utilizzato in caso di scompensi ormonali della tiroide, o addirittura cancellare il transfer per valori del TSH troppo elevati. L’idea di questo studio nasce proprio dall’esigenza di monitorare prima il livello di TSH, incrementando del 25% la terapia con levotiroxina (Eutirox) quando si inizia la preparazione endometriale con l’estradiolo valerato (progynova), il farmaco utilizzato per far crescere l’endometrio prima del trasferimento di embrioni. Abbiamo appurato che, dopo 12 giorni di assunzione di progynova, il TSH si innalza. Quindi, nel momento in cui la paziente rimane in gravidanza dopo il trasfer, ma il TSH rimane alto, si va incontro ad un rischio maggiore di aborto rispetto a quelle donne che hanno un TSH controllato. L’idea è, quindi, monitorizzare il TSH e mantenerlo a valori bassi in maniera che, in caso di gravidanza si possa scongiurare l’aborto dovuto all’innalzamento del TSH”

Questo studio rappresenta un passo avanti importante per conoscere la risposta dell’organismo di fronte ad una stimolazione con progynova, in particolare evidenzia come sia opportuno monitorare fin da subito i valori del TSH e intervenire con una giusta terapia ormonale in maniera da arrivare al momento della gravidanza con un livello di TSH normale e ridurre drasticamente il rischio di aborto spontaneo.

Un altro ormone fondamentale nel corso della gestazione è il progesterone, che presiede alla stimolazione dei vasi sanguigni dell’endometrio e consente al feto di ricevere il nutrimento adeguato. Svolge anche un ruolo essenziale nel preparare l’utero ad accogliere l’embrione nel corso di una gravidanza. Inoltre, sempre grazie alla sua azione, controlla quelle contrazioni uterine che potrebbero determinare un parto prematuro. Monitorando i valori di questo ormone, è possibile stabilire una relazione causale tra i livelli di progesterone nel sangue e i tassi di successo dei trattamenti riproduttivi? Questo è il punto di partenza di un altro importante studio presentato da IVI durante l’ESHRE svoltosi ad Amsterdam.

“Poiché il progesterone non sembra avere effetti collaterali ed è l’ormone principale della gravidanza, a volte si tende ad eccedere con la somministrazione. Lo scopo di questa ricerca è proprio capire se eccedendo con la quantità di progesterone, possano essere influenzati gli outcomes riproduttivi – spiega la dottoressa Daniela Galliano, Specialista in Ostetricia, Ginecologia e Medicina della Riproduzione, Direttrice della clinica di PMA IVI Roma- Diversi studi hanno confermato la relazione tra i livelli di progesterone durante i cicli di fecondazione assistita e gli esiti della gravidanza. Sono stati evidenziati gli effetti negativi dei livelli sierici di ormoni alla soglia minima durante i cicli di FET (trasferimento di embrioni), ma non esistono tanti studi che riguardano tassi troppo alti di progesterone.”

La somministrazione di progesterone si usa durante i cicli di fecondazione assistita come aiuto per l’annidamento dell’embrione, durante le prime settimane di gravidanza (fino al terzo o quarto mese nel caso dei pazienti con aborti ripetitivi) o durante tutta la gravidanza in caso di rischio di parto prematuro. Durante la gravidanza, i livelli di progesterone aumentano progressivamente: da 10 a 44 ng / ml durante il primo trimestre di gravidanza, tra 19,5 e 82,5 ng / ml durante il secondo trimestre di gravidanza, da 65 a 290 ng / ml durante il terzo trimestre di gravidanza.

“Bassi livelli di progesterone, oltre che comportare un fattore di rischio durante il periodo della gestazione, possono avere anche effetti negativi su un futuro concepimento – aggiunge la dottoressa Daniela Galliano – la nostra ricerca ha cercato di capire, invece, in che maniera possano influire valori troppo alti di progesterone nel sangue. Le pazienti sono state suddivise in tre gruppi differenti, a seconda della modalità di somministrazione del progesterone: vaginale, sottocutaneo e intramuscolare. L’esito primario era il tasso di nato vivo. Gli esiti secondari valutati sono stati la gravidanza biochimica, clinica ed il tasso di aborto spontaneo (MR) calcolato per singolo transfer embrionario. Durante tutta la gravidanza questo ormone continua a fare un gran lavoro: promuove lo sviluppo del feto, prepara i tessuti del seno alla lattazione e rinforza la muscolatura pelvica in previsione del parto. In base alla nostra ricerca, anche se si eccede nella somministrazione del progesterone non rischiamo di peggiorare gli outcome riproduttivi. Nel gruppo con i livelli più alti di progesterone, infatti, si è riscontrato un tasso gravidanza biochimica leggermente più bassa, in maniera non statisticamente significativa. Stesso discorso per il tasso di nato vivo e il rischio di aborto spontaneo. In letteratura medica non esistono molti studi sul progesterone alto in gravidanza, queste informazioni sono utili per aiutare il monitoraggio corretto di questo ormone e continuano ad aiutarci nella nostra costante ricerca dei migliori risultati riproduttivi possibili”.

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