Beh che dire: due paesi in “lotta”, rivalità ataviche che si tramandano, di anno in anno, di personaggio in personaggio… di ragione in ragione. La ricerca di sostenibilità, l’ambiente, il territorio: sono punti nevralgici nella vita professionale di Flavio Lucibello che in qualche modo li riporta a condire la trama di questo romanzo libero, leggero, godibile e di tanti piani di lettura diversi, a seconda di quanto siamo disposti a metterci in discussione. Perché “Verbello e Belsole, solo storie di paese” non è solo un romanzo di fantasia di due piccoli comuni della provincia italiana in rivalità. È anche un modo intelligente per guardare alla nostra vita di ogni giorno da angolazioni forse meno comode, mettendo a nudo scuse e finzioni varie. Proviamo a indagare da vicino con questa bellissima chiacchierata.
Da piccolo ho vissuto in un piccolo paese. La rivalità con il borgo poco distante era un dovere civico più che un diktat familiare. Il tempo corre, siamo nel futuro delle macchine, ma certe dinamiche sociali non cambiano. Secondo te perché?
Il campanilismo è una malattia endemica dura da debellare. Ma bisogna chiedersi cosa c’è alla base del campanilismo, su quale esigenza psicologica e sociale fonda le sue radici. A mio parere ci sono più elementi. Uno di questi è la logica tribale che ancora regna sovrana nella nostra società e non solo nei piccoli paesi. Si guardi il Nord contro Sud, le manifestazioni razziste dilaganti etc… Poi c’è un aspetto più psicologico, la necessità di trovare un contrasto con qualcosa che faccia da sostegno, da puntello alle proprie convinzioni per nascondere le proprie debolezze. La logica del contrasto è molto utilizzata in politica, ma anche nella vita sociale spesso ci si sostiene per contrapposizione a qualcuno. Questa competitività con l’esterno, nel nostro caso con il paese vicino, ha come effetto una coesione al proprio interno su obiettivi comuni, contro un comune “nemico”.
A proposito di tempo: siamo nel passato o nel futuro? Cosa troveremo leggendo il libro?
Sicuramente il passato e il presente. Temo purtroppo che per avere un futuro diverso dovremo attendere molti anni.
Quanta biografia esiste tra queste pagine? In qualche modo hai trovato l’occasione per raccontarti? Magari in qualche personaggio o in qualche modo di vedere la vita…
No, nei racconti del libro io non ci sono. Sono solo un osservatore esterno. Racconto invece tanti personaggi che ho incontrato nella vita e nel mio lavoro. Alcuni di questi farebbero impallidire anche i peggiori figuri del racconto. In modo particolare l’Assessore Briganti (nomen omen) è la fotografia di un assessore con il quale ho avuto la disgrazia di imbattermi. Mi ricordo che quel personaggio a una cena si vantò almeno di una decina di reati. C’è da dire che dopo alcuni mesi ebbe un soggiorno gratuito nelle patrie galere.
Che poi secondo te, esisteranno per davvero situazioni simil in Italia? O forse è stata proprio una di queste ad ispirarti nel racconto?
Esistono eccome! Ne troviamo a decine. I racconti sono nati proprio dall’aver assistito a situazioni del genere. Certo nel libro si mette in ridicolo anche ciò che ridicolo non è. Il disastro ambientale, la corruzione, la speculazione politica di fatti drammatici, sono all’ordine del giorno, nelle piccole e nelle grandi amministrazioni. Questa volta ho deciso che, almeno per qualche ora, ci si possa ridere su.
Quanta ricchezza stiamo perdendo in tutti questi territori di frontiera, di montagna, piccoli borghi di autenticità storica? E quanto è vero che la ragione primigenia è un modo socialmente sbagliato di vivere la comunità?
Quello a cui sto assistendo è l’incapacità di evolversi valorizzando le risorse peculiari di quegli ambienti, cercando, invece, di replicare modelli sociali ed economici che non appartengono a quel contesto. Da un lato c’è una chiusura ottusa a qualsiasi cosa provenga dall’esterno, anche se fortemente positiva. Dall’altra uno stravolgimento totale del territorio che trasforma, ad esempio, la montagna in un luna park di facile fruizione. Questi due estremi stanno provocando la fuga dei giovani da questi paesi. Ho visto pochi giorni fa il film “Un mondo a parte”, che ben rappresenta quello che sto dicendo. Le tradizioni sono belle e preziose, ma il modo di proporre e valorizzarle deve essere moderno. In altri libri più seri ho trattato il tema dell’abbandono dei paesi di montagna, tema che è centrale nel romanzo che sto scrivendo in questo periodo. La diffidenza verso l’esterno, la chiusura su schemi rigidi autolesionisti, l’incapacità di cogliere il potenziale reale che il territorio ha, stanno uccidendo una parte importante del nostro patrimonio culturale e sociale dei piccoli centri. In più occasioni, con amministratori locali, ho provato a parlare di sviluppo sostenibile, di ecoturismo, di allargare l’offerta a un turismo che non si limiti solo alle piste da sci invernali, ma che per 12 mesi l’anno può portare la gente in montagna. Tutto inutile. Salvo rari casi, nessuno è disposto a crescere tenendo però ben salde le tradizioni del posto. Insomma ci vorrebbe quello che cantava Bertoli: “Un piede nel passato e uno sguardo dritto, aperto nel futuro”:
In chiusura: hai pensato ad una presentazione dentro location simili a Verbello e Belsole?
Sì, sarebbe interessante e, credo, anche divertente. Alcuni anni fa per parlare di un mio romanzo “Il suo nome era Vladimiro, alla ricerca del lupo cerviero” ambientato in un paese di montagna dell’Appennino, abbiamo organizzato nella piazza di un paese in Abruzzo, con il supporto logistico dell’amministrazione, un incontro in piazza del titolo: Il rapporto tra l’uomo e il lupo tra favola e leggenda – da Fedro a Lupo Alberto. Ho avuto al fortuna di avere come “spalla” una bravissima giornalista della RAI. La piazza era stracolma di famiglie, è stato bello e divertente. Forse varrebbe la pena di tentare anche con Verbello e Belsole.