Disco manifesto, disco politico ma anche disco decisamente spirituale e di bellezza per quanto dal titolo arrivino cattivi presagi. Però la verità è che “Alla morte” è un disco pieno di vita e di rinascita, di resistenza più che di resilienza. Ne parliamo con il suo autore, Francesco Lattanzi, che in questa bella intervista rivela quanta spiritualità vive e quanta magica energia e consapevolezza fanno da guida ad un lavoro di canzone d’autore forse un po’ anacronistico, sicuramente apolide, antico nello stile, sempre attuale nella parola.
Un secondo disco per Francesco Lattanzi che sembra più manifesto di una consapevolezza. O forse non è così? Il tempo e la maturità ti hanno regalato una consapevolezza che forse prima mancava?
Dobbiamo calcolare che dal mio album d’esordio sono passati dieci anni. Quindi una crescita deve esserci stata. Perlomeno dal punto di vista anagrafico (Ride).
Quel disco, “Turno di notte”, per uno come me che non nasce propriamente musicista, è stato quasi un salto nel buio. E’ vero che le canzoni sono interamente scritte da me, ma ho dovuto affidarmi, per quasi tutto ciò che concerne la parte orchestrale, a due veri professionisti come Gianni Ferretti e Andrea Mattei che mi hanno guidato quasi come Virgilio fa con Dante nella Commedia, passo per passo.
Ascoltando e riascoltando ho capito cosa andava bene e cosa non avrei dovuto ripetere di quell’esperienza, quindi, sì, la consapevolezza si è fatta strada e ho voluto farla sedimentare più lentamente possibile per essere pronto al meglio all’alba di una nuova sfida. Ma, già adesso, in questo stesso momento in cui mi intervistate, sto già riflettendo su cosa di diverso avrei fatto in questo secondo disco, a distanza di poco più di un mese dalla pubblicazione, può sembrare la mania di un eterno scontento o di un ipercritico, ma la consapevolezza di cui mi chiedete deve essere questa, comprendere che un traguardo raggiunto è solo il punto di partenza per un traguardo successivo.
Che rapporto hai con la morte?
Nessuno. Perché quando ci siamo noi, lei non c’è, e quando lei ci sarà, non ci saremo noi. Battute a parte, non datemi dell’epicureo, quello che spaventa realmente è la morte delle virtù, oggigiorno. Quella fisica, presente in tutte le canzoni del disco, è solo uno schermo naturalmente, dietro si cela quella dei valori, che mi spaventa assai di più.
E perché un titolo così crudo dentro un disco che in fondo parla di speranza e di futuro?
Mi rallegra constatare che abbiate letto tra le pieghe del disco. C’è un bellissimo aforisma del pittore Ugo Bernasconi, che recita: “La storia è maestra di vita, ma a dispetto dei suoi insegnamenti l’uomo ricade sempre negli stessi errori”. Pensate, tanto per dirne una, proprio al discorso sulla guerra e ditemi se non è così. La spiegazione è semplice, come possiamo crescere (e questa volta non solo sotto il profilo dell’età) migliorare, evolverci umanamente e spiritualmente se non riconosciamo i nostri errori e non proviamo ad emendarli ? La catarsi necessaria, di cui ho parlato già in altre interviste, avviene solo attraverso l’introspezione e una volta individuate le parti “morte” del nostro animo, bisogna scansarle e far emergere quelle vivificanti. Io questo percorso cerco di compierlo quotidianamente e credo di aver già coperto un bel tragitto, la strada è lunga, non mi illudo, ma mi ritengo orgogliosamente soddisfatto dei risultati ottenuti. Se non avessi riscontrato certi esiti positivi in questi dieci anni, forse questo disco non sarebbe mai uscito, sarei rimasto al palo del disco d’esordio. Ecco da questo punto di vista posso dire per ripetere le parole che voi stessi avete utilizzato nella domanda, che posso, guardare al futuro con speranza.
Esiste un futuro anche oggi? Oppure stiamo andando incontro al declino totale?
Io direi che non solo una cosa non esclude l’altra, che anzi una cosa è diretta conseguenza dell’altra. Come qualcuno ha scritto fotografando molto bene la nostra epoca “ci avviciniamo a piccoli passi verso la barbarie” (per me ci siamo già dentro se consideriamo determinati comportamenti di persone neanche troppo distanti da noi), ma vi invito a riflettere su come l’uomo abbia saputo riprendersi da momenti catastrofici, e posso fare tanti esempi: consideriamo il miracolo socioeconomico che è seguito alla seconda guerra mondiale, alla fine degli anni 40 il mondo era nel baratro. Cosa siamo stati capaci di fare nei primi anni cinquanta e per i primi anni sessanta ? Possiamo tranquillamente parlare di una vera e propria rinascita della vita. In tutte le sfere della vita. Ed è avvenuto lo stesso per tante “resurrezioni” anche in epoche più antiche. Ma credo che sia quasi un fatto fisiologico. Basta anche semplicemente osservare l’universo e la natura: dopo il buio c’è sempre la luce.
E socialmente parlando, cosa dovremmo riportare da questo disco?
Anche qui ho piacere che abbiate colto un passaggio importante, ancora oggi, tanti mi dicono che questo è un disco politico. No. E’ un disco poco politico. E molto più attento all’aspetto sociale. Ho cercato, come notate voi, di analizzare (nel mio piccolo e con tutta l’umiltà del caso perché non sono un sociologo) il modo in cui proprio la società di oggi si proietta in un discorso più globale. Quali sono le dinamiche che avvengono, o meglio che sono avvenute, in questo ultimo ventennio tra le persone messe in relazione tra loro, senza cercare di inserire nell’analisi sovrastrutture politiche, o discorsi sui massimi sistemi; solo analizzare l’uomo inserito nella società. Quali sono le sue azioni e le sue reazioni di fronte agli eventi dell’esistenza, e questo emerge credo, abbastanza chiaramente in tutte le tracce dell’album.