Il titolo non vuole inneggiare ad una noia o ad una inutile ripetizione. Anzi. Vuol essere una provocazione bella e buona: ormai non si contano più le voci che si alzano contro un appiattimento e una omologazione sociale che appiattisce ogni cosa e su ogni cosa impera. E non è da meno l’esordio discografico di Giulio Spagnolo, cantautore leccese che all’estetica affida visioni piratesche – se così possiamo semplificare – e che alla lirica chiede una bandiera di rivalsa sociale. Che poi, la bellezza di questo lavoro dal titolo “Beato chi” è anche questo incontrare e dipingere l’uomo dentro fragilità e spiritualità altre, extra-terrene… che poi ogni cosa si rivela terrena… forse. Di sicuro questo è un disco che nel suo stilema pop si fa kombat(tivo) e tanti stimoli regala sin dal primo ascolto.
Mi incuriosisce molto questo immaginario tra pirati e antichità. Posso chiederti perché?
Il passato lo considero il punto di partenza in molte occasioni, nell’album ho toccato vari argomenti tra cui, quello dell’inizio del mondo. Dovevo e volevo tornare indietro per dare letteralmente inizio ad un viaggio che man mano diventava sempre più personale. Un altro motivo che mi ha portato a tornare indietro nel tempo è stata l’immagine del cantautore che faceva una sana critica sociale. In questo lavoro vive anche una ciurma di musicisti pronti ad affrontare le molteplici vicissitudini che la musica riserva, ma non sono stati messi a caso, per me la ciurma rappresenta a pieno il concetto del gioco di squadra. Per gli stessi motivi, la musica è ancora più bella se è condivisa.
Il tutto è frutto di una maschera se vuoi: abiti e ambientazioni sono in fondo delle maschere. Perché dunque “mascherare” il presente?
“Mascherare” era l’unica soluzione…
In tutta onestà non sono mai riuscito ad accettare le dinamiche del mondo, così mi sono spinto a cercare “rifugio” in un periodo già passato, costruendomi un mondo fatto dai i miei personaggi, accompagnati dal proprio contesto musicale.
Chi oggi può davvero credersi “beato”? E poi di cosa?
Siamo nell’epoca in cui, essere “eticamente corretti” non porta quasi a nulla di buono, il sistema sociale che ci avvolge propone uno stile di vita mirato alla sopravvivenza. Questo brano è stato il modo pseudo ironico per affermare che paradossalmente sono beate tutte quelle persone che non si pongono uno scrupolo, chi vive avvolto nel proprio materialismo, chi non ha alcuna responsabilità, proprio perché appunto “non conviene essere corretti”.
Un primo lavoro che nasce in che momento della tua vita?
Tutto è iniziato in un febbraio del 2016, mi trovavo a Roosendaal per lavoro, non era un bel periodo. Scappavo dall’Italia per cercare nuove possibilità all’estero, ma tutto ciò aveva un costo: nel mio bagaglio non c’era posto per le mie percussioni e quindi per la musica.
Decisi dunque di costruirla, comprai una chitarra nella piccola cittadina olandese ed iniziai a studiare i primi accordi, ad abbozzare i primi versi. Sentivo la forte necessità nel voler comunicare il mio stato d’animo, quello che stavo vivendo e che nessuna comprendeva.
Dopo anni di lavoro e di continui cambiamenti, sono riuscito a portare a termine un percorso, atterrando a casa con suoni e ispirazioni che vengono dall’altra parte dell’orizzonte.