Il Colombiano, Tell Me Again About The Night I Was Dead. La presentazione a La Loggia di San Tommaso a Viterbo – La Banda del Racconto e Myliac presentano Il Colombiano. Tell Me Again About The Night I Was Dead
L’appuntamento è per venerdì 18 ottobre alle ore 21.00 presso libreria La Loggia di San Tommaso in Piazza della Morte a Viterbo
Il Colombiano, racconto metricato di Antonello Ricci (Il Colombiano. Di adozioni & altre biologie, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2011) è una fiaba d’amore. Una storia di padri e figli. Un racconto autobiografico. Al filtro della scrittura, paure sentimenti desideri di una esperienza straordinaria: l’adozione da parte dell’autore, nel maggio 2004, del suo secondo figlio, Juanco (Juan José).
Ma occhio al sottotitolo: ogni padre adottivo si renderà conto, prima o poi, che in amore non c’è differenza. Tra paternità e paternità. Tra seme e seme. Perché ogni adozione è biologia. Perché ogni biologia è in realtà un’adozione. Il Colombiano è insomma un elogio del seme bastardo. Un nudo inno alla bellezza della vita. L’arrivo di Juanco ha gioiosamente spedito gambe all’aria la vita di Ricci: da una parte rafforzandone il rapporto d’amore col primo figlio, Lorenzo (autore delle stralunate illustrazioni del libro); dall’altra riportandolo, «attraverso la terra dei ricordi», al tempo in cui anche lui era un figlio: figlio di un figlio adottivo a sua volta, perché orfano.
Ma Il Colombiano è anche un omaggio: Juanco è nato il 25 aprile 2003 a Medellín. Insomma è concittadino di Fernando Botero e dello Juanes di Camisa negra, una canzonetta che tutti avrete canticchiato, almeno una volta, guidando nel traffico o mentre vi facevate la barba. Purtroppo Medellín è anche famosa, e dolente, per la leggenda di Pablo Escobar e per il cartello del narcotraffico, per la Virgen de los Sicarios e per quei killer-ragazzini che, devotissimi, ogni giorno le consacrano pallottole. Così Il Colombiano si presenta pure come una fantasia horror, una dichiarazione d’amore alla città «funesta e aerea» che i Colombiani stessi considerano la Napoli di Colombia.
Il libro narra gli ultimi istanti del consueto gioco serale tra un padre e un figlio, «di semi diversi, prima dispersi poi ritrovati». Come ogni sera, alla fine del gioco, già sotto le coperte, il figlio chiede al padre: «mi racconti una storia?». Lui acconsente. E racconta. Tutte le sera una stessa fiaba: «quella del bambino che non dormiva mai». E quando il ragazzino si addormenta, il padre si perde nel dormiveglia dei suoi ricordi. Finché anche lui sprofonda nel sonno. A questo punto, dal corpo del figlio addormentato si desta lo spettro del «sangre», il morto-vivo di un passato che non passa mai, ignobile e feroce. Si desta e parla parla parla.
Il Colombiano è un racconto in versi. Strutturato in quattro quadri, ciascuno dei quali si sviluppa come variazione su una diversa tipologia testuale: dal ritratto del ragazzino, svolto a forme liriche, a un particolare genere di fiaba aperta; dal racconto in flashback al monologo teatrale vero e proprio.
Ma Il Colombiano è anche e soprattutto un concerto-reading. Con Alfonso Prota in cabina di regia. E la musica dei Myliac che asseconda e innerva tutta la performance, dal dolce avvio serale al suo compimento notturno e visionario, quasi spiritico. Dai vicoli di Viterbo alle Comunas di Medellín: fra tuguri che si arrampicano sulle montagne come mucchi di spazzatura, vero e proprio «inferno che si aggrappa al cielo», regno incontrastato dei sicari-ragazzini. Anche per Prota, andrà detto, Il Colombiano si configura come faccenda di padri e figli: nel quadro quarto infatti (il momento più indemoniato, più urlato rappato guappato), il regista si ritrova al leggio fianco a fianco con suo padre Vincenzo, a leggere un impasto di ispano-napoletano che lo riporta alle più intime e remote radici partenopee della sua famiglia.