Il ghetto ebraico – Tra Largo Arenula e Piazza Venezia, entro il perimetro di via delle Botteghe Oscure e Lungotevere, sorge a Roma il ghetto della comunità ebraica: piccole strade con negozi di tessuti e oggetti di artigianato, alimentari, bar e ristoranti, la scuola e le abitazioni.
“Ghetto” è un termine ormai entrato nella lingua comune, quale sinonimo negativo di segregazione: ma all’origine fu davvero così? In senso generale bisogna rispondere affermativamente, anche se la struttura di tale istituzione merita di essere esaminata per il carattere di microcosmo che storicamente assunse in tutta Europa.
Il termine sorse a Venezia nel 1516 e venne usato al fine di designare l’isolotto riservato in esclusiva alla minoranza ebraica e sul quale aveva avuto sede una fonderia: difatti, in veneziano, “fondere” si dice “getare”, da cui “gheto” ovvero “laboratorio di fusione”. L’isola era collegata alla Serenissima con un piccolo ponte, che presentava alle estremità due cancelli per vietare l’entrata e l’uscita dei residenti dal tramonto all’alba. “Ghetto” divenne così il termine ufficiale per definire i quartieri riservati ai membri della comunità ebraica che si diffusero in numerose città europee, italiane, polacche, tedesche. In altri Paesi, queste zone vennero istituite solo nei centri abitati dove aveva sede la residenza di un vescovo e i gruppi etnici minoritari contenuti in piccoli villaggi.
Dentro il ghetto, si stabiliva un autentico stato, i cui rappresentanti godevano di pieni poteri di governo, esercitavano la giustizia e riscuotevano le tasse da versare all’amministrazione cittadina; si occupavano inoltre del funzionamento della sinagoga, dell’assistenza ai non abbienti, dei servizi cimiteriali. L’edificio di culto costituiva il fulcro dell’attività pubblica: intono a essa sorgeva la scuola di lingua e dottrina ebraica, si organizzavano le confraternite dedite a scopi educativi, caritatevoli e liturgici, si aprivano gli esercizi commerciali, si sviluppava l’edilizia abitativa. In buona sostanza, si trattava di una minuscola realtà, che rifletteva le strutture pubbliche esterne e curava in via principale il crescente buon andamento della vita collettiva.
Il ghetto così istituzionalizzato restò in vigore almeno fino alla metà del sec. XIX ed ebbe importanti ripercussioni sull’ebraismo medesimo: con la netta separazione dai quartieri cristiani, rafforzò l’identità dell’etnia ebraica ma, al contempo, scoraggiò il confronto culturale, annoverandosi tra le cause che determinarono – ovviamente, con le debite eccezioni – una certa stanchezza del pensiero israelitico e la scarsa propensione di esso ad aprirsi alle istanze di rinnovamento del mondo moderno.
Tutt’oggi difatti, chi si consente una passeggiata romana nella zona descritta ha l’impressione che il tempo vi scorra assai più lentamente. E questo non è certo un male specie per chi, come i capitolini, trascorrono la giornata a fare i conti con il logorio della Città Eterna.