Arrivano dritti al cuore i racconti che costituiscono “Il rovescio della medaglia”, l’opera scritta da Rita D’Apice, insegnante in pensione di Letteratura Italiana e Storia nelle Scuole superiori, e pubblicata nella collana “I Diamanti della Narrativa” dell’Aletti editore. Nata nel 1945 a Gragnano (Napoli), si laurea in Lettere Antiche con specializzazione in Filologia Classica e, attualmente, vive nell’amata Cerveteri (in provincia di Roma). Una vita segnata dalla sofferenza. Sin da bambina sa cosa significa cadere e rialzarsi; ripartire da sé stessa e, soprattutto, rinascere e far nascere dalla sofferenza tanta bellezza. E questo emerge dalla sua opera, in cui è massima l’attenzione riservata all’analisi dei personaggi che la scrittrice delinea in maniera talmente vivida da riuscire a vedere, mentre racconta, il personaggio a cui vuole dare vita. E quando dà vita ai personaggi è come se il lettore possa immedesimarsi nella storia e nelle caratteristiche di chi le affronta. Per questo vi è un continuo ripiegamento su sé stessi; i protagonisti delle storie consentono, a chi legge, di tornare in sé e nella propria personalità. E’ per questo che, alla nostra domanda, Rita D’Apice, afferma di ispirarsi, nel suo stile di scrittura, a James Joyce. Le sue penetranti analisi diventano momenti di intuizione per chi si trova a leggerle e il suo “flusso di coscienza” corre più veloce delle parole, mettendo nero su bianco ciò che viene pensato.
Nell’opera vi è un continuo intreccio tra fantasia e realtà: l’autrice, infatti, si esprime sempre in prima persona, come se i fatti narrati fossero legati a vicende vissute da lei medesima e non frutto della sua fantasia, come, in effetti, sono. «A volte – racconta la scrittrice – sogno di notte la storia che voglio raccontare e poi la rielaboro. Scrivo di getto, ho già tutto nella mia mente. Solo raramente penso a qualcosa e ci costruisco un racconto». Nel libro vi è una continua dialettica tra l’essere e l’apparire, tra il bene e il male. Solo passando attraverso il dolore si può raggiungere la gioia e ciò che emerge è la bontà dell’essere umano di fronte al male. E non sempre il bene ha il sopravvento, perché la vita reale è così. Fatta di tante spine. Ma, poi, bisogna essere resilienti. In questo la scrittura riveste un ruolo catartico, liberatorio. Lo sa bene Rita D’Apice, che già all’età di 4/5 anni dettava alla sua mamma le poesie, perché lei era troppo piccola per saper scrivere. E a soli 9 anni scrisse il suo primo romanzo.
Un percorso di vita tortuoso; tante soddisfazioni con i suoi studenti che l’hanno definita un’insegnante di vita, prima che di letteratura. Perché solo chi il male lo ha conosciuto davvero, chi ha tratto esperienze indelebili anche da un letto di ospedale, quel male può combatterlo e superarlo, senza entrare nel circolo vizioso della cattiveria, ma facendo di quelle spine delle rose. «Rialzarsi sempre, nonostante le sofferenze». E’ questo il messaggio che l’autrice vuole trasmettere con i suoi racconti, puntando l’accento non solo su ciò che è accaduto, ma anche su ciò che sarebbe dovuto accadere. Perché, in tutte le manifestazioni dell’esistenza, c’è sempre il “rovescio della medaglia”.
Federica Grisolia