Oggi escono i video delle live sessions dei brani Fried Blues Chicken e Nine Rows of Beans, estratti dal nuovo album degli Escape to the Roof (uscito il 23 gennaio 2023 ascolta album), rockband i cui componenti hanno deciso di rimanere anonimi e di non divulgare foto – per questo motivo in entrambe le live session le identità dei musicisti è stata nascosta – per far sì che l’attenzione massima sia posta esclusivamente sulla musica come arte collettiva e sul suo messaggio, per riscoprirne il valore profondo, prendendo in modo netto le distanze su tutto quello che oggi rappresenta la discografia, impermeata di apparenza, di superficialità, di “figurine”.
Fried Blues Chicken è il primo manifesto degli Escape To The Roof in cui propone una metafora della vita, sulla società, sulla produttività in batteria, che parte dalle parole di Margaret Heffernan che riprende lo studio sui polli di un biologo evoluzionista della Purdue University, William Muir: “Muir s’interessava di produttività, una cosa che penso riguardi tutti noi, ma che nei polli è facile da misurare perché basta contare le uova – spiega G.C.Wells, leader della band -. Voleva sapere come rendere i suoi polli più produttivi, così escogitò un bell’esperimento. I polli vivono in gruppi, quindi ne selezionò una colonia media e la lasciò crescere per sei generazioni. A questo punto, creò un secondo gruppo composto dagli individui più produttivi, che chiameremo ‘superpolli’. Questi furono riuniti in una super colonia, selezionando da ogni generazione soltanto gli individui più produttivi. Dopo sei generazioni, indovinate cosa scoprì? I polli del primo gruppo, quello medio, se la passavano benissimo. Erano tutti belli grassottelli e ben piumati e la produzione di uova era aumentata notevolmente. E il secondo? Tutti morti, eccetto tre superstiti che avevano beccato a morte tutti gli altri.”
Guarda live session di Fried Blues Chicken
Nine Rows of Beans è una fuga metafisica, all’interno di una poesia di William Buttler Yeats, nella cui isola si vive per allevare api e piantare fagioli alla fine del XIX secolo: “Nine Rows of Beans vuole rompere i limiti di spazio e tempo, per permettere una fuga nel mondo dell’immaginazione in cui il rischio di essere inseguiti è nullo – prosegue Wells -. Letteralmente fuori dal tempo e dallo spazio contemporaneo. Nine Rows of Beans è un inno alla ricerca delle cose fondamentali dell’esistenza, che stanno alla base, per recuperare quella normalità genetica primordiale che l’uomo contemporaneo ha ormai perso.
Viviamo per mantenere intatta la struttura biologica dell’organismo, siamo programmati a questo fine sin dalla fecondazione dell’ovulo. La ragion d’essere di ogni struttura vivente è essere. Ma per essere, tale struttura, può adoperare il solo mezzo che conosce per natura, ossia rispondere alle necessità urgenti, le pulsioni, ovvero il principio di piacere, o ricerca dell’equilibrio biologico, una normalità genetica primordiale della struttura vivente stessa. Rimanere normali è quindi l’urgenza primaria di qualunque organismo vivente, e prima di tutto normali rispetto a se stessi e non alla maggioranza che, sottomessa inconsciamente a giudizi di valore con finalità sociale, è costituita da individui perfettamente anormali rispetto a se stessi. Ribellarsi significa il più delle volte rovinarsi con le proprie mani, perché la ribellione, se attuata da un gruppo, ricostituisce subito un’aggiuntiva scala gerarchica, e la ribellione solitaria porta rapidamente alla soppressione del ribelle da parte della generalità anormale che si crede detentrice della normalità. Non resta che la fuga, una fuga metafisica.”
Guarda live session di Nine Rows of Beans
L’album, da cui sono estratti i due brani, tratta i temi più disparati, ma tutti riconducono all’uomo e alla sua molteplice esistenza. Ci sono il profeta, il vagabondo, il mago, il rivoluzionario, il pezzo da novanta e il suo torturatore, l’uomo nero, e molti altri personaggi che vagano in ambientazioni da tessuto suburbano, ora contemporaneo ora distopico. Dieci brani in cui riecheggiano le sonorità degli anni d’oro del rock che seguono un piano narrativo unico, che lo stesso G.C.Wells (voice, guitars) leader della band, formata da Jann Ritzkopf VI, (guitars, soundscapes), Zikiki Jim (bass) e Luis Canemorto (drums), non ha voluto svelare, perché chiarisce: “il filo conduttore è volutamente flebile, cifra stilistica alla quale sono molto affezionato, fin da adolescente sono stato oltremodo attratto dalla poetica ermetica, criptica per raffinatezza. Concetto bellissimo è quello per cui il fruitore, che sia ascoltatore o lettore, deve fare la sua parte per incontrare il poeta/autore, il quale semina tracce da seguire, attraverso la scelta di parole, pause, suoni, dinamiche, ecc., affinché si abbia una profonda e completa compenetrazione emozionale della poetica stessa. Un quadro tridimensionale in cui il gesto alle volte è solo accennato: un suono, un percorso armonico, una parola, tutti segni semantici portatori di un’emotività calcolata a seminare le tracce da seguire.
La band ha scelto l’anonimato, nomi di fantasia, e non vuole rendere pubblica la biografia, le identità. Lo scopo ultimo è fare in modo che chiunque ascolti i singoli o il disco, si concentri il più possibile sulla scrittura, sul messaggio, sulla composizione, sui testi, sulle emozioni, sui temi di questo progetto discografico, in particolare sulle sonorità degli anni d’oro del rock, come atto di una vera “insurrezione”, per riscoprirne il valore profondo: “La storia ci ha insegnato – racconta G.C. Wells, leader della band – che dissociare la biografia dell’autore dall’atto artistico non altera la possibilità di fruire, in tutta la sua potenzialità, il messaggio che da esso deriva, anzi credo sia l’unica cosa rimasta da fare come atto di nuova insurrezione rispetto a quello che ci circonda, così da aiutare l’ascoltatore a individualizzare meglio e a interpretare il messaggio per quello che è oggettivamente.
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