Dopo aver conseguito la maturità classica e il diploma teatrale, segue corsi e seminari di Recitazione Cinematografica in Italia (Metodo Costa e Stanislavskij) e alla New York Film Academy (Metodo Strasberg). Consegue la Laurea Magistrale in Giurisprudenza. Nonostante la giovane età ha alle spalle tournée teatrali con testi classici e teatro sacro. Ha preso parte a fiction televisive e film per il cinema. Ha un forte spirito imprenditoriale, che la porta a costituire “Far from Shallow”, società di organizzazione e produzione di eventi esg di cui è amministratore unico. È producer e volto di Women in Cinema Award, premio internazionale patrocinato dal Ministero della cultura. Appassionata di scrittura, ha pubblicato la silloge “Frammenti rubati al Destino”, il romanzo “Soffi Vitali. Quando il cuore ricomincia a battere” e il saggio-romanzo “Il vino e le rose. L’eterna sfida tra il bene e il male” per Armando Curcio Editore. È stata l’autrice più giovane ad aver presentato un’opera al Salone Internazionale del libro di Torino. Nel dicembre 2021 è di nuovo in libreria con “La legge del cuore”, storia di mafia per Armando Curcio Editore in occasione delle celebrazioni dei trent’anni dalla strage di Capaci con la prefazione del Procuratore Nazionale Antimafia Cafiero De Raho. Tra gli innumerevoli riconoscimenti ricevuti per il suo impegno in campo culturale, l’”Oscar dei Giovani” in Campidoglio, il Premio Eccellenze Italiane in Senato. Questo suo bel romanzo si svolge durante un trentennio e ha come protagonisti le vite di due bambini del Sud: Domenico, nato a Magalo, che raccoglie i pomodori e a cui muoiono la madre e un amico in tenera età, e Vito, nato nel quartiere Zen di Palermo, a cui muore il padre. Vito viene mantenuto agli studi da un boss mafioso. Domenico diventa un magistrato e Vito un commissario di polizia. Si susseguono i colpi di scena. L’opera è ben architettata, ben congegnata e l’autrice sa mescolare sapientemente realtà e fantasia. Queste pagine intense ci ricordano che ognuno può essere ricattato, ognuno ha un punto debole e poi come fa dire ad un personaggio la scrittrice spesso “la vita è stronza”, ovvero si fa ingarbugliata o addirittura rivela il suo lato oscuro. È bene non anticipare il finale, che è a sorpresa. Si può solo scrivere che il boss mafioso vuole che venga onorato il debito da Vito. Il boss, ovvero Don Angelo, vuole un’informazione riservatissima, ovvero vuole sapere la data, l’orario, il tragitto della scorta. C’è bisogno di un libro così in un’Italia in cui il malaffare imperversa, gli imprenditori si adattano (volenti o nolenti), la corruzione diventa la regola e la legalità l’eccezione. Siamo vittime tutti di antichi retaggi? Quali e quanti sono i burattinai? Cantava anni fa De Gregori “legalizzare la mafia sarà la regola del duemila”. Eppure il circo mediatico giudiziario e l’opinione pubblica si occupano d’altro. Sarà forse per il mimetismo dei cosiddetti uomini d’onore? Eppure la guerra esiste tra Stato e antistato. Ci sono uffici bunker dei magistrati e ville bunker dei mafiosi, con tanto di telecamere e picciotti a fare da vedette per controllare tutto e tutti. Leggendo questo bel libro viene da chiedersi se la “mafia è patologia del potere”, come scriveva Giovanni Falcone oppure se è un epifenomeno del capitalismo, come secondo alcuni marxisti. In questo romanzo la Conte rende bene l’idea dei soprusi e delle prevaricazioni esistenti in Italia. Però non si può condannare a prescindere purtroppo. Bisogna anche cercare di capire e mettere in conto “il disagio sociale” presente in Italia di cui parla l’onorevole Chinnici nella prefazione.
Come ben descritto da Claudia Conte i mafiosi hanno le mani in pasta dappertutto o quasi e le loro contraddizioni spesso sono le stesse o simili alle nostre. Sono in prima fila alle processioni. Sono sempre temuti e rispettati. Sono sempre più uomini d’affari. Sono disposti a tutto per la famiglia. Sono ormai degli eroi negativi. Fanno parte di un sistema. I mafiosi sono false identità alla frontiera. Sono il possesso illegale d’armi. Si arricchivano con il cemento depotenziato. Erano la lupara. Oggi possono essere il tritolo. Sono l’intimidazione e l’estorsione. Odiano pentiti e testimoni. Odiano giudici e giornalisti. Hanno prestanome incensurati. Mantengono le famiglie dei carcerati. Risolvono pure le controversie. Gestiscono ospedali e ospizi. Ridono quando vengono arrestati. Comandano anche dalla prigione o latitanti dalle loro tane. Credono ciecamente nei santi, ma anche nel codice cavalleresco. Sono dappertutto. Sono ovunque. La paura chiude occhi e bocche. Le mafie compenetrano lo Stato. Questa è una guerra secolare, ma qui quasi tutti parlano d’altro. Sono pochi i sopravvissuti e molti i morti e gli scomparsi. Ecco in estrema sintesi chi sono i mafiosi, riflettendo su questo romanzo, che è ben scritto, avvincente, leggibile. La tematica trattata è importante, di capitale importanza per l’Italia e suscita nella mente di ogni lettore degli interrogativi incessanti.
Alcuni servitori dello Stato sono costretti a vivere sotto scorta e a spostarsi con auto blindate. Molti sanno e non parlano perché hanno paura di ritorsioni, di rimanere uccisi. Fino a qualche decennio fa molti sostenevano addirittura che la mafia non esistesse. Ma anche dire che tutto è mafia in fin dei conti è puro disfattismo. Nessuno sa come e perché siano nate le mafie. Nessuno sa con certezza se le mafie siano state determinate dalla povertà, dal familismo amorale, dal fatto che ognuno tiene famiglia, dallo scarso civismo oppure no. C’è chi dice che la mafia sia dovuta alla particolare storia del Sud: ad una pessima unità d’Italia, alla repressione del brigantaggio (anche se diversi studiosi tendono ad escluderlo oggi). C’è chi dice che la mafia si respiri come l’aria. C’è chi dice che sia stata causata dalla mancanza di acqua. C’è chi dice che tutto nasca dai gabellotti. C’è chi dice che la mafia nasce dai Beati Paoli, che erano una società esoterica. C’è chi dice che la colpa è dello Stato che è assente e latita. Nessuno sa con certezza. Molti studiosi hanno fatto molteplici ipotesi e dato le più svariate interpretazioni. Una cosa che bisogna tener presente è che i cosiddetti uomini d’onore non sono mostri di malvagità. Non sono assolutamente altro da noi. Non sono un corpo estraneo. Sono assolutamente come noi. Se non teniamo presente ciò non andiamo da nessuna parte. I cosiddetti uomini d’onore hanno solo una mentalità differente, una storia differente e compiono azioni differenti, credono in valori diversi, rispettano regole diverse. Ma sono uomini come noi. Nella loro testa conciliano codice cavalleresco (Osso, Mastrosso, Carcagnosso) e imprenditorialità spregiudicata. Molti hanno un loro codice. Nell’immaginario di alcune persone i mafiosi un tempo difendevano i più deboli e rispettavano le mogli. Molti uomini di onore ancora oggi pregano e hanno fede, nonostante fin dalla tenera età siano stati abituati a trasgredire le leggi dello Stato. Molti appartengono ad una famiglia mafiosa e sono stati affiliati da ragazzini. Per molti di loro è difficile uscire dalla mafia e fare come ha fatto a sue spese Peppino Impastato. Infatti fin dalla tenera età sono stati costretti a credere in certe regole. Fin dalla giovinezza sono costretti a crescere in fretta, ad estorcere denaro, a rapinare, a rubare, a spacciare ed altro. Alcuni diventano mafiosi perché si ritrovano disoccupati. Se ci fosse meno disoccupazione nel Sud saremmo già a più di metà dell’opera! Ma che dire comunque di chi nasce mafioso? Quanto è difficile dire no alla mafia per loro? In fondo vorrebbe significare dire no ad un sistema che ha dato e riesce a dare da mangiare alle loro famiglie. Vorrebbe significare rinnegare tutti i propri famigliari. Pochi riescono a pentirsi. Come fanno a ribellarsi se hanno ricevuto una certa educazione e se appartengono ad un determinato contesto? Alcuni allora compiono azioni illegali e nonostante ciò vorrebbero avere un cuore puro. Vorrebbero cambiare, ma la loro vita procede per inerzia. Dire no alla mafia vorrebbe dire sfuggire ai propri amici che vorrebbero uccidere i pentiti. Con questo non voglio giustificare alcunché. Lo so bene che il vero dramma è quello delle vittime di mafia e dei loro famigliari. Voglio comunque solo cercare di capire. Molti mafiosi sono amorevoli padri di famiglia e premurosi mariti. Se non accettiamo questo non si può capire il consenso sociale di cui godono le mafie. Che cosa può spezzare questa catena? Apparentemente niente sembra efficace. Forse bisogna sperare che domani i mafiosi riescano a riciclare tutto il denaro (pecunia non olet…dicevano gli antichi) e diventino a tutti gli effetti imprenditori, che rifiuteranno di usare i loro antichi metodi? Dobbiamo forse sperare in questo? Sarebbe giusto forse per coloro che sono sempre stati onesti? Forse bisogna considerare l’antropologia e la psicologia, che ci insegnano la debolezza umana, ma dobbiamo considerare a tutti i costi non solo l’essere ma anche il dover essere, ovvero l’etica e la legge. Forse la risposta è più semplice di quella che possiamo immaginare e scaturisce immediata senza starsi a lambiccare il cervello: quasi tutti sappiamo distinguere il bene dal male e quasi tutti possiamo cercare di agire di conseguenza. Forse bisognerebbe cercare dentro di noi semplicemente e partire dalla “legge del cuore” dell’autrice e cercare di approdare alla verità umana. Solo allora si ritroverà il significato della parola eroe.