La peste di Milano del 1630 – Pietro Verri (1728-1797), nell’opera Osservazioni sulla tortura, discute della diffusione della peste nel territorio della città di Milano nel 1630: un’analisi accurata che ritengo interessante sottoporre al pubblico per far comprendere come di fronte alla malattia la saggezza e la razionalità si trasformino in “optional”. Tra l’altro comunico agli interessati (so di essere abbastanza seguito e ringrazio tutti) che il libro è scritto nell’italiano del 1700 e che mi sono divertito a riportare a quello attuale, aggiungendo note esplicative di storia e di costume. Se tra i miei lettori vi fosse un editore disposto a rischiare la faccia, gradirei essere contattato (scusate la pubblicità occulta, ma quando ce vo’ ce vo’).
Dunque stavo dicendo che il Verri, attingendo alle cronache precedenti, scrive: “È opportuno iniziare la ricostruzione di questa calamità da un dispaccio inviato dalla corte di Madrid al governatore dell’epoca. Il messaggio era firmato dal re Filippo IV e rappresentava una cosa assai rara, che destava preoccupazione nell’intera città poiche’ una lettera reale non veniva mandata se non per ragioni gravissime. Il dispaccio avvertiva il governatore di Milano che a Madrid erano stati viste quattro persone portare unguenti per spargere la pestilenza in città … si avvisava il governatore affinche’ vigilasse attentamente anche nel territorio milanese”. Queste comunicazioni sovrane allarmarono la cittadinanza lombarda e contribuirono ad agitare gli animi e indurli a pensare al peggio. Continua l’autore: “È vero che a quei tempi l’ignoranza in materia di fisica era assai profonda ma è mai possibile che nessuno si sia posto il quesito se fosse possibile creare una sostanza che desse luogo alla pestilenza al solo toccarla? E se anche ciò fosse stato possibile, avrebbe un uomo potuto recarla con se senza restare vittima del contagio? Quattro persone si uniscono per un simile viaggio e girano il mondo con le ampolle per diffondere la pestilenza! A quale scopo e per quale utilità? I pochi che vi avranno riflettuto sopra non hanno avuto il coraggio di manifestare le loro ovvie conclusioni: l’autorità di un dispaccio reale e l’opinione popolare costituivano insormontabili ostacoli a chiunque avesse osato proclamare l’assurdità del fatto. Così si diffuse l’idea e il generale sospetto delle unzioni malefiche”.
Si sostiene che la storia sia “maestra di vita” ma non è vero perche’ l’uomo, ripetendosi le situazioni passate, continua a comportarsi nel medesimo modo anche al presente: pensate ai supermercati svuotati dopo Chernobil, alle incette alimentari allorche’ si parla di “mucca pazza”, “influenza suina”, influenza aviaria”. Pensate a quanta gente si scaglia contro i politici, gli scienziati; fa ricorso alla fede, all’astrologia, chiama in causa le dottrine più astruse sull’imminente fine del mondo.
Il Verri, attento al dato storico, denuncia le conseguenze dell’ignoranza: “Dalla Germania la pestilenza entrò liberamente nel territorio milanese attraverso la Valtellina portatavi dalle truppe imperiali che vi transitarono alla volta di Mantova, poco dopo la notizia del dispaccio. Tuttavia l’opinione comune fu piuttosto incline a ritenere con ostinazione che la vociferata pestilenza fosse un artificioso strumento dei nemici per procurarsi un vantaggio invece di porsi all’esame e al chiarimento della situazione. Forse una tale diffidenza costituiva l’effetto di una lunga serie di inganni sofferti a opera del ceto superiore: invano i medici più preparati divulgavano le prove di come realmente si contrae quel male e in che modo si muoia di peste in quanto la plebe li considerava complici di un ulteriore e maligno imbroglio. È rimasto celebre quanto accaduto al dottor Ludovico Settala … venne accerchiato da una tumultuosa plebaglia di uomini, donnette, fanciulli che lo insultò pesantemente, additandolo come il principale responsabile della voce relativa alla presenza di peste in città che la turba esclamava derivare dai peli della sua barba”. E prosegue: “Poiche’ erano in aumento i casi di contagio e quotidianamente si moltiplicava il numero dei decessi, divenne opportuno non nascondere più la verità al popolo e rivelare che purtroppo il male aveva invaso la città … Allora il popolo si lasciò andare a furiose manifestazioni di pazzia collettiva. Nelle pubbliche calamità la debolezza umana è sempre incline a sospettare l’esistenza delle cause più strane, piuttosto che ritenerle effetti naturali delle leggi fisiche. I contadini attribuiscono la grandine alle streghe e non riescono a vederla come un fenomeno meteorologico”. L’autore compara allora questa situazione con quella di Napoli del 1656: “La pestilenza fu addossata agli spagnoli e allo stesso vicere per annientare la popolazione con polveri nocive”; e giungendosi a immaginare l’esistenza di una task force “individui recanti polveri malefiche, che andavano scoperti e sterminati”, ne fecero le spese persone la cui unica colpa era essersi trovate nel posto sbagliato al tempo errato. Conclude il Verri: “Non vi è dunque da meravigliarsi se anche a Milano in mezzo a simile sciagura si sospettasse volgarmente che la causa del flagello trovasse origine nella perfidia umana, che il disordine fosse stato provocato dal dispaccio reale e lo sterminio dalle unzioni malefiche. Opinioni siffatte quanto più sono stravaganti tanto più fanno presa sulla credulità popolare dal momento che un effetto bizzarro non può che avere una analoga causa e si prova grande soddisfazione nel rintracciarne la fonte nella malizia dell’uomo – che si può combattere – anziche’ negli incontrollabili fenomeni fisici che sfuggono alla comune comprensione. Sappiamo poi quale fosse in quel secolo il livello degli studi rivolti unicamente alle espressioni e agli eccessi dell’immaginazione”.
Mentre la pestilenza andava mietendo vittime, le autorità perdevano tempo a disquisire sulle cause invece che cercare i rimedi: “Vi era chi parlava dell’influsso di una cometa di aspetto più truce del solito osservata nel giugno di quell’anno. Vi era chi chiamava in causa gli spiriti infernali e giurava di aver visto con i propri occhi in piazza del Duomo una figura su uno splendido cocchio trainato da sei cavalli bianchi e seguito da un lungo corteo. L’apparizione aveva una fisionomia fosca, occhi fiammeggianti, capelli irsuti e il labbro superiore minaccioso. Sarebbe entrata in una casa zeppa di tesori, larve, demoni e ogni tipo di seduzioni per attrarre gli uomini dalla parte del diavolo. Tra simili follie persino i più stimati cittadini e gli stessi magistrati perdevano il senno. Avrebbero dovuto impartire esatte direttive per circoscrivere l’epidemia disciplinando il popolo, ordinando a ognuno di restare a casa, incaricando un centinaio di uomini affidabili di provvedere al necessario per ciascuna famiglia nei singoli quartieri; e ciò avrebbe costituito l’unico mezzo per impedire il diffondersi del contagio se applicato fin dall’inizio”. Di ciò abbiamo una conferma in Manzoni quando attesta: “Questa previsione… correva sulla bocca di tutti” (Promessi sposi, XXXII). Invece, con distorto senso religioso ci si limitò a organizzare una solenne processione alla quale presero parte tutti i ceti milanesi; cosicche’ trasportando le spoglie di San Carlo per le strade cittadine ed esponendole in Duomo sull’altare maggiore per molti giorni alla devozione della folla il male si sparse nell’intera città: e dal quel momento il numero dei decessi salì fino a novecento al giorno.
Insomma, tutta Milano, preda dell’ignoranza mortale, si abbandonò alle più assurde e atroci manifestazioni di follia: nessun ordine, stranissime le opinioni e, come riferisce il Verri, “i vincoli sociali miseramente dissolti dalla superstizione; un’anarchia distruttrice portò ovunque desolazione cosicche’ i danni più gravi furono provocati dal modo di pensare che non dalla peste in se e per se; si fece ricorso agli astrologi, agli esorcisti, all’inquisizione, alle torture e ogni aspetto dell’esistenza venne sconvolto, oltre che dall’epidemia, dalla superstizione, dal fanatismo e dai saccheggi. La verità però non fu mai conosciuta e centoquarantamila milanesi perirono uccisi dall’ignoranza”.