Rêverie di una vita in terza persona e Il crepuscolo del sogno, entrambi pubblicati dall’Erudita Editore, sono le due opere della scrittrice Costanza Marana.
Costanza, chi legge il primo e il secondo libro troverà dei punti in comune, delle connessioni, oppure sono due opere completamente a sé stanti?
Il primo libro “Rêverie di una vita in terza persona” si fonda sul principio di “formare gli occhi chiudendoli” abbandonandosi a uno stato precosciente, inoltrandosi in un piccolo universo immaginario. Il secondo libro “Il crepuscolo del sogno” segue questo sentiero emotivo e profonde in luoghi dell’anima, onirici e nella bellezza nascosta del creato. La narrazione traccia l’impronta di una vita, concepita nella sua realtà e nel suo universo simbolico. Le piccole malie del quotidiano, le fantasticherie, l’amore, l’assenza, l’ignoto e l’invisibile.
Quando scrivi, quanto troviamo di te caratterialmente e della tua formazione?
Quando scrivo non sono consapevole e trasferisco senza filtro ogni mia percezione e sensazione. E condivido anche il mio credo nella bellezza, nell’infinito e nella memoria. Il passato è stato la mia materia di studio poiché sono laureata in storia e credo profondamente nel continuum che caratterizza la commedia umana.
E del tuo nome Costanza e del suo significato troviamo traccia?
Sì, il mio credo è costante e non cede ai compromessi del contemporaneo e della retorica commerciale. Io credo nella ricerca della bellezza con costanza. Credo che la nostra epoca abbia bisogno di un rifugio nella bellezza. L’arte è eterna ed eternabile e non ammette compromessi, solo costanza, abnegazione e ardore.
Veniamo al tuo secondo libro, Il crepuscolo del sogno. Scrivi che le relazioni umane sono terreno di compromessi, umiliazioni ed esasperazioni. Il possesso in tutte le sue forme getta i semi della discordia. L’uomo per sua natura è possessivo. Pensa gli appartengano gli alberi, le strade, le pietre, i fiumi, ogni cosa. Ragiona in base al principio della proprietà. Credi che guerre, disattenzione per l’ambiente, conflitti, infelicità trovino spiegazione in questo fondamento?
Sì, io non ho una concezione retorica dell’essere umano. L’essere umano è mutevole, egoista e desidera strenuamente. Il conflitto fa parte dell’uomo poiché fa parte della storia. È un dato di fatto. La civiltà e l’educazione dovrebbero contenere questo spirito, anche se non riescono ad eliminarlo, sicuramente possono addolcirlo e temperarlo. E proprio le arti e la bellezza rendono l’uomo migliore. Per questo il ruolo della cultura nella nostra società dovrebbe essere basilare. La bellezza lenisce l’infelicità, l’insoddisfazione e il dolore. L’animo prende fiato da un respiro che è universale.
L’essere femminino e la carica corruttrice dell’animo umano: cosa dice il registro biblico, che menzioni in una pagina, in merito?
Mentre il personaggio principale, Aurelian, si interroga sulle sue pulsioni sentimentali, inizia un piccolo excursus sulla figura della donna considerata come il simbolo della seduzione nel senso letterale di “condurre, trarre”. Adamo venne condotto fuori dal registro dottrinale seguendo Eva. Entrambi vengono condannati alla cacciata del Paradiso, deambulando in preda al libero arbitrio.
Infine, attraverso i tuoi personaggi come affronti i concetti del sacro e del profano?
La coincidenza degli opposti. Non esiste il grottesco senza la meraviglia, non esiste il pudore, senza la voluttà, non esiste il Bene senza il Male. Nell’ordinarietà della vita il binomio sacro-profano è una costante. Dalla monotonia del quotidiano che affonda nel pragmatismo più bieco a volte, all’elevazione che contempla quell’attimo in cui si sente la bellezza del cielo, come avvolti da una leggera coltre che ci solleva l’animo e sospende il tempo.