Ci sono coloro che vogliono vivere hic et nunc, qui e ora. E ci sono coloro che ripetono che la vita è altrove, come nel celebre romanzo di Milan Kundera e come in un famoso slogan giovanile degli anni Settanta. Altrove! Ma dove? In un altro luogo? In un altro tempo? In una dimensione ultraterrena? C’è chi rimane troppo ancorato ai ricordi; c’è chi aspetta il futuro e rimanda tutto a domani. La vita è altrove? Queste persone sono insoddisfatte del presente e scelgono un’altra dimensione temporale. Capita a tutti di sfuggire al presente, perché ritenuto frustrante, demotivante, pieno di guai e delusioni. C’è chi si immagina di vivere in un altro luogo, in un’altra città, in un’altra nazione. Allora sorge spontanea la domanda metafisica: chi sarei stato se fossi vissuto in un’altra parte del mondo? Guccini ha scritto la bella canzone “Argentina” su questo. Ma non esiste risposta. È solo una fantasia. Nient’altro. E poi perché non pensare a quanto si è stati fortunati a non nascere nel terzo mondo? Perché alcuni non si immaginano cosa sarebbe successo se fossero nati in Africa? C’è chi da giovane si innamora della ragazza intravista sul treno del binario parallelo. C’è chi sospira su ciò che poteva essere e non è stato. La vita è altrove? Ma la fantasia non deve prendere il sopravvento. Ci vuole sempre un sano esame di realtà. Un tempo ormai remoto le persone vivevano altre vite, insoddisfatte della propria, con i libri. Umberto Eco scriveva: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Però alcuni sono e non sono, vivono e non vivono, sono presenti fisicamente ma assenti mentalmente: insomma si estraniano dalla vita. Chiamatela coscienza dislocata, schizofrenia della normalità o come volete. È sempre successo. Fa parte della natura umana. Lacan scriveva: “Penso dove non sono, dunque sono dove non penso”. La vita è altrove? A ogni modo se un tempo erano temi fondamentali quello dell’assenza della persona amata, della patria, dei diritti, del lavoro, oggi diviene rilevante il tema dell’assenza di sé. Ci sono sempre state persone che pensavano ad altro e non erano immerse nel presente. Con i social questo fenomeno è aumentato. Quanti sono a cena con gli amici e stanno a guardare il telefonino? Significa essere vittime inconsapevoli del proprio tempo, delle sue mode, delle sue tare psicologiche. Significa essere assenti nel reale ed essere presenti nel virtuale, attribuendo la priorità a quest’ultimo. È il cosiddetto disturbo del phubbing, talmente comune da non considerarsi neanche più tra le dipendenze psicologiche. Al di là della patologia o meno si noti la confusione mentale e il disordine esistenziale di questo fenomeno. Che cosa sta a significare? Che ci si assenta dalla realtà perché non va bene, perché gli amici veri non sono granché e la vita vera fa schifo. Il virtuale quindi diventa un rifugio, una compensazione. Sempre più persone cercano di cogliere l’attimo nel virtuale, incapaci di farlo nel reale. E il virtuale è il surrogato della vita, ma è anche continuazione del reale, è esso stesso in certo qual modo reale, perché interagisce continuamente con la nostra quotidianità. Un tempo le persone si drogavano per evadere dalla realtà. Oggi nel 2024 abbiamo un’altra via di fuga: il virtuale, che è a tutti gli effetti un’altra realtà. Nel virtuale possiamo conoscere persone lontanissime geograficamente e con i nostri stessi interessi. La vita virtuale ci rincuora, ci consola, ci gratifica alcune volte. Ci dà addirittura quello che la vera vita non ci dà. Conoscete la teoria dei gradi di separazione, che descrive le relazioni su Internet? Ecco perché su Internet il mondo si è fatto piccolo ed ecco perché fuggiamo dalla noia del nostro piccolo mondo di provincia ad esempio. Da una parte ci sono i confini di un mondo troppo angusto e dall’altra un mondo sconfinato, l’immensa prateria del web. Il virtuale sembra darci più opportunità e più libertà della realtà concreta, così povera di stimoli al confronto. Il web in alcuni casi diventa un riscatto, una rivalsa rispetto alla realtà. E poi cosa volete? Esiste anche un’interazione continua ormai tra reale e virtuale: non sono più due dimensioni parallele. Nessuno sa con esattezza cosa sono e dove sono il qui, l’ora, l’altrove! Ma ci vuole coraggio per vivere qui e ora invece che vivere in un non luogo! La realtà va saputa accettare e non si deve cedere alle false promesse e lusinghe del web. È sempre meglio non dedicare a Internet più di 1 o 2 ore al giorno, perché i social distraggono e sono un palliativo; inoltre la realtà va guardata in faccia e il virtuale non è vera vita, anche se le assomiglia: è pur sempre una costruzione psichica e mentale, è pur sempre vita artefatta e immaginata. Veramente la vita è altrove?