Quando la scrittura diventa una terapia o uno sfogo, dando ampio respiro ad una delle migliori forme di libertà della mente, senza nessuno schema a incatenare le parole e i pensieri, nascono “Labirinti proibiti”, i versi raccolti nell’opera scritta dal giovane Manuel D’Italia e pubblicata da Aletti editore nella collana “I Diamanti della Poesia”. «Labirinti proibiti – racconta l’autore, nato nel 1991 a Tradate (in provincia di Varese) – nasce dall’idea e dalla necessità di trovare un titolo che legasse gli svariati argomenti presenti nel libro e, soprattutto, dal fatto che sia il titolo delle prime poesie inviate per il concorso dell’Aletti. L’idea, invece, deriva dal desiderio di condivisione dei miei pensieri con un pubblico più ampio; è una raccolta che vede molte fasi della mia vita, che vanno dai 17 ai 30 anni circa». Le liriche, caratterizzate da ossimori, similitudini e metafore, sono un inno alla bellezza della vita, allo stupore e alla meraviglia, anche quando il dolore e le difficoltà sembrano annientarla, in un mondo fondato sulla concordia e il bene comune, e non su egoismo e prepotenza. Molteplici, infatti, sono le tematiche affrontate e non necessariamente legate da un nesso causale. Si va dall’amore e dalle sofferenze o gioie che ne derivano. Fino alla descrizione di sensazioni di libertà nella vita frenetica di tutti i giorni, oppure la sperimentazione di racconti poetici totalmente inventati.
«Lo scrittore Manuel D’Italia – scrive, nella Prefazione, Hafez Haidar, candidato più volte al Premio Nobel per la Letteratura, la cui traduzione del famoso libro “Le mille e una notte” è diventato un best seller – partendo dalla consapevolezza che il sentiero dell’esistenza sia troppo breve e il tempo corra veloce come un fulmine in un cielo sereno, ci invita a vivere con intensità ogni momento e a considerare la vita un dono prezioso da custodire gelosamente. Ci incita inoltre a spalancare le palpebre senza timore e a stupirci di ciò che ci circonda, affidandoci completamente al nostro cuore, che ha la sua intelligenza ed ha occhi invisibili, oltre ad essere incauto e mai banale, perennemente fedele e sincero, sorgente di vita e d’amore».
Nella scrittura di Manuel si intrecciano realtà, ricerca filosofica e fantasia. Riflessioni sulla realtà circostante si trasformano, infatti, in sagge e approfondite riflessioni filosofiche, che consentono di cogliere l’esistenza e l’essenza della libertà. «Credo che questo rapporto derivi dal bisogno di trovare spiegazioni a ciò che si prova, tentando di teorizzare ciò che si percepisce nella vita di tutti i giorni. L’autobiografico è un percorso che tante volte è alla base di gran parte della mia produzione. Poi, chiaramente, anche la fantasia, molte volte, la fa da padrona mentre scrivo e lascio scorrere il flusso delle idee. Penso che sia così, una commistione tra vissuto e fantasia, che s’intrecciano indissolubilmente».
L’autore, appassionato anche di cucina, animali, arte e disegno, inizia ad accostarsi alla letteratura in tenera età, soprattutto all’epica e ai racconti mitologici greci. Il suo percorso di scrittura comincia a sedici anni, ispirato dai sonetti in rima studiati a scuola, che presto soppianta per una scrittura libera e senza schemi. Il vero input gli arriva, però, dalle poesie del poeta cileno Pablo Neruda, che lo condizionano molto in alcuni dei suoi scritti. Ma qual è il mondo ideale, un mondo nuovo, per il giovane Manuel, che utilizza la penna come strumento di cambiamento e libertà? «In realtà ho molta poca fiducia nel mondo di oggi, purtroppo. Vorrei che non fosse così, però vedo troppe brutture tutti i giorni, anche semplicemente guardando le notizie. Nel nuovo mondo dovrebbe esserci una rifondazione più totale, quasi un reset, gettando, poi, le basi su qualcosa di sano. Partendo dall’eliminare la sete di potere, fino quasi al ritorno del “buon selvaggio” come diceva Rousseau, ossia un mito basato sulla convinzione che l’uomo in origine fosse un “animale” buono e pacifico e che solo successivamente, corrotto dalla società e dal progresso, diventasse malvagio. Forse sta lì l’essenza, tornare ad uno stile di vita che come base abbia la natura e la semplicità dei rapporti tra le persone». Infine, l’invito ai lettori della sua silloge «di porsi a mente spenta e aperta». «Vorrei trasmettere stupore ed originalità. Mi piacerebbe che il lettore, in qualche modo, si potesse identificare in alcune delle mie poesie».
Federica Grisolia