Lunatici ed epilettici – Qualche giorno fa, cercando un libro su Riccardo Cuor di Leone del quale avevo in mente di tratteggiarvi i profili meno noti, mi è rovinosamente precipitato in testa un tomo altomedievale dal titolo Causae et curae, composto da santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), relativo all’epilessia. Dolorante per la botta e preso da un inarrestabile tremolio, ho colto il segno del destino e messa da parte la figura dello pseudo-eroe della Normandia. Il volume è una delle più elevate dimostrazioni in materia di sintesi tra l’empirismo razionale dell’arte medica di Ippocrate e l’irrazionalismo cristiano. In esso si distinguono due tipologie di attacchi epilettici: uno connesso alla rabbia che rimescola il sangue e provoca il salire al cervello di umori misti a fumo, il secondo concernente gli individui moralmente instabili. Costoro cadono in deliquio, mantenendo però un aspetto gradevole che consente una più pronta guarigione. Fin qui il semplice frutto di una elementare conoscenza dell’anatomia, legata al livello della scienza medica del periodo: che, tuttavia, mi induce a domandarmi per quali meriti la nostra Ildegarda sia stata elevata agli onori dell’altare. Ed ecco che entra in agone la metafisica: allorché l’organismo dell’epilettico è sufficientemente indebolito, il Maligno può muovere il suo attacco all’anima.
Già un clinico di fine sec. XIX avrebbe parlato di “immunodeficienza” ma nel Medioevo cristiano l’interesse dei ricercatori si indirizzava alla scoperta della porta del paradiso, non a quella del laboratorio di analisi: ne scaturì dunque un principio tenuto in alta considerazione nell’intera letteratura demonologica ovvero che la possessione diabolica venisse incoraggiata da cause etiche o fisiologiche. Non a caso, nel Canto XXIV dell’Inferno, ai vv. 112-113, Dante pronuncia un concetto rimasto per secoli oscuro anche per i suoi più dotti esegeti: “E qual è quel che cade e non sa como,/per forza di demon ch’a terra tira”. Il Diavolo cioè opera sulla vittima predisposta all’assalto mediante il soffio della suggestione.
L’indagine mi è parsa degna di approfondimento e il pensiero è corso alle Etimologiarum di Isidoro di Siviglia (sec. VII) che, per indicare il malato di epilessia, adopera il vocabolo “lunaticus” (IV, 7,5). Esso è ripreso dalla tradizione risalente allo scrittore cristiano del sec. IV Firmico Materno e definisce chi soffre di convulsioni e improvvisi quanto inspiegabili mutamenti umorali. Tale descrizione è transitata nella successiva tradizione astrologica e cristiana di un anonimo autore del sec. XIV, conosciuto come Ermenippus, secondo cui il temperamento freddo della Luna rispecchia quello della testa umana e si trova all’origine delle cefalee e delle sindromi epilettiche: risulta evidente il parallelismo con i ritmi ciclici lunari nonché, sulla scorta delle tesi di Platone, la coincidenza tra il macrocosmo planetario e il microcosmo della natura dell’uomo.
Ma tutto ciò costituisce soltanto una blanda introduzione a un discorso assai più complesso e ricco di idee, simboli e significati di cui vi parlerò prossimamente: intanto vado a cambiare la borsa di ghiaccio applicata sul ficozzo spuntatomi sulla scatola cranica a seguito del violento scontro tra essa e l’opera di santa Ildegarda di Bingen.