Metti una sera a cena a Cevoli con Lele…

Io e Lele dobbiamo uscire di sera. Dobbiamo festeggiare il mio compleanno con qualche giorno di ritardo.

D’altronde lui era in montagna con la famiglia prima. Ho deciso che andremo a Cevoli davanti alla Conad, alla pizzeria Der Kama. Ho già mangiato lì con mio padre. Abbiamo speso poco.

La pizza è buona, leggera, digeribilissima. Ottimo rapporto qualità-prezzo. Ci troviamo alle 19:15, ma deve fare spesa per moglie e figli alla Coop.

Deve comprare solo latte, acqua, un poco di cibo. E fin qui tutto tranquillo e niente di strano…fa due chiacchere con la cassiera a cui si è allagata proprio per le ferie una sua casa che ha vicino a un lago, un piccolo lago di cui non mi ricordo e di cui non sospettavo neanche l’esistenza.

Paghiamo, ci congediamo e mettiamo tutto nella bauliera. Accende la macchina, che parte subito senza problemi e fin qui tutto tranquillo, niente di strano. Andiamo a casa sua.

Mettiamo la spesa nell’ascensore, che è nuovo. I suoi figli ci aiutano. Saliamo in macchina, che parte subito e fin qui tutto tranquillo e niente di strano. Mette il navigatore.

Il posto dista un quarto d’ora con la macchina. Ho già controllato su internet che è aperto e ho visto che il turno di chiusura è mercoledì. Accende la radio.

Sentiamo la musica, però in sottofondo perché parliamo tra di noi. Troviamo un posto nel parcheggio della Conad, che sta per chiudere. Il parcheggio della pizzeria è già tutto occupato.

Sono le 20. Gli dico che da presto si è fatto tardi. A quel punto vuole fare una manovra, spostare la macchina e nel display compare la scritta “chiave non inserita”.

Cerchiamo le chiavi dappertutto. Guardiamo nei paraggi. Guardiamo anche sotto la macchina. Guardiamo dentro la macchina. Perlustriamo la bauliera, in cui ha accatastato diverse cose alla rinfusa, essendo un rappresentante. Ma non troviamo le chiavi. Inizia a sudare freddo.

Chiama al telefono i suoi figli. Dice loro di guardare davanti casa, nell’ingresso e nell’ascensore. Dopo un quarto d’ora lo richiamano e gli dicono che delle chiavi non c’è traccia. In lui cova una mistura di rabbia, desolazione, umore nero, sconcerto. Fa una ricerca su Google e vede che rifare le chiavi costa più di 200 euro. Ha le chiavi di scorta a casa, ma non può fare solo con quelle perché se le perde di nuovo si trova senza macchina.

Andiamo a mangiare. Chiedo se c’è posto per due. Ci mettiamo fuori. C’è gente. Ci apparecchiano.

Ordiniamo due pizze e l’acqua gassata. Ci mettiamo a parlare dei nostri problemi, di come gli sono andate le vacanze, del caldo torrido che fa, di quanto aspettiamo l’autunno. Poi ci mettiamo a parlare di poesia e del fatto che i bestseller siano scaduti, perché gli dico io un tempo anche i libri di Cassola e di Umberto Eco erano bestseller.

Parliamo di Evan e Arminio. Gli dico la mia. Gli dico che la Merini e Zeichen erano grandi poeti e fecero la fame per tutta la vita, mentre oggi gli influencer si arricchiscono, facendo milioni di euro.  Ma in fondo va bene così.

Io mi accaloro, mi infervoro, mentre sostengo queste cose e me ne accorgo solo all’ultimo che ho alzato troppo la mia voce baritonale, sgraziata (mi si passi questo termine). Io bevo un caffè. Lui mangia un tartufo della Menne.

Pago il conto al banco del bar perché io sono il festeggiato. Facciamo quattro chiacchiere con i titolari e la cameriera.

Ci catapultiamo fuori. Bella mangiata! Il problema ora è come ritornare a casa e quando. Siamo a circa quindici km da casa. Allora telefona di nuovo ai figli.

Il primogenito è all’estero. Trova l’accordo. Probabilmente verrà il figlio che lavora a Lucca. Però stacca alle 22 e mezzo. Sono le 20:40. Prima delle ventitré non verrà nessuno. Io non posso chiamare mio padre. Lele non può lasciare lì la sua macchina per tutta la notte incustodita in quel parcheggio ormai deserto e senza sorveglianza né telecamere.

Bisogna che venga un suo figlio e che gli porti le chiavi di scorta. Ma al momento nessuno dei 4 figli può venire.

Non ci resta che aspettare. E dire che avevo intenzione di finire la serata seduto a un tavolino del solito bar di Pontedera.

In quella zona commerciale a Cevoli tutte le attività sono chiuse. C’è solo la pizzeria aperta. Fa un altro tentativo. Cerca di mettere in moto. Di nuovo “chiave non inserita”.

Riguardiamo di nuovo e da capo in macchina e nelle vicinanze. Lui non sa dove ha perso le chiavi. A un certo punto si rassegna totalmente. Andiamo a camminare.

Facciamo il giro della Conad. Camminiamo verso un bar che dista cinque minuti a piedi e poi, una volta arrivati, lo troviamo chiuso.

Andiamo dietro il parcheggio a sederci su una panchina. È caldissimo. Almeno a Pontedera tira sempre un poco di vento dopocena per frescheggiare. Invece lì il vento non c’è perché non siamo proprio nel borgo medievale di Cevoli, ma nella piana sottostante. Lì non arriva il vento.

Siamo in via del Commercio, un lungo rettilineo che da Ponsacco porta a Casciana Terme. Nel paese di Cevoli a onor del vero non ci sono mai stato, ma so che c’è del turismo culturale in quanto ci sono palazzi, ville, chiese di valore artistico. Passano poche macchine. Regna il mortorio.

Il parcheggio della Conad è triste senza nessuno. Poco distante c’è un benzinaio e qualcuno si ferma a fare rifornimento. Da una casa vicina si sente un vociare indistinto e l’eco delle risate.

C’è una sposina giovane con il figlio che buttano dei vetri nella pattumiera. Poi se ne vanno. Non passa più nessuno. Tutto tace. La pizzeria è lontana. C’è nell’aria un silenzio che sembra non essere scalfito da niente e nessuno.

Ho fatto la doccia alle sei del pomeriggio e sono già in un bagno di sudore. Ci mettiamo a parlare di donne, della nostra età, di com’è fatta la mentalità comune a Pontedera, di vecchi amici e conoscenti, di come va il mondo.

Su quella panchina iniziamo un discorso serio. Poi ognuno inizia a lamentarsi per le occasioni sprecate, per le rose non colte. Quindi riprendiamo il filo del discorso dopo che io ho raccontato due o tre aneddoti sul mio passato in Veneto. Gli dico che ormai sono giorni lontani, ormai restano solo ricordi sbiaditi di amici e ragazze, avventure, sfighe e scorribande. Parliamo dei nostri errori e ognuno fa pubblica ammenda.

Parliamo di quegli errori che nessuno dei due menzionerebbe a un prete, perché in fondo io so tutto di lui e viceversa. Lui mi parla del lavoro, dello stress, dei figli.

Io gli parlo della mia solitudine. Io gli dico che passo gran parte del mio tempo in solitudine. Lui mi risponde “beata solitudine”. Però poi gli ricordo che gli danno noia certe domeniche vuote che lui passa da solo e gli faccio presente che la mia vita è sempre così, come quelle sue domeniche vuote, senza senso.

Lui allora controbatte che io potrei cambiare la mia vita. Io gli ricordo che anche lui potrebbe cambiare la sua vita, che ognuno, come un vecchio detto, è bravo col cubo di Rubik degli altri. In realtà io realisticamente non posso cambiare la mia vita, che ha preso quei binari, così come lui realisticamente non può cambiare la sua vita. È troppo tardi per compiere rivoluzioni copernicane e poi chi l’ha detto che si deve andare di bene in meglio quando molto spesso si va di male in peggio, come ci ricordano tutti i grandi pessimisti? Sono le 23 e la pizzeria sta chiudendo.

Si spengono le luci. I padroni e i dipendenti prendono tutti le macchine. Noi restiamo ancora lì ad aspettare.

Lele telefona a un figlio. Gli invia la posizione. Alle 23:15 arriva il suo figlio più giovane. Ci salutiamo. I soliti convenevoli. Finalmente dà “chiave inserita”. Ripartiamo. Suo figlio ci viene dietro con la sua macchina, poi prosegue per casa.

Lele e io ritorniamo al parcheggio della Coop di Pontedera. Scendo dove aveva posteggiato la macchina prima di cena. Mi illumina l’asfalto con i fari. Niente da fare. Le chiavi non ci sono.

Mi porta a casa. Gli dico: “mi dispiace molto per quello che è successo, ma abbiamo ammazzato il tempo facendo discorsi seri e parlando con il cuore in mano”. Lui annuisce, anche se mi confessa che è molto preoccupato.

Alzo gli occhi al cielo che è libero, pulito, stellato. Fisso per qualche istante la luna e il suo chiarore. Ci salutiamo. Ho già digerito la pizza.

Manca venti a mezzanotte. Saluto i miei genitori. Mi vado a fare una doccia. Mi metto sul letto e mi addormento.

Stamani telefono a Lele. Gli chiedo se ha trovato le chiavi e lui mi risponde che dopo estenuanti ricerche le ho trovate: erano in quell’ammasso di roba nella bauliera.

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