Miei amati nipoti ….. ovvero Papi nepotisti – parte seconda
“Sappi ch’i’ fu vestito del gran manto;
e veramente fui figliol dell’orsa,
cupido sì per avanzar gli orsatti,
che su l’avere e qui me misi in borsa” (Inf., XIX, 60-64).
Con queste scarne parole a Dante si presenta Niccolò III, condannato al supplizio eterno per il nepotismo esasperato. E poco oltre, l’Alighieri si imbatte in Bonifacio VIII e Clemente V. Posto che, come in precedenza chiarito, il favorire amici e parenti all’epoca non significava simonia o corruzione, vi deve essere qualcosa di altro per giustificare la dannazione di quei personaggi.
Iniziamo da Niccolò III, al secolo Giovanni Gaetano. Pontefice dal 1277 al 1280, apparteneva alla nobile famiglia romana Orsini al pari di Celestino III, che sedette sulla Cattedra dal 1191 al 1198. Quest’ultimo era il responsabile dell’ascesa del casato, con la concessione al nipote Orso Boveschi di tre castelli, equivalenti ciascuno a un piccolo feudo e dotati del diritto di imporre tasse sugli abitanti. Forte della posizione acquisita, Orso e i suoi diretti discendenti fondarono un autonomo nucleo familiare, dapprima denominato “dei figli di Orso” e quindi Orsini.
Il nuovo pontefice seguì perfettamente le orme del predecessore: presi gli ordini giovanissimo e ricevuta la porpora cardinalizia nel 1234 appena ventiquattrenne, condusse una vita sana e morigerata. Giovanni Villani lo descrive difatti nel seguente modo: “mentre fu giovane chierico e poi cardinale fu onestissimo e di buona virtù”, aggiungendo che “dicesi ch’era di suo corpo vergine”.
Al contrario, una volta eletto papa si fece soggiogare da “lo caldo de’ suoi consorti” i quali, ricchissimi già prima di lui, videro il proprio patrimonio accrescersi in maniera esponenziale durante i tre anni di pontificato, ottenendo in concessione persino Castel Sant’Angelo. Lo storico edificio venne trasformato in un autentico fortilizio residenziale nonché collegato al Vaticano tramite l’edificazione di un Passetto sopraelevato.
Tutti i membri del casato furono quindi chiamati a ricoprire prestigiosi ruoli nell’amministrazione dello Stato della Chiesa ed ogni prete della famiglia insignito di molteplici e generose rendite economiche.
Si racconta persino che a chiunque si recasse nella Curia Romana per avanzare qualsivoglia richiesta fosse “suggerito” di lasciare una cospicua donazione a vantaggio degli “orsatti”.
Non finisce qui, dal momento che quando Orso mise gli avidi occhi su alcuni castelli del viterbese, il potentissimo zio lo nominò immediatamente capitano dell’esercito pontificio e potestà di Viterbo: l’occupazione degli agognati manieri divenne pertanto cosa fatta. Tuttavia, il castello di Soriano oppose strenua resistenza all’impavido conquistatore e allora Niccolò III scaricò sulla testa dei proprietari una solenne scomunica, seguita dall’ordine impartito al fedele nipote di espugnare quel covo di pericolosi eretici. Lo sconcerto che si diffuse in Italia fu unanime, ma non distolse il Santo Padre dalla volontà di stabilire a Soriano la propria residenza preferita e di edificarvi una nuova, impenetrabile fortezza dove morì nel 1280.
A dar credito poi ad alcune fonti minori, il Pontefice avrebbe coltivato l’ambizioso disegno di impadronirsi dei diritti imperiali sulla nostra Penisola, così da costituire in Toscana ed in Lombardia due regni da sottomettere alla sovranità dei suoi nipoti.
Può bastare per ora, vi sento già troppo furenti per l’indignazione. Aspettate con trepidazione perché nel prossimo numero mi permetterò di illustrarvi le gesta di un altro “fenomeno” di quei tempi, Benedetto Caetani, asceso al Soglio petrino con il nome di Bonifacio VIII.