Cerca l’ancora del passato, la trova e la elabora a modo suo. In fondo si tratta anche questa di emancipare se stessi. Il futuro per la giovanissima Miriam è un suono digitale ma anche in cerca di personalità… nonostante, come detto, che la sua canzone d’autore arrivi dritta dai tempi dei grandi maestri. E lo si vede anche nel come sceglie le parole, nel come incastra queste dentro metriche non sempre banalmente quadrate. “A squarciagola” poi, come dice il titolo e senza mostrare rabbia e impeto, è un manifesto di se…
“A squarciagola”: oggi c’è bisogno di urlare?
No, non credo serva urlare; piuttosto ho sempre ritenuto una delle forme più belle di espressione di sé e di ciò che si sente il cantare a squarciagola. Quando una canzone ci entra dentro al punto da creare una voragine in noi, significa che sta cambiando ciò che sentiamo e abbiamo dentro. Io studio psicologia, studio l’arte del portare fuori ciò che si conserva dentro di sé, e questa capacità della musica di darci voce è quella che mi ha sempre più affascinata. Quando canto a squarciagola un pezzo che mi diverte, uno che mi fa piangere, uno che mi solleva dieci piedi da terra, in ognuno di questi casi cantare con tutta me stessa mi trasforma. La musica trasforma continuamente e dà forma a ciò che abbiamo intorno, quindi ben vengano i concerti cantati a squarciagola. Quando da sotto il palco la voce del pubblico è così forte da sovrastarti. Quando sei tu sotto a un palco a cantare al cielo tutto ciò che hai dentro.
Che legame hai col passato? Sicuramente tutti siamo legati a molte canzoni dei cantautori… ma se ti chiedessi perché? Che risposta mi daresti? A questa domanda vorrei darti due risposte differenti.
La prima è quella più tecnica: io credo fermamente che la musica “passata” sia musica che ha sempre avuto il potere di non passare mai. La musica segue le mode, racconta dei momenti e trasforma le melodie attraverso le parole in fotografie. È normale che rispecchi una società e che quindi vari nel tempo. Nonostante questo, credo ci sia della musica che sia senza tempo e per questo un “cult”. Quando ascolto nuova musica, mi chiedo sempre “Lei avrà quel potere di fermare il tempo?”. Per questo, per me, la musica “passata” in realtà è sempre attuale. Una canzone di De Andrè, seppur raccontando una storia diversa, riecheggia ancora tra i vicoli di Genova, e quella città, così cambiata da quando lui ne raccontava le storie, sembra tutto d’un tratto fermarsi e tornare indietro nel tempo. La seconda risposta è che credo di essere un’inguaribile sentimentalista. Amo tanta musica e lascio sempre che questa mi tocchi a fondo. Nonostante questo, però, tutto il cantautorato che spazia da De Andrè fino a qualche decennio fa, come Fabi o Bersani, riesce sempre a toccare delle corde in me che difficilmente riesce a fare altra musica. Il mio legame con il passato credo sia determinato da un amore incondizionato per quella musica ascoltata, vissuta, consumata.
Un EP che nasce da una perdita. Secondo te, per la rinascita, che tipo di emancipazione dobbiamo fare del dolore?
Io credo che per rinascere, più che emanciparsi dal dolore, sia necessario accoglierlo. Per tanto tempo “squarciagola” è stato un brano che era dentro di me, ed io, convinta di dovermene liberare, non riuscivo a metterlo su carta. Credo che questo EP mi abbia insegnato più di ogni altra cosa come si possa crescere e trasformarsi partendo dalla sofferenza. Quando scappiamo da qualcosa, finiamo per correre senza più una meta e senza più energie. Io ho imparato a portare il vuoto che sentivo con me sul palco e a riempirlo con l’energia che provavo ogni volta che la voce del pubblico si univa alla mia cantando a squarciagola. Se solo imparassimo ad avere cura delle nostre ferite, avremmo meno paura di guardarle, e osservandoci potremmo scoprire qualcosa di noi che niente al mondo più del dolore può tirare fuori. Questo EP e tutta la musica che sta plasmando il mio mondo in questo anno e mezzo è il frutto di questa scoperta. Non ho neanche più paura dei miei sogni: sono parte di me ed insieme arriveremo lontano.
E il suono di questo disco come parla di tutto questo?
Il suono di questo disco parla di questa voglia di scoperta, priva della paura di sbagliare. Non c’è più giusto e sbagliato, c’è la musica che ha dato un nuovo vestito a pezzi molto vecchi e nuove sonorità che hanno invece accompagnato i nuovi pezzi nati. Un indie elettronico che l’unica richiesta che si fa è quella di divertirsi. Mi sono divertita in studio, mi sono divertita a cercare i suoni (anche se ascoltare cento volte la stessa frase al pianoforte con mille suoni diversi è la parte più faticosa da fare in studio, diciamolo…), mi diverto quando salgo su un palco a cantare! Insomma, questi suoni sono la nuova me, quella senza paura e con la sola voglia di consumare le proprie risa e il proprio stare bene, un passo alla volta, un suono elettronico alla volta.
Ed è farina del tuo sacco o ci hai lavorato con qualcuno? E in che modo? Te lo chiedo perché ha l’aria di un lavoro decisamente corale… e completo…
Ogni brano è scritto e composto da me, mentre l’arrangiamento è nato in studio con il mio produttore e la mia manager. La ricerca di suoni, le mille registrazioni di strumenti e voce, i fraseggi e le percussioni improvvisate con la voce… insomma, ogni cosa è stata un momento magico vissuto coralmente e non potrei esserne più fiera!