Una figura per molti versi trascurata, quella di Elena Canino, giornalista e scrittrice nata nel 1898 e scomparsa prematuramente nel 1957.
Il lavoro del padre la portò a vivere e a studiare in diverse città d’Italia tra cui Roma, Genova (dove si lega alla famiglia Ansaldo), Spoleto, Napoli dove terminò gli studi universitari e dove conobbe l’uomo che sposerà nel 1924, l’architetto Marcello Canino che spesso viene indicato come il professore, mentre a lei verrà riservato l’appellativo di allobroga, a voler sottolineare, con garbo e con ironia, la sua estraneità –geografica e quindi culturale- al mondo della città partenopea.
Infatti, la Canino scriverà alla famiglia che i primi mesi di matrimonio furono poco appaganti per lei, costretta dal suo ruolo sociale a saltabellare tra sarta, modista e circolo per lunghe partite a carte tra signore dello stesso rango. Perciò si risolse a imparare l’inglese durante le vacanze estive trascorse a Capri, periodo in cui venne a contatto con l’ambiente isolano degli anni Trenta: poeti, pittori, scrittori e questo le diede la stura per iniziare a tradurre romanzi dalla letteratura straniera. Il più delle volte si trattò di autori osteggiati dal Regime ma il viaggio tra le pagine di un mondo che non aveva mai visto le tornerà utile nella sua attività di giornalista e di inviata dall’Estero.
Durante quegli anni iniziò a tenere un diario che sarebbe diventato il suo unico romanzo ( “Clotilde tra due guerre”), ampliato a Sorrento durante il periodo dello sfollamento cui i napoletani vennero costretti a causa dei massicci bombardamenti dai quali la città uscì devastata alla fine del secondo conflitto mondiale. Conosciuta principalmente per questo romanzo di formazione e per il manuale de “La vera signora, guida pratica di belle maniere”, Elena Canino ha, invece, scritto pezzi interessanti come giornalista per Il Borghese, il settimanale nato dopo la guerra dalle ceneri di Omnibus.
Raccolti ed editi, questi articoli vennero pubblicati postumi da Longanesi nel 1970, la Stamperia del Valentino li ha riproposti nel 2005 con il titolo di “Napoli borghese” questi scritti che, a voler cambiare l’angolazione di lettura, hanno il respiro di un romanzo. Spaccati della Napoli di quegli anni non sempre scevri di retorica ma soprattutto cronaca da giornalista di razza, pochi lazzi e la giusta quantità di frizzi che si riconoscono ad una signora del suo rango. Meglio non dire censo, poiché Elena Canino seppe rappresentare sé stessa, il suo essere borghese con una forse incongrua vena di modernità. Si racconta che, ad una nobildonna che chiedeva notizie del censo, alla domanda “Come nasce?” la Canino rispose lapidaria “Di parto”.
In “Napoli Borghese” ci sono momenti in cui lo sguardo dell’io narrante resta quello dell’allobroga, a dispetto degli anni vissuti a Napoli, calandosi e comprendendo una realtà così lontana dalla sua, amandola e raccontandola soprattutto attraverso il quotidiano della donna Elena, della madre, dell’amica che intrattiene rapporti pregni di umanità anche con i sottoposti, perché la Canino tenne sempre a mente (come si evince in “Addio alla terza”) le parole del padre che voleva ognuno al suo posto. Ma il suo narrare non è bozzettistico, né gratuitamente turistico, come lei stessa volle specificare all’editore che inizialmente rifiutava i suoi pezzi, li cassava, li epurava dai dettagli sgraditi alla direzione del giornale. Il suo narrare fu il tentativo di far conoscere Napoli da un’altra angolazione, descrivendo il buon cuore del medico che ti cura con medicine e cibo senza percepire alcun onorario prima e il Miglio d’Oro, la villeggiatura dei napoletani, poi. Nannina figlia di un uffiziale borbonico accanto alla figura dello zì monaco ischitano; i caffè famosi all’epoca e i grandi commercianti napoletani (Cutteridge, Mele e Miccio, etc), persone, luoghi, i santi e il lotto. Napoli è forse la città con più angolazioni al mondo, c’è sempre un millimetro di terra, di vita, di umanità che ci è sfuggita. La folta schiera di chi da sempre accetta la sfida di raccontare la Trimillenaria, sa -o dovrebbe sapere- che non c’è competizione. In fondo, vince sempre lei, la sirena Partenope, che cambia volto ad ogni invasione, e veste a seconda delle stagioni. Così sopravvive e assicura la sussistenza ai suoi figli, certa che siano capaci di badare a loro stessi in qualunque circostanza: cinici e innamorati, scaltri e rispettosi, continuano il loro viaggio nella Storia anche attraverso la pagina scritta da chi pensa di poterne eternare i colori e gli effluvi.