Narrarsi Altrove, presentato il libro di Anna Ciardullo Villapiana in Senato.

Narrarsi Altrove, viaggio tra i cimeli e i luoghi dell’anima“ è uno studio poetico in edizione bilingue, di Anna Ciardullo Villapiana a cura del professore Gabriel Niccoli, pubblicato dalla casa editrice Rubbettino, Catanzaro, 2023, nella collana di Italian Diaspora Studies 

 E’ stato presentato in Senato il libro “Narrarsi Altrove” di Anna Ciardullo Villapiana, con un dibattito sul tema dell’immigrazione, presenti in aula, cittadini Canadesi di origine italiana che hanno rilasciato le loro testimonianze e la Senatrice Franesca La Marca.

Il libro è un contenitore di ricordi ed esperienze vissute di italiani che hanno lasciato l’Italia per uno nuovo mondo. Attraverso la poesia, il viaggio della memoria diventa nostalgico e pieno di emozioni.

Lo studio poetico prende in esame italiani di prima, seconda e terza generazione residenti nell’area di Waterloo e Wellington Ontario, attraverso una serie di interviste in cui vengono introdotte e documentate le storie di oggetti, particolarmente cari a chi li possiede, per la loro valenza affettiva e identitaria.  

L’oggetto diventa un pretesto per analizzarsi, permettendo al detentore di narrare meglio la propria storia.  Protagonisti del racconto poetico sono oggetti, cimeli e reliquie che gli immigrati hanno portato con sé durante il loro viaggio dall’Italia al Canada.  

Strumenti musicali, lini, cartoline, dipinti, chiavi, chiodi arrugginiti, macchine da cucire, pugnali, forbici da potatura, ferri di cavallo e altri oggetti sono stati conservati per generazioni in ricordo dei loro detentori, spesso figli e nipoti di immigrati italiani. 

Gabriel Niccoli (professore emerito all’Università di Waterloo), Stella Paola (docente di scuola superiore) e Anna Ciardullo Villapiana (docente e poetessa) hanno intervistato novanta persone per poi sceglierne poco più della metà e procedere alla stesura di prosa e poesia per il completamento dello studio.

Il progetto è stato concepito e si è sviluppato con il supporto e sotto gli auspici dell’ICAP (Italian Canadian Archives Project), una rete nazionale che si pone lo scopo di preservare il contributo passato e presente degli italiani in Canada attraverso una serie di studi sul territorio nazionale.

Il progetto ha attirato l’attenzione dell’onorevole Joe Volpe, direttore del Corriere Canadese, che ne ha pubblicato settimanalmente note biografiche e poesie corredate da foto sia degli intervistati che dei loro oggetti. Dopo aver raccolto e documentato le foto degli oggetti, i tre professori hanno ascoltato le storie personali dei loro possessori e per ognuno di loro Ciardullo Villapiana ha scritto una poesia che si propone di cogliere l’essenza del gesto migratorio, il motivo dell’attaccamento all’oggetto e il valore simbolico che gli viene attribuito. 

Le poesie sono introdotte da note biografiche attraverso una narrazione in prosa che include miti e leggende dei luoghi di origine degli intervistati, oltre a riferimenti letterari e antropologici. 

Gli oggetti, sotto la lente d’ingrandimento della poesia, diventano metafora del viaggio, diventano ossimori, immagini oniriche e allegoriche della vita stessa. In fondo gli oggetti sono testimoni silenziosi del tempo passato che acquisiscono un’anima e sprigionano un forte potere evocativo.

 https://youtu.be/S-3FUUT-x1c 

https://www.corriere.ca/immigrazione/quanti-ricordi-sotto-le-suole-dei-vecchi-scarponi 

https://www.corriere.ca/immigrazione/ 

https://www.corriere.ca/immigrazione/togliere-la-ruggine-per-una-vita-nuova/

“…Ciardullo Villapiana seems mostly intent on creating poetry that questions and measures the spirit of the present. Often viewed as the voice of memory, or even as the material place of memory, within the silence of diaspora, the diasporic object is forged by our poet into a cultural icon capable of preserving and rewriting the historical consciousness of its custodian’s community. 

Indosso i suoi vestiti                                               I wear her garments 

mi muovo nelle sue stanze                                     rambling through her rooms 

dipingo a caratteri cubitali                                     I stroll along the path of her calligraphy 

la sua calligrafia                                                  on the back of a photo 

sul retro della foto.                                                 retracing the lines 

Indosso assieme alle pareti                                    with the grammar of love 

la sua anima                                                                      I wear her very soul 

come avrei fatto con un secolo di storia.                    draped over these walls 

(“La foto” )                                                                         I wear it along with a century of history 

                                                                                             (“The Photo”) 

Her poetry is thus able to save these objects from the encroaching postmodern spectre of disquiet and obsolescence, as stated, with its ensuing inalterable oblivion.  The object becomes as well for her, as indeed it is for its keepers, a metaphor for literature.  In the sense that even if we are no longer able to visit the object’s initial place, its roots, its original spark, we can still tell a story about it, we can still make it live through language and narrative. And that is literature, as Giorgio Agamben would argue (Il fuoco e il racconto, 2014). In her writing Ciardullo Villapiana is concerned with the diasporic object as a marker of life’s inscription.  Or, to phrase it differently, she’s concerned with the object’s metalanguage and with its questioning of present memory and evolving sense of identity, as well as the manner in which these lead to a poetics of what I would venture to call self-recognition.  Having experienced herself the vicissitudes of immigration’s various dramatic acts, those of being separated, of journeying, of loss and nostalgia, she felt the same contrasting sentiments of many of our interviewees living elsewhere, while trying to remain themselves.  In the tales told one could witness the poet’s acknowledged envisioning of not only a part of herself but also the reflection of her own poetic feeling toward the narrating voice.  For her it was as if she were narrating herself elsewhere, as indeed she was, wearing the tellers’ masks, their boots, playing their musical instruments, sewing her life on their sewing machines, mending her own soul anew.  That’s what emerges from her prose. That’s what her odes and ballads in this volume so poignantly sing.  It’s as if she were split in two and, enveloped within the interviewees’ collective shadow, she had become, to use Pirandello’s words, una nessuna e centomila (one, no one, and one-hundred thousand).” 

Passo tratto dalla Postfazione di “Narrarsi Altrove” scritta da Margherita Ganeri, professoressa di Letteratura Italiana Contemporanea, Università della Calabria. 

 “…l’associazione tra oggetti e testi cui si ispira Narrarsi altrove (…) fungono qui da media simbolici: sono catalizzatori di senso e di carica emotiva, sono talismani, amuleti che rimandano a quell’alterità culturale e spazio-temporale sempre inscritta nelle narrazioni diasporiche. La loro materialità rende tangibile l’assenza dello spazio e del tempo prediasporici, mentre la loro icasticità produce la spinta immaginativa che genera le narrazioni.  Se “narrarsi” è, fin dal titolo, la parola chiave di questo libro, le sezioni in prosa, i versi e le traduzioni ispirate dagli oggetti-cimeli si pongono come proposte di (auto-)narrazione identitaria della comunità italo-canadese che li ha selezionati, in una dimensione corale che ruota intorno a quell’insopprimibile senso di un altrove, dominante perenne e consapevole del trauma migratorio. Le immagini degli oggetti commuovono con il loro carico evocativo, agendo come frammenti metaforici di un intero perduto, come schegge scomposte e poi ricomposte, sempre in forma provvisoria, nel linguaggio narrativo e poetico. Il baule, il copriletto ricamato, il rosario, i ciondoli, un piccolo e consunto dizionario italiano-inglese, due fisarmoniche (o concertine), un marranzano, un’antica chiave, un orcio di terracotta, una rudimentale macchina per fare la pasta in casa, una radio, un paio di scarponi da lavoro, un chiodo arrugginito, un ferro di cavallo, una macchina fotografica, le foto di cartoline e di lettere sono alcuni tra i tanti oggetti della perduta vita quotidiana degli emigranti italiani, e certo non solo in Canada. Attraverso la loro aura affettiva, i mondi perduti del passato chiedono di essere nuovamente raccontati, in modi che ne rianimino e rivitalizzino la persistenza e la resistenza contro l’oblio.  Per questo, più che un processo di ecfrasi, la scrittura di questo libro persegue la prospettiva della pratica allegorica, quella moderna, descritta da Walter Benjamin come una costruzione ermeneutica che rimanda al vuoto di senso, incitando alla scommessa dell’interpretazione contro la perdita del significato e del potere simbolico. Le scritture che originano dai racconti di vita, tra le sezioni in prosa e quelle in poesia e le rispettive traduzioni in inglese, lottano contro il cono d’ombra che avvolge la memoria dell’origine e praticano uno scavo nella memoria, collegando un passato sepolto, talora archeologico, a un presente che lo contiene in forme più o meno latenti. Alla luce del senso di una scissione che non può essere superata, il linguaggio poetico fa affiorare dai sotterranei della psiche collettiva la forza dello strappo e il disorientamento che ne è seguito, e la ferita dell’emigrazione appare ancora fresca, recente, irredimibile, mentre le sue narrazioni in prosa e poesia, in italiano e in inglese, la disseminano in un prisma di diffrazioni testuali, che, come in un gioco di specchi, al tempo stesso la amplificano e la rendono artisticamente tollerabile.  Proprio per l’architettura a più livelli, il progetto realizzato da questo libro è ambizioso einnovativo. Le narrazioni diasporiche diventano qui generatrici di scritture che si influenzano e si richiamano a vicenda, come variazioni esecutive che confluiscono in un’orchestrazione polifonica…” 

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